Capitolo 26

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Fu difficile ambientarmi in quel nuovo luogo, stringere nuove amicizie, e sopratutto accettare il fatto che una nuova fase della mia vita era cominciata.
Per quanto mi sforzassi di far andare tutto per il verso giusto, finivo sempre per sdraiarmi sul letto, esausta, alla fine di ogni giornata.
Forse era proprio questo il mio problema, sforzarmi.
Era come se cercassi di reprimere tutto quello che provavo, dentro a una scatola, che era chiaramente incapace di contenere tutto.
C'erano giorni in cui mi svegliavo, e sapevo che non sarebbe andata a finire bene.
Si potevano benissimo notare le nuvolette grigie, preannuncianti tempesta e pioggia, che mi galleggiavano intorno come in certi cartoni animati.
E io, dopo essermi preparata, uscivo dalla mia camera con il sorriso più falso del mondo e affrontavo la giornata con finto ottimismo.
La cosa che più mi sconcertava è che nessuno sembrava accorgersene, anche se era ovvio il mio stato d'animo; forse ero solo io che avevo sottovalutato le mie capacità recitative.
Continuavo a mentire anche a James e Marianne che credevano fossi riuscita a stringere amicizia con qualcuno.

A dispetto di tutto, nonostante cominciassi a pentirmi di essermene andata dall'America, non mi arresi.
Avevo da sempre odiato arrendermi.
Detestavo apparire debole, come una che molla di fronte alla prima difficoltà.
Non l'avrei sicuramente data vinta a quei schifosi figli di papà.
Il mio orgoglio mi avrebbe sicuramente impedito di lasciare quel posto e non so se fosse un bene o un male.

Camminando con i capelli sciolti per coprire la faccia, mi diressi verso il mio armadietto per prendere i libri per la lezione successiva.
Erano così pesanti che finì inevitabilmente col rovesciarli per terra.
Fantastico.
Le mie aspettative su quella giornata non mi stavano deludendo.
Così, tutte le mie penne, i miei fogli e quello che c'era nella borsa, caddero per terra, sparpagliandosi dappertutto.
Alcuni risero, altri bisbigliarono tra di loro guardandomi, e altri semplicemente mi ignorarono.
Raccolsi frettolosamente tutto, con rabbia e allo stesso tempo tristezza.
Volevo solo andarmene via il più velocemente possibile ma quei maledetti libri sembravano spuntare da tutte le parti.
Il campanello suonò proprio quando finii di rimettere tutto a posto.
Andai di corsa verso l'aula, che era dall'altra parte del campus.
Arrivai che non respiravo più - non ero mai stata molto brava a correre - e presi posto in una delle ultime file.
Dopo aver finito di leggere qualche scartoffia, il professore iniziò a spiegare.
Fu una meravigliosa lezione.
Amavo la letteratura, e se c'era una cosa che rendeva migliore le mie giornate in quell'inferno, erano i corsi che c'erano.
Per il resto, a parte le figuracce e i soliti mormorii e sguardi indignati, la giornata passò come da copione, del resto, come tutte le altre trascorse da quando ero arrivata.
Dopo mangiato, andai subito in camera, anche se gli altri erano rimasti quasi tutti nella sala grande per guardare un film.
Mi feci una doccia e mi misi il pigiama.
Non vedevo l'ora di dormire.
Proprio quando stavo per sdraiarmi però, qualcuno bussò alla porta.
Andai ad aprire, sospettosa che potesse essere semplicemente uno stupido scherzo.
In effetti, quando aprii, non c'era nessuno, tuttavia, proprio quando stavo per richiudere la porta, piuttosto scocciata, notai il mio quaderno degli appunti posato per terra.
Lo presi e mi guardai intorno, chiedendomi chi potesse avercelo messo, però in corridoio non c'era proprio nessuno.
Richiusi la porta e andai a letto.
Aprii il quaderno e notai che in alto a destra qualcuno aveva scritto:《Ti sei dimenticata del tuo quaderno, sta mattina, quando ti è caduta la borsa.
Sei davvero bravissima a scrivere! Okay, ammetto di aver dato una breve occhiata al tuo quaderno, giusto per sapere di chi era, e devo dirti che sono rimasto senza parole, leggendo le prime righe della tua storia.
Okay, non voglio scarabocchiarti tutta la pagina quindi, scusami ancora per aver "violato" la tua privacy e complimenti.
Non c'era scritto nient'altro, solo quelle poche righe.
Non mi ero proprio resa conto di aver perso il quaderno, quella mattina.
Sebbene fossi un po' irritata dal fatto che qualcuno avesse ficcato il naso in quello che avevo scritto, dovetti ammettere che mi fecero piacere quelle parole.
Era sa un po' di tempo che stavo cercando di scrivere un romanzo e non mi aspettavo proprio che potesse piacere a qualcuno, specialmente a qualcuno che era di quella scuola.
Da quello che c'era scritto, doveva essere un ragazzo.
Continuai a chiedermi chi potesse mai essere, fino a quando non mi addormentai per la stanchezza.
Feci un bellissimo sogno, finalmente dopo tanti incubi.
In quel sogno ero ancora in America, insieme a James.
Sembravo felice.

Andiamo a guardare il tramonto insieme?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora