Chapter 18 - Don't Let Me Fall Asleep

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Ho perso il conto dei giorni passati a marcire qui dentro. Mi sento debole, la pressione sotto le scarpe, il corpo coperto di lividi. Credo di aver perso peso, mi sento tremendamente leggera e non nel senso positivo del termine. Sento la testa vuota, i polsi ormai laceranti dalla stretta delle corde, non posso specchiarmi ma giurerei di avere due occhiaie violacee arrivarmi ai margini della bocca. Non so quanto tempo sia passato dall'ultima volta che ho messo cibo sotto i denti, mi sembra di essere qui da un'infinità, quando in realtà credo siano passate solo poche settimane.

Tip starà dando i numeri, già me lo immagino, a passeggiare per il suo ufficio con le mani nei capelli e gli occhi spauriti, facendo telefonate a più non posso per capire dove accidenti possa essere finita. Mi manca terribilmente la mia vita.

Ogni giorno incolpo me stessa di non essere rimasta a dormire quella notte e di aver assecondato un mio momento di debolezza che mi imponeva di andare a casa si robert anche solos per vederlo. A quest'ora forse non sarei qui.

Ho sete, mi fanno male le gambe. E ho bisogno d'aria. Gli unici momenti in cui riesco a sgattaiolare fuori sono quelli in cui mi accompagna in bagno, aspetta dietro la porta e poi mi riporta in cantina, per evitare che scappi.

La mattina mi chiude a chiave qui dentro mentre lui esce a lavorare come se niente stesse succedendo, torna per pranzo e resta con me tutto il pomeriggio, quando il suo umore lo permette si ferma a fare conversazioni lunghissime in cui parla solo lui, io mi limito ad annuire, sono troppo stanca anche per parlare. Le volte in cui è nervoso invece, mi va un po' peggio.

Prende il mio corpo con la forza e ci gioca un po' finché non si stanca, o addirittura mi prende a schiaffi sul viso o sulla schiena. Così, dal nulla. Come se avessi fatto qualcosa per farlo incazzare. La notte, quando mi lascia da sola, passo ore intere a piangere. Non lo facevo da anni, eppure nemmeno mi sforzo. Corrono da sole come se dovessero uscire per forza, mi addormento, e mi sveglio con gli occhi gonfi. Così, per tutti i giorni che manda il creatore, a patto che ne esista uno lassù.

Se questa voi la chiamate vita, io non so come chiamarla. Prigionia, tortura psicologica, non so quali altri aggettivi usare.

A volte vorrei solo poter prendere qualcosa e conficcarmelo nel petto, per poter finire questo supplizio.

Non mi sentirei in colpa, non sarebbe nemmeno un atto di coraggio. Ma sono stanca, terribilmente stanca di tantissime cose.
Lo odio da morire, eppure, se questi sono gli ultimi giorni che mi restano, sono contenta di stare insieme a lui. Perché in fondo ha ragione, siamo legati da qualcosa che non so spiegarmi.

Lui ha bisogno di me, e forse anche io ho bisogno di lui. Se tornasse il Robert di qualche mese fa, che ancora non aveva dato segni di squilibrio, di quell uomo li potrei anche innamorarmi, ma questo era un mostro sotto forma di uomo bellissimo. E mi faceva tanta paura. Perché non riuscivo più a riconoscerlo e allo stesso attempo ne ero immensamente attratta.

Sento le scale fare rumore, segno che sta scendendo, chissà quale punizione cercherà di infliggermi oggi, chissà quante altre lacrime verserò stanotte.

Chissà se userà quelle braccia per tenermi le mani o per picchiarmi, da lì a tre minuti lo avrei scoperto di nuovo.

Merda, ha la faccia incazzata.

Qualcosa nella sua giornata deve essere andato terribilmente male. Mi ha passato una brocca per poter bere Dell acqua fresca, una ciotola con della frutta, e mi ha detto di seguirlo per potermi fare una doccia. Nel suo essere così cattivo, a modo suo si preoccupava che stessi bene, lo faceva più per lui che per me, nessuno vorrebbe farebbe sesso con qualcuno con un cattivo odore, quindi quando me lo diceva, è perché alla fine il tutto giovava anche a lui. Infatti, quando tornai nel mio tugurio, mi scaraventò di forza a terra ed ebbe rapporti con me. Ero talmente senza forze che non riuscivo neanche più ad oppormi. Tanto lo avrebbe fatto comunque.

Quando finiva, mi riempiva di baci e di carezze, come se mi ringraziasse.

Sembravano baci di giuda, di chi prima ti sfiora il viso con dolcezza, e poi ti infligge cortellate nella schiena.

Perché questo era ciò che faceva. Ti dava tutto, te lo toglieva, e poi se ne pentiva. Giurava di non farlo più, e puntualmente riniziava da capo.

Oggi niente menate, ero stata fortunata. Oh no aspetta, eccolo tornare indietro, a spalmarmi uno schiaffo sullo zigomo, questa volta per non aver proferito parola e non aver goduto del suo lavoro. In quei momenti, avrei voluto cadere in qualche sonno profondo senza risvegliarmi, perché se avessi riaperto gli occhi, avrei avuto la certezza di dover rivivere un'altra giornata di agonia, all'infinito,o per chissà quanto altro tempo, aspettando solo che la luce segnasse l'inizio di un altro giorno.

Nel frattempo, la sola cosa che potevo fare era contare i minuti, fino alla prossima notte, fino al prossimo pianto, o alla prossima botta, o qualsiasi altra cosa fosse, tanto ormai non avrebbe avuto più importanza.

Sarebbe stato tutto terribilmente nero, scuro, o buio, o di qualsiasi colore vogliate immaginare qualcosa che faccia rima con la parola paura.

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