Capitolo 16

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Mamma mi venne a prendere subito, anche se quel giorno era piena di lavoro.
Prendemmo l'autobus e, con un po' di fatica, riuscimmo ad arrivare a casa.
Proprio quando entrammo, cominciò a piovere, prima piano e poi sempre più forte.
Dopo avermi misurato la temperatura e messa a letto, mamma dovette andarsene subito.
Rimasi seduta contro il cuscino, con gli occhi chiusi e la mente piena di pensieri.
James.
Perché avevo sempre in testa quell'idiota?
Dicono che in una coppia sia normale bisticciare, ma non ne ero più tanto sicura.
Ogni volta che ci vedevamo c'era sempre qualcosa per cui litigare e alla fine finivamo sempre col smettere di parlarci per giorni e a volte, anche di più.

Non riuscivo proprio a capire come fossi finita in una situazione del genere.
Io, che da quando papà se ne andò via, mi ero ripromessa di non finire come la mamma, che aveva perso tutto per stare insieme all'uomo con il quale credeva sarebbe vissuta per il resto della sua vita.
Ovviamente, non posso definirmi un'esperta di temi tanto vasti come l'amore, ma per quel poco che so, penso che quando ci sono di mezzo sentimenti come questi, nonostante la loro incredibile capacità di farti sentire viva e di guarire le piaghe della vita, finisci sempre col procurarti altre ferite che sfortunatamente non guariscono tanto facilmente.

Magari mi stavo anche sbagliando, e probabilmente alla fine si sarebbe risolto tutto, ma in quel momento, fui travolta da un'immensa ondata di stanchezza.
Non ne potevo più di quella situazione.
Mi voltai fuori dalla finestra e guardai le gocce di pioggia cadere violente contro il vetro, per poi rigarle.
Presi il cellulare e vidi che mi avevano lasciato dei messaggi sulla segreteria telefonica.
Uno era di mamma, che mi chiedeva se andava meglio, l'altro di Mari e Geroge.
Non riuscì a sentire bene ciò che stavano dicendo perché c'era un brusio di fondo che rendeva impossibile capirli.
Probabilmente stavano uscendo dalla scuola.
Riuscii solo a cogliere alcune frasi come "cos'è successo e..." e "Marianne ha visto...l'idiota prenderti... in infermeria."
Il messaggio finiva lì.
Dato che in quel momento non avevo molta voglia di rispondere posai il cellulare e mi sdraiai.
Dormii per qualche ora, fin quando non mi svegliai da un orribile incubo.
Avevo la fronte bagnata di sudore e il cuore batteva forte.
Stava ancora piovendo e fuori si era fatto tutto buio, nonostante fossero ancora le quattro di pomeriggio.
Mamma sarebbe tornata tra non molto insieme a Jacob.
La testa continuava a farmi molto male e la nausea non voleva passare.
Mi alzai e arrivai un bagno appena in tempo per vomitare quel poco che ero riuscita a ingerire a pranzo.
"Merda." imprecai, fra me e me, cercando di rimanere in piedi.
Mi spruzzai dell'acqua fredda in faccia e inspirai profondamente.
In quel momento suonò il campanello.
Anche se andai praticamente strisciando, riuscii a giungere fino alla porta.
Probabilmente era Mari o George o tutti e due.
Mi avevano detto che forse sarebbero venuti a trovarmi se ci fossero riusciti.
E invece non era nessuno dei due.
Anzi, non era nessuno che mi aspettassi di vedere.
Rimasi pietrificata alla vista dell'uomo di fronte a me.
Occhi grigio come le nuvole che occupavano il cielo di quell'oggi, alto all'incirca un metro e ottanta e corporatura robusta.
L'avrei riconosciuta anche tra un migliaio di anni, quella faccia.
Quella che sette anni fa', era sparita dalla mia vita senza né preavvisi né niente, quella che, fino a quel giorno, non avevo mai più rivisto.
"P-papà.." pronunciai con voce soffocata.

Andiamo a guardare il tramonto insieme?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora