11. DI QUA, NUVOLE

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Reverie

Claude Debussy

Mi ricordo di quella mattina in cui mi svegliai presto perché sapevo che sarei andata al lago con papà e mia sorella Diana. Avevo 12 anni. La sera prima avevamo controllato le previsioni del tempo e sembrava ci fosse il sole. Mamma aveva preparato i panini e i nostri zainetti. È stato brutto dover annullare tutto per colpa di quelle nuvole improvvise. Erano nuvole scure, temporale assicurato. Ne rimasi delusissima e ci volle quasi mezza giornata prima che mia sorella mi facesse tornare il buon umore.

Ed è più o meno lo stesso cielo che rivedo oggi a Parigi. Le nuvole si muovono veloci ma sembrano girare in tondo. Nessuna avvisaglia di miglioramento. Anche il mio umore non è dei migliori. È come se tutto ad un tratto sentissi il peso di tutte le responsabilità da cui ero scappata. Allo stesso tempo non me la sento di mollare tutto e tornare a casa.

Gli eventi di questi giorni sono stati utili a farmi ricredere su molti preconcetti sbagliati che avevo prima di partire. Ma manca qualcosa.

È una gioia latente, offuscata da queste nuvole così dense di negatività.

Marie oggi non c'è. È andata con quei due turisti inglesi a visitare il Musée d'Orsay – veramente questa volta.

Tanto in ogni caso non sono dell'idea di essere seguita oggi e la meta che mi ero prefissata è tutt'altro che allegra. Sono partita da sola dopotutto. Per quale motivo adesso ho così paura di muovermi in solitaria? Anche se partissi domani avrei tutto il tempo di salutare tutti quanti al mio ritorno in albergo.

Per tornare alla mia meta odierna, ho chiesto a Lucie quale fosse il modo più rapido per raggiungere Père Laschaise.

Il cimitero è grande talmente tanto che nessuno si offenderà se decido di raggiungerlo in metropolitana piuttosto che a piedi. Va bene, non è esattamente un luogo di villeggiatura ma bisogna dire che il turismo "occulto" non desta nessun sospetto ormai. Tanto più per una come me, fanatica ammiratrice di gente morta per lo più.

Il tragitto in compagnia della mia musica di quella triste tipica delle mie giornaliere trasferte da casa a lavoro è come una persecuzione. Costantemente inseguita da una malinconia che mi attanaglia, non riesco a liberarmene nemmeno lontana da dove sono di solito. Nonostante tutto, non riesco a trattenere il sorriso, conseguenza della consapevolezza che il problema dal quale sono scappata forse sono proprio io. Mi piacerebbe soffermarmi su questa riflessione, anche perché forse il medico ha scoperto la causa del male del suo paziente. Però è ora di scendere dalla metro e farmi fare compagnia ancora una volta da qualcuno di diverso da me.

Il cielo continua ad essere nuvoloso.

Sarebbe bello poter percorrere questi sentieri costeggiati da tombe in autunno, con le foglie che cadono lente e tracciano un sentiero che lega tutti questi vicoletti. Anche adesso non è male però perché nonostante il cielo grigio, le stradine ghiaiose si adagiano sotto alberi in fiore e l'atmosfera è eterea.

La marcia dei cari, dei turisti, degli ammiratori in fila ad ammirare la tomba di Jim Morrison compongono un bucolico ritratto della vita. Io sono travestita da turista: impermeabile color caffè e una mappa con le tombe dei famosi sepolti qui dentro. Vorrei tanto fare visita a Chopin e anche ad Edith Piaf, solo che questo labirinto è così intricato che non riesco a trovare nemmeno l'ingresso. Da dove sono entrata prima?

« Non tutti conoscono la peculiarità di questo posto sa? Ogni duecento anni circa, le tombe precedentemente occupate da un defunto vengono riempite con nuovi corpi. Sono pochissimi quelli che resistono a questa infamia, ma alla fine non possiamo arrabbiarci più di tanto »

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