14. fuori di prigione (A)

1.9K 60 6
                                    

Dicevi sempre che avresti fatto tutto per me. Io ti guardavo alzando gli occhi al cielo, come se non ti credessi davvero, perché non mi sono mai piaciute le frasi da Bacio Perugina, ma tu inclinavi un po' la testa e mi ripetevi che avresti fatto tutto, tutto, anche uccidere qualcuno se solo fosse capitata l'occasione buona.
Ogni volta avevi gli occhi sempre un po' più duri e io cercavo rifugio nell'ironia. Un giorno ti ho detto che avevo faticato troppo per convertirti e che non valeva sudare tanto per poi lasciarti in pasto ad un carcere femminile. Eri troppo bella per tutte loro.
A te non era mai piaciuta Alex Vause: io lo sapevo e pensavo che mi avresti regalato quel tuo sguardo da ultimo avvertimento. Invece, mi avevi pizzicato la punta del naso dicendo:
"Ho giá la mia Riccia fuori di prigione."
-A

Sabato, 18 Luglio

Lo sferragliare dei cavalli s'interrompe non appena Ludovica gira la chiave in senso antiorario. La radio continua a mandare l'ultima canzone di Daddy Yankee e io sento di averne già abbastanza dell'aria di festa.
Fisso lo sguardo sul braccialetto d'oro rigido che le avvolge il polso: sembra una manetta.
Non hai parlato molto da quando sono qui.
Se vuoi puoi riportarmi indietro e tenermi tra le tue quattro mura come la rosa della Bestia.
Forse appassirò anch'io un giorno.
"Mi dispiace." sospira, coprendosi la fronte con una mano.
Le vorrei dire di non rovinare il trucco, perchè Dio quant'è bella così, ma dalla gola non esce proprio niente. Mi faccio accarezzare dalle debolezze e riesco solo a far cadere gli occhi sulle sue cosce nude: sono così diverse dalle mie.
"E per cosa?"
Aspetto che risponda, ma lei vuole che la guardi sul serio. Ha gli occhi rifiniti di nero e d'argento e io m'accorgo che potrei tradire chiunque per quelli.
"Per non avere il coraggio di essere quella che vorrei stasera."
Avvicino delicatamente le dita al suo volto, con il poggiatesta che mi culla mentre sorrido un po' storta. Faccio scivolare l'indice sulla sua fronte, prendendo la traiettoria piuttosto larga, e le accomodo i capelli dietro l'orecchio, anche se il caschetto non se la sente proprio di stare al suo posto.
"Non preoccuparti."
Sei troppo bella perchè io mi aspetti qualcosa da te.
"Spero che le cose cambino." -sospira, lasciando andare anche lei la testa contro il sedile- "Un po' di tempo."
Le sorrido ricordandomi con quale tono di voce aveva scomodato queste parole la prima volta. Lei era girata e io avevo il timpano incollato alla sua cassa toracica, quindi tutto risultava ingigantito, ma quando aveva pronunciato quella frase, era come se le parole si fossero perse in un sussurro.
Mi sporgo dalla mia metà dell'abitacolo per baciarle la guancia e noto che ha ancora l'istinto di irrigidirsi.
"Perlomeno non si è tirata indietro" penso e alzo di riflesso una spalla.
"Una cosa." -mi ferma prima che possa aprire la portiera- "Non fidarti troppo di quello che dicono. Sono divertenti e sono delle tipe a posto, ma sanno essere delle vere figlie di puttana quando vogliono."
I rumori, ho sempre capito tutto con i rumori. A volte ci ho anche saputo parlare. Adesso sono loro a parlare per me.
Prima il tintinnio metallico che fa la borsetta, poi il claff delle portiere e il cic della chiusura automatica. Il rincorrersi dei tacchi sull'asfalto, il fruscio delicato del nuovo caschetto di Ludovica che cerca in ogni modo di farsi notare, lo sst che fanno le nostri mani quando lei mi aiuta a salire sul marciapiede. I sospiri che escono dalle labbra mentre ci accodiamo alla fila, i bassi che smuovono le casse e l'insegna bianconera sopra i nostri nasi, il tectec delle sue unghie contro lo schermo del telefono. Poi, come se stessi studiando un sogno che faccio da un po', il silenzio: gli orecchini lunghi e stretti di Ludovica riflettono le luci blu marchiate Blanco Beach Bar e mi accecano a tradimento, qualcuno mi spinge da dietro, il buttafuori fa l'occhiolino, il tipo davanti mastica la gomma troppo rumorosamente, una signora si lamenta mentre cerca di passare con il passeggino. Un fischio sordo, lungo, immobile, e Ludovica che a rallentatore porta il telefono all'orecchio. Annuisce, si guarda intorno. Tutto ritorna ad avere il proprio rumore.
"Ehi, ragazze!" -sento dire alle mie spalle- "Che ci fate lì come due carote? Ma guardate come siete belle.."
Rimango immobile, mentre Ludovica sgrana gli occhi come se fosse stata beccata dalla polizia. I passi si fanno sempre più vicini, finchè scorgo con la coda dell'occhio una mano comparire sulla sua spalla: ha le unghie chilometriche smaltate di verde acido.
"Non ce la fai proprio ad arrivare in ritardo, eh.." mormora una di loro in tono sarcastico, prima di baciarle le guance.
Che cazzo fai?
Vuoi rimanere impalata così per tutta la sera?
Gira quel culo e salutale.
"Non iniziare a rompere, Mere." sbuffa Ludovica con mezzo sorriso, per poi far calare il silenzio.
Ora c'è solo il tamtam del mio cuore.
"Questa è Aurora. Aurora.."
Incollo le palpebre più su che posso, girando di fretta su di un piede per non fare la figura della snob.
Ludovica nasconde una mano dietro la schiena di una bionda ancora più ossigenata di lei, che la supera di almeno tre dita e ha una vita così stretta da fissare la cintura all'ultimo buco. I suoi occhi verdi mi s'incollano addosso in un millesimo di secondo e riescono a inquadrarmi senza mai abbassarsi.
"Piacere, Meredith."

Tre sono le cose Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora