Capitolo 5

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La stanza cominciò a girare nella mente di Brandon. “Starò ancora sognando. Si si, non c’è altra spiegazione.” Pensò. “Tutta quella storia, Sarah che parlò con mamma, io che sono figlio di… no. Non è reale. Adesso riaprirò gli occhi nel mio letto e…”

-Brandon- disse Isabelle. -Lo so che non è facile da capire, starai pensando che sono tutte sciocchezze, queste cose in realtà non esistono, ma è la verità figliolo. Ti prego, credimi.- Brandon non la stava guardando ma lo sapeva, stava piangendo. Lo sentiva dalla voce rotta.

-Per quanto ancora me lo avresti nascosto?- chiese Brandon con più violenza di quanta volesse usare. -Perchè non me lo hai detto prima? Perchè tenermelo nascosto per tutti questi anni?- adesso stava urlando.

-Brandon tu non capisci! Non potevo dirtelo! Non volevo che tu sapessi…-

-Non volevi che io sapessi che cosa sono realmente? Non volevi dirmi che in realtà non sono tuo figlio ma sono un MOSTRO?!- Brandon si alzò dal tavolo e corse verso la porta. La aprì e scappò fuori, voleva allontanarsi il più possibile da quella casa, da quelle bugie, da quelle persone. Corse con le lacrime che gli rigavano il viso, il vento pungeva. Saranno passati venti minuti da quando ha cominciato a correre e Brandon si accorse che non aveva il fiatone. Non era stanco, avrebbe potuto continuare a correre se non fosse stato per una figura dietro di lui che gli saltò addosso e lo buttò a terra. Brandon riconobbe Sarah che gli immobilizzò le braccia al terreno.

-Cosa diavolo credi di fare ragazzino?- chiese Sarah. -Pensi che scappando di casa riesci ad allontanare tutti i tuoi problemi? No caro mio. Non serve a niente, anzi in questo modo rendi le cose facili ai cattivi.

-Oh mio Dio. Davvero? Ci sono dei cattivi? Ti prego dimmi che sono entrato in un libro.- Disse Brandon in modo arrogante.

-Non scherzare con me ragazzino. Potrei tranquillamente darti una botta in testa e riportarti a casa in meno di 2 minuti se volessi. Ma non voglio, l’unica cosa che voglio adesso è che tu capisca la situazione pericolosa in cui sei. Non sappiamo il perchè ma sappiamo per certo che qualcuno ti cerca e non vuole solo prendere un caffè.-

-Ok, se vuoi possiamo parlarne ma…che ne dici se prima mi liberi e mi fai sedere? Sai, non è un posto molto comodo.-

Sarah lo liberò e Brandon potè sedersi su una panchina lì vicino.

-Allora. Spiegami le cose per bene. Prima di tutto, chi sei tu?-

-Va bene, ti dirò tutto. Il mio nome è Sarah Elizabeth Westwood. Sono nata in una ricca famiglia inglese, nel 1834.

-Ma…-cercò di chiedere Brandon.

-Zitto, le domande alla fine. Allora dove ero rimasta, ah si. Sono nata il 25 Ottobre del 1834. Vivevo la mia vita nel lusso più totale. Non mi mancava niente. Ero bella, ero ricca, avevo un fidanzato fantastico che si era innamorato di me per come ero non per chi ero. Si chiamava Jordan. Non potevo chiedere di meglio. Un giorno Jordan mi chiese di sposarlo e io naturalmente accettai. Sai, a quei tempi sposarsi a sedici anni era normale. Pochi mesi dopo il matrimonio scoprii di essere incinta. Non vedevo l’ora che nascesse e quando quel giorno arrivò scoprì che era una femmina, la chiamai Rebekah. Pochi giorni dopo mi sentii male, i medici dissero che avevo subito delle complicazioni dovute al parto. Non avevano cura, dovevo morire. Durante la notte un uomo mi venne a trovare. Aveva gli occhi rossi come il sangue, e mi parlò.

“Io posso darti la possibilità di vivere, di continuare il tuo cammino in questo mondo. Ho bisogno solo di un tuo si”

Io naturalmente non sapevo cosa stesse dicendo, stavo soffrendo come mai prima di allora e quindi accettai. Senza sapere a cosa stavo andando in contro. I miei ricordi del resto di quella sera sono confusi. Ricordo solo che quell’uomo si avvicinò a me e io sentii un forte bruciore sul collo. La mattina dopo mi svegliai e stavo bene, non avevo più nessun dolore. I medici arrivarono e rimasero senza parole. Parlarono di un miracolo, ma io non ci credetti. Non era stato un miracolo. Quando i medici mi controllarono il battito cardiaco si spaventarono. Il mio cuore aveva smesso di battere. Pensarono che fosse solo uno sbaglio ma io sapevo che cosa era successo. Avevo capito chi era quell’uomo o meglio, che cos’era. E soprattutto avevo capito che ero diventata come lui. Mi aveva lasciato un biglietto sotto il cuscino. Poche parole ma molto significative. “Benvenuta tra i figli della notte”. Non avevo più dubbi. Da allora dovetti scappare e nascondermi da tutti. Non rividi mai più mio marito e mia figlia. Imparai cosa volesse dire essere un vampiro, la forza, la velocità, la resistenza ma anche la fame. Nei primi tempi dopo la trasformazione il sangue animale non mi bastava, non mi dava le energie necessarie per scappare. Ho ucciso molta gente Brandon, e di questo me ne pento. Ogni singola persona a cui ho fatto del male ritorna nei miei incubi. E’ un dolore che non può essere cancellato. Mi trasferii molte volte, fino a quando trovai tua madre, sapevo che qualcosa non andava, avevo un brutto presentimento. La seguii per diversi giorni fino a quando non capii. L’uomo con cui era sposata non era lo stesso di sempre, era diverso. Era controllato da un demone. Probabilmente lo stesso Talto di cui hai sentito parlare. Cercai di avvertirla ma non mi volle dare ascolto. D’altronde, come darle torto. Quando la ritrovai, qualche giorno dopo, davanti alla mia porta mi sorpresi, mi chiese di aiutarla a capire di più. Lessi il diario di tuo padre e rimasi sconvolta da quello che ti aveva fatto. Le consigliai di trasferirsi in un’altra città, le dissi che ti avrei protetto e lei accettò. L’anno scorso sono dovuta andare via dalla città, la gente cominciava a vedere che dopo quattordici anni non ero cambiata per niente. Venni qui e conobbi Luke quasi subito. Dopo qualche mese ricevetti la notizia che anche voi vi stavate trasferendo qui. Non ne vado fiera ma avevo promesso di proteggerti. Quando Luke mi disse che avrebbe avuto un nuovo compagno di classe capii subito che eri tu. Lo convinsi con le mie abilità a stringere amicizia con te. E poi il resto della storia lo sai.

Brandon fisso Sarah sconvolto. Si rese conto di avere freddo solo in quel momento. Un brivido gli corse su per la schiena.

-Quindi, se non ho capito male, tu avresti più di cento anni?- chiese.

-Hai solo questo da dire? Davvero? Oh mio dio, sei un caso disperato.- commentò Sarah.

-In realtà vorrei solo correre e scappare da una persona che ha fatto tutte quelle cose e ha più di cento anni. Però resisterò alla tentazione di denunciarti per pedofilia visto che mi ispiri fiducia.- disse Brandon sorridendo.

-Sono ancora in tempo per quella botta in testa?- chiese Sarah tra sé e sé.

-Quindi- disse Brandon ignorando la domanda. -Tu saresti una specie di angelo custode?-

-Una specie.- rispose lei senza emozione.

Brandon alzò lo sguardo al cielo e si rese conto che stava diventando buio. -Voglio imparare a difendermi.-

-Cosa?- chiese Sarah

-Hai capito bene- rispose lui – voglio imparare a difendermi, così se mi dovessi ritrovare un'altra volta in una situazione come quella all'ospedale saprei come comportarmi.-

-Come pensi di imparare a difenderti? Non so se hai capito la situazione in cui ti ritrovi, io sono un vampiro, sei stato assalito da un licantropo, e tu sei per metà un demone. Non ti basterebbe un allenamento umano.-

Brandon quasi perse l'equilibrio. Non aveva ancora assimiliato l'idea di essere per metà demone, una creatura oscura e malvagia che viveva solo per fare del male al prossimo. Ma lui non era così, si sentiva normale, non aveva mai avuto pensieri malvagi, non aveva mai fatto male a nessuno. Allora perchè si stava preoccupando tanto? Non era diverso da come era quella mattina. Eppure più ci pensava più sentiva dentro di sé un qualcosa che voleva uscire, un desiderio che lo corrodeva dall'interno, un desiderio di dolore. Brandon lo ricacciò dentro e guardò fisso gli occhi di Sarah, quegli occhi verdi e grandi. -Io non sono un demone.- disse. -Io non sono un demone!- disse un'altra volta alzando ulteriormente la voce. Si voltò di scatto e cominciò a camminare per tornare a casa. Sentì Sarah che urlava il suo nome ma non le diede retta. Dopo una lunga camminata arrivò davanti alla porta di casa. Entrò e trovò sua madre seduta sul divano. -Brandon.- disse Isabelle.

-No mamma, non ho voglia di parlare. Voglio solo andare a letto e sperare di svegliarmi domani mattina scoprendo che tutto questo è stato solo un sogno.- E con queste parole Brandon salì le scale ed entrò in camera sua. Non riuscì a pensare a niente oltre a sdraiarsi sul letto e dormire, e così fece. Fu un sonno pesante, nero, senza sogni. Faceva freddo ma non importava, voleva solo dormire.

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