STORIA 20

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Ciao. Mi chiamo...anzi, non mi chiamo. Sono troppo piccolo per avere un nome. Ho appena qualche settimana di vita. La mamma non si è ancora accorta di me. Semplicemente, percepisce in lei qualcosa di diverso, ma non immagina cosa possa essere: improvvisi sbalzi d'umore, capogiri, eccessiva stanchezza. Non sa che sono dentro di lei. Poi, realizza di avere un ritardo, e si spaventa. La mamma è giovane, va ancora a scuola. Percepisco la sua angoscia e mi ferisce la sua speranza della mia inesistenza.
Continua a ignorare la cosa, a voler credere che io non esista. Oggi però, ha finalmente trovato il coraggio di scoprire la verità: adesso sta entrando in farmacia per comprare un test. Si rivolge al farmacista timidamente, parlando gli sottovoce. Temo che si vergogni di me. Torna a casa. Chiudendosi in bagno, affronta la realtà: prende il test fra le sue mani e dopo qualche istante comprende che c'ero, che esistevo.  Mi ha profondamente colpito la sua disperazione, avvertivo il suo dolore, unito al mio che cresceva man mano per la sua infelicità. Perché non mi vuoi mamma? Non piangere, tranquilla. Ci sono io qui che ti voglio bene. Adesso prende il cellulare. Sta facendo uno squillo a papà. Non so cosa gli stia dicendo, ma la mamma so arrabbia molto con lui, grida, gli urla che io non sono un dente da estirpare: sono un essere umano! Dice che non può tirarsi indietro, fingere che non esista, perché che lo voglia o no, lui è mio padre. La mamma è così piccola ancora, fragile, ha bisogno del sostengo morale di papà, soprattutto per dare la notizia ai nonni. Invece si trova costretta ad affrontare ogni cosa da sola, perché papà non vuole saperne di me. Papà, quando la mamma ha saputo di me è scoppiata in lacrime, tu addirittura vuoi buttarmi via: perché non mi volete? Cosa vi ho fatto di male? Sono solo un bimbo innocente. Ora la mamma lo sta dicendo alla nonna. Nonna, cosa fai? Perché le hai dato uno schiaffo?!? Cosa c’è di tanto cattivo in me, che non deve nascere? Mamma tranquilla, andrà tutto bene. Non intristirti perché hai litigato con la nonna. Vedrai, le passerà. Andrà tutto bene.Sono passati tre giorni. Ora ho tre giorni di vita in più. Che bello, non vedo proprio l’ora di nascere, di imparare a camminare, a parlare, a correre. Voglio che mi insegni tutto quello che sai, mamma. E non importa se papà non mi vuole, magari con il tempo cambierà idea. Per adesso mi basti tu. E così bello addormentarsi con te, mammina, svegliarsi con te, accompagnarti in ogni cosa che fai.Ora stiamo entrando in uno studio medico. Non piangere, mamma. Ci sono qui io che ti voglio bene. Vedo il dottore, molte macchine e tanti infermieri. Se già curiosa di sapere se sarò un maschietto o una femminuccia? Eppure tu continui imperterrita a singhiozzare. Cos’è? L’emozione di sapere il mio sesso? Continui a ripetere, accarezzandoti il ventre «perdonami, bambino mio». Perdonarti di cosa?!? Perché dovresti avere bisogno del mio perdono? Cosa stai facendo, per chiedermi scusa?Sento un dolore, una specie di ago che invade il mio piccolo mondo perfetto. Ho capito tutto. Le mie cellule strappate dalla tua carne. Ora capisco che tu non mi insegnerai mai a camminare, a parlare. Perché io non nascerò mai. Non piangere mamma, io ti perdono. Chissà se esiste un paradiso per i bimbi mai nati.

Addio mamma. Saremmo stati felici insieme, ti avrei voluto tanto bene. Addio.

Il tuo bambino senza nome.

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