Capitolo 2

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Sentii di nuovo quella voce, pronunciare ancora una volta quel nome, Abby.

Ogni volta, avevo la fastidiosa sensazione di sapere il suo significato, ma alla fine, non riuscivo mai ad associare un senso a tutta la faccenda.

La fonte di quella voce, rimase sconosciuta.

Ovunque mi girassi, vedevo una distesa di un bianco celestiale.

Cosa che, per quanto possa sembrare strano, mi soffocava.

Poi accadde un fatto che pose fine a quella situazione.

Successe d'improvviso, senza neanche un preavviso.

Tutto quanto attorno, cominciò a diventare scuro e in un breve arco di tempo, il terreno su cui ero appoggiata divenne un turbinoso vortice violento.

Risucchiò quel che c'era, ovvero solo me.

Fu come se mi stessero tirando, e poi di nuovo comprimendo, e ora tirando e comprimendo e tirando.

Questo continuò finché tutto si spense.

Silenzio.

Nulla.

Il vuoto assoluto.

Non ricordo esattamente cosa significasse nascere, ma giuro, in quel momento era come se stessi nascendo una la seconda volta.

Aprii lentamente gli occhi, con una fatica indescrivibile.

Una forte luce mi abbagliò.

Gente.

Gente tutt'attorno a me.

Dove mi trovavo?

"Abby!" Esclamò una signora, alla mia destra.

Di nuovo quel nome.

Che fossi davvero io, quella Abby?

"Signori, vi prego di non starle troppo vicino, la paziente si è appena risvegliata dal coma e dobbiamo farle delle analisi per controllare che tutto sia a posto." disse gentilmente un'infermiera sulla sessantina.

Passarono 2 ore o anche di più, prima che potessi ritornare nella stanza in cui, con estrema fatica, mi ero risvegliata.

Qualche giorno dopo, conobbi una ad una tutte le persone che erano attorno a me quando mi ero svegliata.

La prima che vidi, fu una signora sulla quarantina, dal volto buono e gentile.

Aveva le lacrime agli occhi e quando fu dentro, corse verso di me e mi abbracciò forte.

"Oh Abby, non immagini per quanto tempo abbia aspettato questo momento." mormorò.

Non riuscivo a capire chi fosse né che rapporto avesse con me.

"Scusi signora, ma lei chi è?" chiesi, qualche istante più tardi.

Si staccò da me e mi guardò incredula. "Abby, sono tua madre, non te lo ricordi?"

Corrugai la fronte. "A dir la verità, in questo momento non ricordo assolutamente nulla." risposi, sentendomi un po' in colpa.

"Non ho ancora capito cos'è successo e perché sono qui."

"Qualche mese fa, mentre stavi andando a scuola con James, hai avuto un'incidente stradale e sei rimasta in coma da allora." spiegò, lasciando trasparire un velo d'angoscia in volto.

Tutto ad un tratto, un'infinità d'immagini si riversarono nella mia mente.

Un camion, un grande botto, urla, il suono dell'ambulanza che arrivava.

"Ricordi?" chiese la signora.

Scossi la testa. "No, non riesco a ricordare nulla." ammisi, preoccupata.

Sorrise tristemente. "Non avere paura, i dottori hanno detto che è normale che tu ti senta disorientata.

Non cercare di sforzarti troppo a ricordarti, col tempo, ti ritornerà in mente ogni cosa." disse, cercando di essere il più rassicurante possibile.

Nei giorni successivi, mi vennero a trovare molte persone, e tra tutti quelli che mi visitarono, un ragazzo dagli occhi azzurri mi colpì particolarmente.

Era entrato, senza smettere di fissarmi.

Sembrava quasi avesse paura che sparissi da un momento all'altro.

Lo guardai curiosa.

"Abby." mormorò, con un filo di voce.

A differenza delle altre, mi parve di aver già sentito da qualche parte quella voce.

Corrugai la fronte e iniziai a pensare, ma non mi venne nulla in mente.

Mi guardò con incredulità ed accennò ad un sorriso.

"Chi sei?" chiesi, senza distogliere gli occhi dai suoi.

Il suo sorriso sparì e mi fissò con sguardo assente.

"Sono..." disse, ma non riuscì a terminare la frase che entrò l'infermiera anziana.

"Mi dispiace interromperti ragazzo, ma la paziente dev'essere portata nel reparto neurologia."

Non ebbi il tempo di salutarlo, né lui di rivelarmi chi era, infatti, l'anziana infermiera, mi portò su una sedia a rotelle per la seduta quotidiana con quello che per me era qualcosa come uno psicologo-neurologo.

Quelle sedute, servivano ad aiutarmi a farmi ritornare in mente tutto ciò che mi era stato cancellato.

Ricapitolammo, come sempre, di tutto ciò che avevo fatto nei giorni precedenti.

Non riuscivo a capire l'utilità di quella routine perché ogni volta era sempre la stessa storia e finiva sempre che non mi veniva in mente nulla.

Quella volta però, accadde qualcosa di particolare.

Quando parlai al psicologo di mia mia madre che mi spiegava dell'incidente, nel momento in cui pronunciai il nome James, ebbi d'un tratto un flashback.

La scena era ambientata nel corridoio di una scuola.

Stavo camminando a testa bassa e c'erano alcuni studenti, ai lati, che sghignazzavano al mio passaggio.

Poi eccolo, di fronte a me, il ragazzo dagli occhi azzurri che rideva e mi indicava ai suoi compagni.

Una forte rabbia nacque in me, e avvicinando a lui, gli dissi qualcosa, ma prima che potessi sapere cosa, la scena si dissolse.

James.

Il ragazzo di poco prima era James e, dal flashback, dedussi che prima dell'incidente non andavamo molto d'accordo.

Andiamo a guardare il tramonto insieme?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora