April 5th, 1928 - Birmingham
-Sue, dai, non fare così! Entra! Stavo scherzando, coraggio bambolina.
-Vaffanculo Joseph. – la giovane sbatte con forza la porta, facendo quasi tremare il vetro di cui è composta, sotto le urla dell'uomo che ha mandato con eleganza a farsi fottere. Un altro apprezzamento fatto su di lei e sicuramente sarebbero volate le mani – e questa volta suo padre non sarebbe servito a fermarla, né il contegno, né la reputazione, la dignità o nulla che possa renderla una borghese d'alta società. Quale borghese poi? Donna borghese come? Con appena vent'anni sulle spalle non sa nemmeno come si fa ad essere donna, figurati comportarsi come tale. Sue afferra tra le dita i lembi del vestito leggero, corre veloce in qualche stradina, sa già tenteranno di trovarla e portarla indietro, ma questa notte nessuno può o deve fermarla. Sente nei polsi esili e trapassati dalle vene una forza imprescindibile da ogni altra energia vitale, le stringe con forza gli avambracci e la tira verso l'ignoto.
La notte di Birmingham è coperta di stelle, illuminano le strade buie scoperte a tratti dalla luce di un lampione. La notte in Aprile, a Birmingham, è fresca, preannuncia un'estate mite, illumina appena le increspature dei canali che attraversano la città. La notte di Aprile, in quella Birmingham del 1928 sembra una notte fuori da ogni singola stagione: s'illumina d'un candore insolito, si colora di pigmenti più vividi, cerca nel suo silenzio il caos di quel disordine cosmico. E in quella notte fuori dal comune, quella giovane ragazza fa rimbombare il rumore dei suoi tacchi per le strade, corre veloce con il tessuto del vestito tra le mani e si nasconde infine nel portone di una stradina buia e vuota, sospirando. Li ha sicuramente seminati. Respira prima affannosamente, e poi a fondo, cerca di regolare i battiti impazziti del suo cuore e di far calmare le mani tremanti dalla rabbia e dall'odio. Stupide feste, stupido alcool, stupidi uomini: Sue sa cosa significa essere messa sotto pressione da una famiglia che la vuole presto ammogliata, ma sicuramente Joseph sarebbe l'ultima delle sue preferenze – per quanto possa essere un uomo rispettabile e tranquillo, a volte non può far altro che parlare fuori luogo e far snervare la ragazza che si ritrova ogni volta a doversi far togliere il bicchiere di vetro dalla sorella prima che combini un danno irreparabile. Ma Sue è così: Sue si tira avanti con le sensazioni, si tira alle vibrazioni del suo derma, si slancia e si smuove grazie ai suoi respiri, al suo stomaco stretto, alle sue gambe frementi di vita – ma non nega, e non può negare di cercare un po' di tranquillità in quella sera, una tranquillità che sappia saziarla, riempirla, che sappia quietarla da ogni sua agitazione. La giovane dagli occhi scuri si guarda attorno, si assicura di non dover afferrare i tacchi tra le mani per usarli come armi – girare a quest'ora della sera a Birmingham per lei non è mai sicuro – ma poi si convince dell'assenza di tutto e può tranquillizzarsi; si sistema di nuovo i tacchi, si liscia il vestito nero e si scioglie i capelli da quell'acconciatura oscena fattale dalla sorella: li può finalmente agitare, anche se non è contenta del risultato dato che l'umidità glieli gonfia troppo. Sospira, esausta, e volge lo sguardo al cielo sotto cui il suo corpo vive: ed è così oscuro, è intriso di misteri, ma è anche cosparso di una miriade di corpi celesti: e quei corpi, quelle stelle così lontane, quegli astri che la guardano e che magari sono già morte, o stanno morendo, o hanno appena iniziato a vivere, restano lì, splendono ignare dello sguardo perso della giovane donna che non sa cosa aspettarsi da quelle stelle, non sa cosa aspettarsi da sé stessa. Si dice stanca di quella serata, di quella festa orrida e noiosa, stanca di dover dire di sì a tutto ciò che le viene chiesto; e quindi si alza e vaga senza meta per le strade di quella Birmingham vuota e oscura. Ha deciso: quella notte non tornerà a casa. Vuole godersi quegli attimi lontana dal mondo, vuole comprendere cosa le si smuove dentro, in fondo al petto, dove ci sono degli astri che le parlano una lingua sconosciuta, dove ci sono musiche lontane miglia. Porta le mani alle braccia, sfregandole per cercare calore; non lontani, nei pub si sentono le urla, le musiche, il battito delle scarpe contro il legno del pavimento, le risate delle persone – sono però suoni lontani, così lontani che paiono provenire da un'altra dimensione, una dimensione di cui Sue non può far parte al momento. I suoi occhi vagano attorno al verde della città, attorno alla strada che la circonda, sofferma lo sguardo sugli alti edifici: prova a cercare tra quei muri e quei profili una vita che possa appartenerle, una vita che possa renderla viva, che possa ispirarla, che possa smuoverle dall'interno una qualsiasi situazione. Ma i suoi piedi vagano senza sapere, vagano a vuoto, in una dimensione a lei sconosciuta, la fanno sentire spaesata e persa in quelle strade che non sembra riconoscere, che sembrano far parte di una città che non ha mai visto – ma lei non si perde d'animo: si guarda attorno affascinata, c'ha negli occhi la curiosità e la voglia di vivere ogni singola ora di quella notte così estranea alle sue dita e alle sue percezioni. Joseph, suo padre, la sua famiglia, quegli obblighi, svanisce tutto, pioggia contro i vetri prosciugata dalla forza di un sole cocente, e lascia sola Sue, lascia sola la giovane donna, nel suo vestito scuro, nei tacchi, nei capelli gonfi e scombinati, nel trucco un po' sbavato dall'umidità, nella pelle candida e delicata, negli occhi scuri e profondi, tra le dita coperte di anelli delle mani. Tutto la lascia sola lì, in mezzo a quelle strade, la lascia dispersa, perduta e senza alcun punto di riferimento. La aiutano solo i lampioni e quelle stelle lontane in quel cielo oscuro di quell'aprile del 1928.
E infine, la aiuta anche l'insegna di un pub quasi nascosto in una stradina: il cuore di Sue viene avvolto da un calore fuori dal comune, le arriva a bruciare la pelle e le infiamma le guance, e dentro di sé sa di aver raggiunto la sua meta stanotte. Sa che quella notte di Birmingham non aspettava altro.
🥃 | P S Y C H O | ✨
Non che sia un inizio degno, ma non è che possiamo pretendere troppo.
Eccoci qui. Non ho molto da dire, questo "prologo" non rivela nulla di una storia che parla di nulla - quindi siamo a cavallo. Spero che dopo questa storia intrisa di puro trash magari Dostoevskij mi aiuta a scrivere qualcosa di più decente - nel frattempo, accontentatevi di questo, non posso donare altro. Ci vediamo presto al prossimo capitolo: da lì iniziano le cose """"""""""""serie""""""""""""""""""".
Vi stringo forte a me, in questa dispersa notte di aprile del 1928,
Astra xx
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PLANETARIUM
General Fiction«Penso di non poterlo dimenticare mai.» Copyright © -TRVCHEITE, 2019, All Rights Reserved. |26/06/19 - 30/12/19|