VII - Incomprensioni

194 11 2
                                    

Bradley

Sono passati quattro mesi da quando è ricomparsa nella mia vita e man mano mi sto riprendendo, riconsiderando il sorriso e la felicità.
Mary ed io ormai dormiamo sempre insieme, siamo molto vicini e forse la amo più di prima, ma ultimamente si comporta in modo strano. È leggermente fredda e non più affettuosa come prima, però è così più o meno con tutti, quindi non credo di essere io il motivo, o almeno lo spero.
Decido di farmi una doccia prima di andare con Mary in associazione, dove incontrerà i ragazzi e parlerà con loro: è vero che è stata di Tristan l’idea però lei ha accettato senza problemi. Comunque penso sia una buona trovata, forse la prima dopo le tante cazzate che ha combinato il mio amico.
Anche Tris si sta lentamente riprendendo, ma ancora mantiene quell’aria da puttaniere che ha da quando Mary andò in coma. Non dorme quasi mai a casa e ogni mattina al suo ritorno dice di essere stato con una. Risultato? Fa incazzare Ale e preoccupa Mary. James è l’unico coglione che gli fa complimenti, mentre io evito di rispondere, perché odio il modo in cui tratta quelle ragazze e come si frega dei sentimenti della sua ex.
Quando esco dal box doccia, mi avvolgo in un asciugamano e poi vado a vestirmi. Scelgo dei jeans scuri e una polo, dopo vado in camera da Mary per prenderla. La trovo però in salone in compagnia di Ale, che è tutta in ghingheri: con chi uscirà?
- Brad, senti, io e Léa accompagniamo Mary, okay?
- Aspetta, cosa?
- Sì, dai, almeno ti riposi. Stai facendo molto per lei, magari vai in palestra o suona, così ti distrai.
- Ma io sto benissimo, grazie. Non ho bisogno di niente.
- Dai, tu l’accompagni domani a fisioterapia.
- Scusa, ormai mi son vestito, va bene così.
Ale desiste ma continuo a non capire perché tanta insistenza: che male c’è se l’accompagno io e non lei?
Alla fine io e Mary andiamo in macchina, ma sono costretto come sempre a farle scendere quei tre gradini davanti casa. La faccio sedere davanti accanto a me prima di mettere in moto l’auto. È stranamente taciturna, così metto un po’ di musica per riempire il vuoto che c’è in auto. Quando passano alla radio Shout out to my ex do per scontato che cominci a cantare felice e spensierata, invece non avviene, rimane impassibile. Sta male ed io non me ne sto accorgendo, ma non capisco perché. Fermo la musica, accosto la macchina, mi rivolgo dritto a lei: - Che succede? Sai che puoi dirmi tutto.
- Bradley, facciamo tardi. Meglio andare.
- Mary, non mi muovo finché non me lo dici.
- Dio, Brad, che coglioni! Sono la tua ragazza, non tua figlia! Potresti farti i cazzi tuoi una volta tanto?
Stupito dalla sua risposta, non rispondo nemmeno, mi limito a ripartire. Perché adesso se la prende con me? Perché sua figlia? Perché dovrei vederla così?
Tacciamo per l’intero tragitto, sempre in silenzio entriamo nell’edificio senza rivolgerci la parola. È incazzata ma non credo dovrebbe esserlo, perché io la sto aiutando in tutti i modi, la sto sostenendo, appoggiandola, e qual è il suo ringraziamento? Sono appiccicoso. Quando però Mary incontra i ragazzi si mostra sorridente, felice, calma e tranquilla. So però che ha inghiottito le sue emozioni per fingere, ma so che prima o poi dovrà rigettarle.
Sono io la causa del suo male, sono più odioso di quella fottuta sedia a rotelle, ma non capisco perché. Perché non capisce che voglio solo il meglio per lei? Voglio stia bene, che guarisca presto, così potremo tornare alla vita di prima, a baciarci come amanti per le strade della città, a far l’amore nel cuore della notte, a suonare e cantare … Già, Mary ancora non ha ritoccato alcuna corda della chitarra, né pigiato alcun tasto del piano. Se solo riprendesse la musica starebbe meglio, perché una semplice melodia può veramente cambiare tutto.
Il suo continuo sorridere forse mi dà quasi fastidio, perché mi ricorda che è incazzata con me. Decido però di rinunciare a pensarci e di concentrarmi su quello che gli altri stanno dicendo.

Mary

Manca ancora troppo tempo prima che possa liberarmi di quest’affare a quattro ruote: voglio la mia autonomia.
Sono stanca di esser trattata come una malata, perché tutti voglio per forza aiutarmi in qualcosa, anche in cose che posso fare tranquillamente da sola. È così spregevole non volere più nessuno intorno? Posso stare da sola una volta tanto?
Fortunatamente l’incontro è appena finito e non posso credere di aver mascherato le mie emozioni così tanto a lungo… Ho avuto un sorriso falso solo per incoraggiare quei ragazzi a combattere la propria malattia, proprio come ho fatto io, ma forse le conseguenze dell’intervento sono peggiori della malformazione al cuore in sé. Mary, dai, ti manca solo poco tempo e poi tornerà tutto normale.
Brad si mette dietro di me per guidare l’amata sedia a rotelle in un silenzio religioso. Non ho voglia di parlargli, perché qualunque cosa dica è riferita alla mia condizione. Dio, prima era tutto coccole e sesso puro, adesso è come se fosse una tata, ma io non ho bisogno di una babysitter.
Ad un certo punto il mio ragazzo comincia a blaterare su non so cosa, ma non gli presto attenzione, perché non voglio che mi ricordi che sia malata, cazzo, lo so da me!
- Mary! Cazzo, scusami!
Bradley infatti si è distratto facendo incastrare le rotelle in una buca. Purtroppo per liberarmi forza la prosa e cado a terra.
Poggio i gomiti a terra, ma non ho abbastanza forza per rialzarmi.
Distendo le braccia, ma non ho abbastanza forza per rialzarmi.
Alzo il busto e il capo, ma non ho abbastanza forza per rialzarmi.
- Ehi, ci penso io … Dammi le mani ché ti aiuto.
Lascio di nuovo che Bradley mi alzi, che di nuovo mi tratti per quella che sono, una fottuta ragazza di 21 anni che non può più badare a se stessa. Rimango nel silenzio totale, perché è l’unico modo per non far trasparire dolore.
Bradley mi carica in macchina come se fossi nient’altro che un peso da portare. Non sono più quella ragazza di cui si era innamorato, no, sono solo una paziente. Non c’è amore, non c’è sentimento, non c’è passione: c’è solo pietà.
Mentre inserisce la chiave nell’auto, guardo fuori dal finestrino, osservando il luogo in cui è accaduto quel che è appena successo.
- Perché non mi lasci, Bradley?
Sussurro questa domanda che mi sto ponendo da fin troppo tempo.
- Scusa, cosa?
- Ho detto: perché non mi lasci, Bradley?
Ho alzato il tono di voce scandendo le parole perché mi senta chiaramente. Sembra però non capire, mi guarda strano.
- Cosa cazzo stai dicendo, Mary?
- Bradley, non credo sia difficile da comprendere. Posso lasciarti io, se preferisci.
- Mary, ma che cazzate stai sparando, cosa cazzo ti succede! Non ti lascerei mai in una situazione simile, lo sai!
- Cazzo, è questo il punto, Bradley! Sono stanca, SONO STANCA, VA BENE?! NON SIAMO PIU’ UNA COPPIA, NON SO NEMMENO SE TI AMO ANCORA!
Comincio a piangere in preda alla rabbia, perché sto scoppiando e non riesco più a tenere tutto dentro.
- Mary, ma che dici? Tu mi ami, io ti amo, noi ci amiamo!
Cerca un contatto con la mia mano, ma glielo nego.
- COME PUOI AMARE QUALCUNO CHE È DIPENDENTE DA TE, COME POSSO AMARE QUALCUNO TANTO ASFISSIANTE! HO BISOGNO DI UN RAGAZZO, NON DI UNA BADANTE! PERCHE’ NESSUNO CAPISCE CHE HO BISOGNO DELLA MIA AUTONOMIA! – respiro cercando di calmarmi, prima di riprendere il discorso – La rivoglio indietro, Brad, ho bisogno di riavere me stessa. Non sono più una persona, ma un’ameba, cristo. Vedo tutti quegli sguardi di pietà rivolti a me, nessuno mi guarda più come prima, soprattutto tu. Vorrei qualcuno che per almeno un secondo mi amasse davvero,1 mentre tu mi stai col fiato sul collo, perché mi parli solo di questo, della mia fottuta malattia. Nessuno di voi sa quanto sia straziante vivere così, non pensate mai a me in questo senso. Voglio Mary Evans, Bradley, voglio me stessa: non voglio essere un peso per nessuno.
Mi abbandono ad un pianto doloroso e straziante, mandando a fanculo tutto e tutti: sono stanca di sorridere, SONO STANCA DI ESSERE FORTE! Voglio essere di nuovo l’adolescente che piange per tutto, sono stanca di fare la grande.
Bradley mi scosta le mani dagli occhi che avevo messo sul volto. Anche lui sta piangendo, ma per altri motivi.
- Mary, mi dispiace … Scusa se ti ho trattato solo da bambina malata, se non ci ho pensato: avevo solo paura di perderti. Però posso dirti che non rimpiango alcun momento, tutte quelle volte in cui ci siamo lasciati e poi ripresi, tutti i bei momenti, tutte le liti, perché è la nostra storia d’amore. Mary, ti dico anche che non devi pensare agli ostacoli, va bene? Li supereremo insieme, mano nella mano, perché ti amerò fino alla fine. Ti prego, lascia che ti ami ancora.
Lo guardo incredula, anche se queste parole possono sembrare scontate e adatte solo ad una fiaba d’amore. Bradley mi ama, mi ama davvero, ed io ho bisogno del suo amore più che mai. Sento il cuore battere a mille e tra le lacrime lo bacio appassionatamente. Bradley ricambia con altrettanto sentimento: finalmente lo sento come il mio ragazzo, come colui che amerò per sempre infinitamente.
- Ti riporto a casa, piccola principessa?
- Sì, direi di sì.
- O vuoi fare tappa a mangiare qualcosa?
- Perché no … Ho voglia di qualcosa di dolce.
- Torta?
- Nah, pensavo più milkshake e donut.
- Aggiudicato.
Facciamo così tappa da Starbucks, ma solo Brad scende dall’auto, perché non ho voglia di aspettare troppo a lungo la mia merenda. Mentre attendo mi ritrovo a pensare a quelle dolci parole che mi ha detto: senza accorgermene mi metto a cantarle:

Don’t care ‘bout the odds oh no
Cuz we will fight against them , hand in hand

Più le penso, più penso siano perfette tanto da essere surreali. Sono parole pronunciate di getto, eppure è riuscito a comporre una struttura armoniosa e ben costruita. Sembrava un discorso preparato, uno di quelli già fatti, pronti all’uso: invece Brad ha la stessa capacità di un oratore, ma mentre per Gorgia tutto era fittizio e puro tecnicismo, per Bradley è vero.
Torna con il cibo in mano che tengo gelosamente, in attesa di godermelo a casa. Aspetto di tornare a casa anche per un altro motivo: scrivere di nuovo.

Don't Care (Make Me Crazy: Volume II)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora