8. restiamo sordomute

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Abbiamo due grossi difetti io e te e qualche volta loro parlano tra sè per dirsi le cose che noi non abbiamo il coraggio di dirci.
Tu sei troppo idealista e credi che solo volendo, solo impegnandosi, i problemi si risolvano in partenza.
Io, invece, penso che le parole siano superflue anche quando non lo sono e mi arrogo il diritto di credere che gli altri mi capiscano a gesti, sguardi e pensieri.
Ma in fin dei conti, niente è perduto finché i nostri difetti fanno l'amore mentre noi restiamo sordomute.
-L

Sabato, 26 Giugno

"Mi dispiace."
Il sole è calato e un simpatico signore con una berretta verde militare agita la mano cercando di attirare la nostra attenzione per intimarci ad andare prima che il giardino chiuda.
"Non sto cercando qualcuno che mi compatisca."
"Lo so." -annuisce mentre lo dice- "Ma mi dispiace lo stesso."
Avevo ragione: stai pensando a lei.
Gli occhi di Aurora sembrano più scuri ora e io comincio a pensare che cambino colore in base all'altezza del sole. Penso anche che vivere con lei mi aiuterebbe a capire che ore sono semplicemente studiandole le iridi, finchè mi accorgo di aver pensato troppo e troppo verso la direzione sbagliata.
"Devo.. Devo essere sincera con te."
Lei inclina la testa come un cane che non ha capito.
"Federico non ti richiamerà." -deglutisco- "Non era convinto nemmeno prima per via dei.. Beh, ficcargli le mani nel cellulare non ha aiutato affatto."
Aurora mi sorride e io le permetto di prendersi tutte le mie difese.
"Lo so."
"Lo sai?"
"Lo so. Non vivo di illusioni."
Sgrano gli occhi.
"Perché mi hai portata qui allora? Cioè.. Cioè, credevo che volessi ringraziarmi per.."
"Ed è così." -ribatte senza pensarci, sistemandosi sul posto- "Sei l'unica ad averci almeno provato, ricordi? E poi sto bene con te. Riesco a parlarti senza credere che tu abbia un'idea vuota di me."
Divarico le labbra per dare un'occasione alla parte impulsiva di me di rovinarci, ma il guardiano riesce a darmi un'altra chance urlandoci di togliere il disturbo, che è tardi e sua figlia lo aspetta per fargli vedere quali nuovi passi di danza ha imparato. Mentre lo fa, picchietta l'orologio da polso e gesticola sommessamente.
"Credo che dobbiamo andare." mormoro quasi vergognandomi.
"Già, dobbiamo."
Sai, ho imparato a capire che lingua parlano i tuoi occhi.
Non riesco ancora a decifrare tutto, ma.. piano piano ci arriverò, promesso.
Per adesso, andiamo. Purché sia insieme.

[...]

Lascio cadere la sigaretta elettronica dopo averla privata dell'ultimo tiro. Questa mi rimbalza sul petto due volte, allungando il laccio che la tiene ancorata attorno al mio collo, e il fumo opaco viene assorbito dalle maglie strette della mia tuta.
Aurora guarda al di là del finestrino con i capelli che le ciondolano al vento come vecchie tende da cucina. La Merit le si consuma tra le labbra mentre noi godiamo del silenzio che ci concediamo ad ogni appuntamento.
Appuntamento, pff..
È sempre così: parliamo, parliamo, parliamo fino a che i pensieri inespressi si ammucchiano e il corpo ci chiede di tacere. E noi lo facciamo insieme.
Così, quando arrivano questi momenti, io so che lei sta pensando fitto, con la cenere che si accumula e le cade distrattamente sui jeans, mentre lei sa che io macino paranoie a tutto spiano.
Forse è proprio questo il nostro segreto: noi ci dedichiamo il silenzio, come dice quella canzone che mi fa sempre piangere.
"A che pensi?" mi scappa detto e so già di aver rotto una preghiera.
Aurora sbatte le palpebre mentre smette di fissare la finestra della sua camera: lo fa da quando siamo arrivate.
"A.. A niente." -balbetta cercando di fare sparire la cenere dai suoi pantaloni- "Devo andare, mi dispiace."
Ha già le dita nella maniglia quando la trattengo per un braccio.
La paura: è la prima parola che ho imparato nell'alfabeto del tuoi occhi.
"Tutto bene?"
La seconda è il rimorso.
Ora ce l'hai perché stai per mentirmi.
Aurora lascia inclinare un angolo della bocca e mi sorride male prima di affrettarsi a baciarmi una guancia. Le sue labbra sono secche e tremolanti come il mio petto.
"Ci vediamo presto."
Rimango sul sedile in pelle che pigola ancora quando mi ci sistemo sopra con lo sguardo vitreo oltre il parabrezza. L'eco del portone che si chiude arriva fino all'abitacolo e io rabbrividisco come quando ti risvegli da un incubo ricorrente.
Ti ho raccontato tutto di me.
No, non le copertine e i capi firmati che ho nella cabina regalata dal papi.
Tutto ciò che conta.
E ora sono vuota, solo quando sto con te.
Aspetto che tu mi riempia.
Apro il vano portaoggetti e ci frugo dentro con fare sconnesso e animalesco. Qualcosa cade a terra, mentre le Merit Gialle sono ancora lì, immobili, così ne prendo una e me la caccio in bocca, convinta di avere sulla lingua quanto più di vicino ci sia al suo sapore.
"Stupidi occhi marroni" penso.
Impugnò la sigaretta tra indice e medio e aspetto che la cenere voli via da sè fuori dal finestrino. Ho il cuore stizzito perché non sa a quale frequenza battere: non è abituato a tutto questo e io un po' lo capisco.
Il fumo, per la prima volta, mi fa venire la nausea come se stessi in una di quelle giostre che Giorgio adora.
Giorgio, giá.
Scarico la Merit e compongo il suo numero. Lui risponde dopo due squilli con il suo solito fare irriverente.
"Sorellina, ti serve un bonifico?"
"Solo se supera i tre zeri e viene dal tuo conto."
Lo sento ridere dall'altro capo e tossire poco dopo: il vizio di aspirare i sigari l'ha preso da papà.
"Come stai?" il suo tono è addolcito.
"Me la cavo."
"E Fede? Ti tratta bene Fede?"
Annuisco, poi ricordo che lui non può vedermi.
Quanto vorrei vederti, Giò..
Con la tua testa dura foderata di boccoli neri e i muscoli pieni.
Sei sempre stato la pecora nera della famiglia, ma solo all'apparenza.
In realtà, quella sono io.
"La mamma?"
Sento un sospiro remare attraverso il mio timpano.
"Se la cava bene anche lei." -risponde mangiandosi le parole, come se stesse pensando a cosa dire dopo- "Un po' le manchi. Manchi a tutti."
"Anche a papà?" penso, ma non lo dico. Giorgio mi vuole un gran bene, ma come la mamma, anche lui è succube di nostro padre.
"Giò, senti, io devo.. Devo parlarti."
"È per via di papà? Sai che non voglio immischiarmi nelle vostre questioni." -d'un tratto la voce gli si raggela- "Il vecchio è sempre più lento, ma ragiona ancora come un ingegnere svizzero. Le cose vanno bene e non voglio essere io quello che gliele rovina."
Giorgio non conosceva nè ingegneri nè svizzeri, ma quell'espressione gli piaceva molto.
"Non si tratta di papà."
Il silenzio, Giò.
Non l'hai mai saputo gestire.
"Cosa c'è, Ludo?" -ed ecco ancora quel tono gelido e frizzante come le Marlboro Rosse per la gola- "Non mi chiami mai e soprattutto mai oltre le sei."
Chiudo gli occhi e le ciglia mi fanno solletico sulla pelle lucida. Pigio le dita sulle tempie mentre la sigaretta si spegne da sola.
"Ho conosciuto una ragazza."
Resto per qualche secondo in attesa, convinta di non essermi spiegata abbastanza.
Giorgio era sveglio, ma non empatico, e non era di certo abituato a un discorso così insolito. Nemmeno io lo ero, a dire la verità.
"Sei bella, Ludi, e sai fare il tuo mestiere."
Non è sempre questione di soldi e lavoro, sai Giò?
Ma tu ci pensi mai a chi ti ruberà le coperte per il resto della tua vita?
"No, non è.. Non è questo." -deglutisco anche se la Merit ha seccato tutto- "Si tratta di un'amica."
La parola amica fa eco nell'abitacolo e nelle mie orecchie mentre noto che la luce della camera di Aurora è scomparsa.
"Meglio così" penso "non voglio che mi veda ancora qui".
"Cosa vuoi dirmi, Ludo?" di nuovo, a intermittenza, la voce profonda e fredda di nostro padre.
"È normale che mi senta come.. come.. come se non volessi più andare via?"
"Andare via da dove?"
"Dalla mia pelle, da qui, da dove so che lei possa trovarmi."
Giorgio sospira e ora so che ha capito. Sento un brivido propagarsi dalla punta dei piedi a quella delle mani come acqua che scorre lenta lungo un torrente.
"Da quant'è che ti piacciono le donne, mh?" -sibila- "Leccare fighe è così divertente?"
Nel torrente, adesso, scivola via un fulmine.
"Dio, Giò, sei un cazzo di mentecatto. Quando la smetterai di parlare e pensare come Sergio?"
"Non tirare in mezzo papà."
"Lo tiro fuori e come se ha cresciuto un deficiente."
Sento Giorgio grugnire e respirare affannosamente.
Lui era alto, robusto e deciso, con un innato talento nello svecchiare l'immagine dell'azienda, ma non era cinico e sfrontato come nostro padre. Non ci sapeva molto fare con gli affari e credeva troppo ai fannulloni e ai quaquaraquà, perciò papà aveva deciso che non avrebbe preso un congedo dalla vita lavorativa finchè Giorgio non fosse stato ben istruito.
La cosa che fa più ridere è che lui somiglia molto alla mamma, con una dolcezza prigioniera negli occhi, mentre io sono tutta nostro padre.
"Senti, non voglio litigare, io.. Ho solo bisogno di aiuto."
"Cosa vuoi che ti dica, Ludi?" -domanda senza respirare- "Mi chiami parlando di una sconosciuta e pensi che io possa risolvere i casini che hai in testa? È troppo anche per me."
"Non so cosa devo fare, Giò. È tutto nuovo e ho paura."
"Allora prenditi il tuo tempo."
"Tempo per cosa?"
Sento un suono cupo, come se lui avesse sbattuto una mano sul tavolo.
"Per smettere di avere paura."

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