Chapter 17- Beyond My Limits

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"Sei sicura di quello che stai dicendo Cynthia?"

"Sono più che certa Tip, si è alzata dal letto alle 3 e 15 e non ci è più tornata. Sono due giorni che non si fa viva, non ho la più pallida idea di dove possa essere finita".

Eccolo qui, il momento del panico che arriva per tutti. Ad alcuni con un po' di ritardo, ad altri in modo automatico non appena la mente si focalizza su un pensiero.

Nel bordello, Tip stava facendo l interrogatorio ad ognuna delle sue ragazze per avere uno spiraglio di luce sul dove potessi essere finita.

Vi chiederete, come fai a sapere cosa è successo a tip se eri segregata in uno scantinato? Questo diario è stato scritto molto dopo, quando tutto si è concluso quando robert è st... Oh non pretenderete mica che vi racconti tutto adesso? Continuate a seguire la storia.

Dicevo, Tip era agitato, e, esattamente come immaginavo, teneva quelle sue mani nei capelli facendo avanti e indietro per le stanze e i corridoi. Non gli importava nemmeno più di rispondere alle mail, voleva solo assicurarsi che stessi bene.

No tip, non sto bene. E spero che in cuor tuo tu possa sentirmi. Credo che marcirò qui dentro per sempre, perché non ha intenzione di farmi uscire. Ma come posso dirti una cosa del genere a te, che sei la mia famiglia?

Fammi riformulare la cosa... Si tip, sto bene. Non preoccuparti, non so esattamente come farò a tornare a casa, ma in qualche modo ce la farò. Dopotutto, sono io, sono Kath. E togliermi dai guai resta il mio sport preferito, anche se forse, questo sarà un po' tosto da praticare. Ma sto bene.
Sono la solita stronza di sempre, forse con meno spavalderia, questa volta.

Tu invece Tip, stai bene?
A me non sembra.

"Dobbiamo trovarla ragazze, metteremo a soqquadro l intera città se necessario. Non è possibile che sia scomparsa nel nulla senza un cazzo di preavviso, non lo farebbe mai. Non a noi, non a me. Io non... Vi prego, trovatela."

Si era accasciato sul divano, con la mano che teneva la fronte, e le lacrime che cadevano sporadiche alternando gli occhi.

Le ragazze fecero un cerchio intorno a lui, come se fossero una grande famiglia, dove ognuno poteva contare sull altro, come a versi davvero aiutare l'un l'altro.

"La troveremo Tip, vedrai. Tornerà a casa sana e salva, magari ha solo staccato la spina per un po', forse sentiva il peso delle responsabilità ricadere su di lei. Vedrai, tornerà prima che tu possa riuscire a dire" mi manca".

Non era convinto, non lo era per niente. Sapeva che non era da me fare cose del genere, sapeva che c'era qualcosa che non andava.

"Già, sarà così."

Non ci credeva nemmeno lui. Tirò il viso in un sorriso forzatissimo.
Si alzò in piedi verso la parete dietro la sua scrivania, dove erano appese le foto delle ragazze del bordello, quelle delle serate dove uscivamo insieme come una vera famiglia, dove ci scordavamo del lavoro, dove potevano vedersi sorrisi e risate sincere dai bordi una fotografia.
Attimi così sereni sembravano un lontano ricordo, quasi nessuno ricordava la sensazione di leggerezza tra i pensieri, come se adesso fossero oppressi da qualcosa che per effetto d'inerzia li faceva ritornare inchiodati al terreno.

"Ti troverò, baby. Fosse l'ultima cosa che faccio nella mia cazzo di vita, giuro che ti troverò".





A centinaia di kilometri di distanza, in qualche angolo sperduto di chissà quale stato, mi ritrovavo a contemplare il vuoto rinchiusa in quella scatola infernale di posto, con una finestra che a malapena faceva intravedere il cambio tra luce e buio. Sbattuta sul pavimento, con un labbro sanguinante e la guancia arrossata, il corpo ancora legato alla sedia,il viso caldo dall'attrito avuto con il pavimento. Non riuscivo ad alzarmi, non potendo avere slancio con le mani, continuavo a stare ferma e china lì, per terra, in quella posizione contorta, con gli occhi stracolmi il lacrime che piano piano bagnavano il pavimento proprio sotto al mio viso.
Robert tremava ancora, a causa della potenza dello schiaffo che mi aveva dato. Teneva la sua mano tesa in avanti come se fosse sporca, il petto rigonfio, il fiato ansimante, gli occhi fissi sul mio corpo inerme. Non riuscivo a muovere un singolo muscolo, era come se la forza mi fosse uscita dal corpo senza più tornare.

"A-alzati Katherine. Fammi vedere".

Era inutile. Non ci riuscivo. Così venne verso di me e tirò su la sedia con un solo scatto, con me ancora attaccata, riportandomi in posizione seduta dritto davanti a lui.

"M-mi dispiace piccola. Non volevo farlo così forte, mi hai fatto arrabbiare e ho perso le staffe. S-scusami.".

Avevo gli occhi vuoti fissi su di lui, i suoi erano talmente lucidi che avrebbe potuto scoppiare a piangere da un momento all'altro.
Mi guardó il viso, una parte era completamente livida, striata di rosso a causa del sangue, il labbro scorticato, e lo zigomo gonfio. Che pena che dovevo fare, messa all'angolo da un pazzo qualsiasi, priva di ogni forza. Se solo ne avessi avuta un briciolo, mi sarei alzata per prenderlo a pugni.
Ce l'avevo a morte con me stessa per non riuscire a reagire, ma era come se fossi bloccata da qualcosa di più forte di me.

"Cazzo, ti ho deturpato il viso. Guarda cosa ti ho fatto" avvicinò la mano tremante al mio viso tumefatto, non riusciva nemmeno a toccarlo da quanto tremava, lo sfiorò a malapena.

"Ti prego, perdonami".

Si buttò sulle sue ginocchia davanti a me, poggiando le mani sulle mie gambe e china do la testa sulle mie cosce, come un bambino colpevole. Un bambino che non controllava le sue azioni, perché qualcos'altro le controllava al posto suo. Un bambino incapace di combattere la cosa che lo faceva stare male, e che per rabbia, anche se paradossalmente, se la prendeva con l'unica cosa che lo faceva stare bene.
Singhiozzava, sentivo le sue lacrime bagnarmi le gambe, e non era un pianto finto. Era quasi un urlo disperato di un uomo incapace di combattere. Era talmente fragile e allo stesso tempo forte, volevo abbracciarlo e allo stesso tempo farlo morire nella sua disperazione.

Perché lo meritava, eccome se lo meritava.

Prima mi amava e poi mi odiava, e non solo a parole. Quello che mi faceva non poteva rimare nemmeno lontanamente con la parola amore. Eppure, stavo lì muta a guardarlo piangere, con il capo chino su di lui e gli occhi lacrimanti.

"N-n-non importa Robert. Non eri tu. L-l'ho visto."

Balbettavo più del normale.

"Mi sta mangiando il cervello Katherine, non riesco a smetterla" le parole erano interrotte dai singhiozzi, a stento riusciva a formulare una frase.

È difficile combattere contro qualcosa che ti controlla, ma la parte più difficile viene quando devi combattere te stesso, gli impulsi e tutto ciò che ne scaturisce. Questa era la sua battaglia, solo che stava perdendo pur giocando in casa. E non lo sopportava.

"Andrà b-bene. In qualche modo. La faremo a-andare bene."

"Come fai a non odiarmi dopo quello che ti ho fatto... Sono un mostro."

Aveva la voce schifata come se pensarsi in quel modo gli provocasse il disgusto.

"N-non so spiegartelo Rob. Ma non ci riesco, giuro che vorrei tanto farlo ma N-non ci riesc...".
Dio quanto odiavo essere emotiva.

Si tirò su col busto, per arrivare con il viso alla mia stessa altezza, mi poggio delicatamente le mani sul viso, facendo attenzione a non fare pressione, e mi baciò. Sentiva il bisogno disperato di quel bacio. Ed io Non feci nulla per ritrarmi. Il suo sapore si mischiò con quello delle lacrime, e rese quel bacio ancora più essenziale.

Forse era pazzia la nostra, una sorta di malattia inconsapevole. Non lo sapevo. Ma c'era qualcosa di sbagliato in ciò che facevamo, nel modo in cui ci volevamo nonostante il dolore.

Come quando sai di non farcela ma allo stesso tempo spingi te stessa oltre i limiti, ecco.

Lui era l'oltre dei miei stessi limiti.

《Obsession🔥》Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora