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April 6th, 1928 - PLANETARIUM

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April 6th, 1928 - PLANETARIUM

L'alba inizia a disegnare sfumature dorate nel tiepido cielo azzurro di quel mattino; Edward e Sue, però, ancora non lo sanno. Loro due sono ancora barricati dentro al Planetarium, con addosso i vestiti tutti stropicciati, con i corpi distrutti tanto quanto le menti. Avvertono una malinconia straziante che impedisce loro di scambiarsi degli sguardi diretti: sono troppo impegnati a non cadere nella consapevolezza che tutta quella magia sta per svanire: non sono state loro concesse nemmeno ventiquattro ore per permettere di vivere quel momento lontano da tutti i mondi, ne hanno ricevute solo otto per poter vivere tutti quei sentimenti e quei ricordi, per potersi vivere. E quelle otto ore in realtà non hanno una vera e propria definizione: sono state ore lunghe giorni e ore durate un solo minuto. Ma ora ha davvero senso? Ora che Sue dovrà uscire da quella porta e dire addio a tutto quello che è riuscita a costruire in una sola notte – che le è valsa più di tutti i vent'anni vissuti – ci sarà qualcosa che avrà senso? Ci sarà qualcosa che ricorderà davvero, di tutto ciò che le è successo? Ha paura che, varcata quella soglia, ogni singolo, piccolo e anche irrilevante ricordo di quella notte venga spazzato via, perché non ha il permesso di sostare lì, nella sua mente, a cibarla di speranze: ma non nega che, così dimenticando, possa riuscire meglio ad affrontare il dopo, possa riuscire a superare con più facilità la consapevolezza di non poter mai più rivivere nulla di simile. Quanto a Edward, sta ormai per finire il tabacco e potrebbe impazzire da un momento all'altro: i suoi occhi azzurri vagano alla ricerca di qualche posto in cui da ubriaco possa averne nascosto una scatoletta, ma la sua mente è così annebbiata dal rum, da Sue, da quella notte, da non permettergli di pensare con lucidità. Si chiede che fine sarà di lui, di Sue: si chiede se tra dieci anni saranno ancora vivi, se tra dieci anni lui sarà pronto a combattere di nuovo, se tra dieci anni lei sarà pronta a vedere il mondo che è stato costruito attorno a lei crollare pezzo dopo pezzo. E potrebbe dirglielo: potrebbe dirle "resta qui, per sempre, fa' in modo che il tempo non vada avanti mai – facciamo in modo che di tutto questo idilliaco sogno non resti solo l'incubo di un futuro incerto"; potrebbe dirglielo, sì, se solo non fosse impegnato a schivare in tutti i modi lo sguardo di lei e a schioccare la lingua contro il palato, nervoso e rosso in viso, consapevole di aver quasi finito il tabacco.

Sue stringe meglio la borsa tra le mani, si morde l'interno del labbro, nervosa e imbarazzata, e si dondola sul posto, non sapendo nemmeno cosa potergli dire per salutarlo. E chi vorrebbe mai salutarlo? Come potrebbe mai dirgli davvero addio, dopo tutto quello che hanno condiviso? Come fai a dire davvero addio ad una persona dopo avergli dato tutte le tue paure e averle viste trasformate in cenere? Sue non trova il coraggio per farlo, sarebbe meschino, cattivo; ma sa anche sia l'unica soluzione. Apre la borsetta, tirando fuori un pacchetto, e lo porge a Edward, che si ferma finalmente a guardarla, confuso. Lei arrossisce appena, sentendo le lacrime pizzicarle gli occhi: è troppo difficile.

-Tieni: tabacco. - i due si guardano, silenziosi: loro sanno, come sa tutto anche il mondo fuori, e l'alba che sta sorgendo e inaugurando un nuovo giorno. Edward guarda prima lei e poi il pacchetto che stringe tra le mani: sospira, accettandolo e infilandolo nella tasca del cappotto. Torna con lo sguardo su di lei, e non sa qualche coraggio glielo permette: ogni singolo briciolo di forza davanti Sue si sgretola, lasciandolo scoperto e tremendamente fragile e solo. La giovane donna s'impone di non singhiozzare, e se dovrà piangere permetterà solo alle lacrime di macchiarle il viso. I secondi si susseguono sull'orologio, che piano piano riprendono il ritmo del tempo delineato e deciso dall'uomo e non da quelle due anime.

-Grazie. - inizia Edward, e Sue scuote il capo.
-Grazie a te: quei rum avresti dovuto farmeli pagare.
-Te ne sei scolati solo tre, non costituiscono un debito così ingente per il mio pub. - spiega lui, sorridendole appena, i capelli scompigliati e il viso stanco. Lei gli sorride di rimando, annuendo, segno che ha capito, segno che apprezza e che gli è grata. Si guarda attorno: cerca di fissare nella mente ogni dettaglio del pub, per non dimenticarlo, per conservare lì parte di lei.

-Penso sia un pub meraviglioso, e il nome gli s'addice. È per i cuori che hanno bisogno di ritrovare la loro verità, o per scoprirla se non l'hanno mai conosciuta, come si fa con le infinite costellazioni nel cielo. - Edward può solo guardarla: qualsiasi parola ora sarebbe futile, sarebbe eccessiva, sarebbe offensiva. La guarda, l'oceano che conserva nei bulbi guardano la figura di Sue che cerca di soffocare le lacrime con timidi sorrisi. Ma poi parla uguale, che non può immaginare quale inferno aspetta la giovane donna fuori da quella porta, di nuovo vulnerabile in quel mondo avido e cattivo.

-Non smettere di ribellarti. Anche se ti costerà tanto, a volte. Lotta per tutte quelle persone che non ne hanno la forza o il coraggio, come me. - Sue apre la bocca, ma vi esce solo un sospiro: non sa tenere a freno i battiti furiosi del cuore e i singhiozzi che le si bloccano nella gola, straziandola. Allora lo raggiunge e lo stringe forte a sé: lo abbraccia con tutta la mancanza e la malinconia che sente singhiozzare nel petto, lo abbraccia forte, si aggrappa alle sue spalle e cerca di scomparire nel corpo di lui, cerca di incastrare le loro costole in modo da rendere impossibile ai due vivere distaccato dall'altra. Ed è così ingiusto vivere in un mondo che riesce solo a separare, e mai ad unire. Ed è ingiusto vivere in un mondo che ha un suo tempo che non può essere comandato, o modificato in modo alcuno.
-Ci proverò. - sussurra lei, ma il suo cuore piangendo assieme a lei sussurra "ma tu non svanire per sempre, quando chiuderò quella porta".

I due si allontanano: l'orologio tra poco scoccherà le sei. L'alba diverrà giorno, e tutto quello che quelle due anime avevano costruito si sgretolerà. Sue si dirige a malincuore verso la porta del Planetarium, e si volta a guardare Edward, fermo in mezzo al pub, le mani nelle tasche. E la giovane donna, con le lacrime lungo le guance, e un sorriso pieno di speranza, guarda l'uomo di fronte a sé.

-Ma dimmi: tu, esisti davvero? - Edward la guarda e sorride: volge poi lo sguardo al pavimento, pensandoci a lungo, e rialza poi lo sguardo verso la giovane donna, per poi infine alzare le spalle.

-E chi lo sa. Ma sappi che è la stessa domanda che mi son posto io.
Ma forse è questa la base della nostra realtà: la nostra tangibile inesistenza. - Sue fa un cenno col capo, si asciuga le lacrime e sorride, abbassando la maniglia del Planetarium: chiude dietro di sé la porta, chiudendo così anche il mondo che in una notte le ha ridato indietro la vita, che le ha fatto toccare la realtà di tutti i sogni.

Sono le sei. 















THE END

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