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«Jimin amore, apparecchia la tavola!Il collega di papà sarà qui presto»

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«Jimin amore, apparecchia la tavola!
Il collega di papà sarà qui presto»

Un'altra cosa che Jimin detestava nel profondo erano le cene tra amici di lavoro dei suoi genitori.

Per quelle occasioni importanti doveva cercare di essere il più composto possibile, vestirsi con il suo migliore completo, coprire con ancora più attenzione e trucco tutte le cicatrici procurate da quei colpi indelebili.
Certo, avrebbe potuto nasconderle con tutti i mezzi del mondo, ma dal suo cuore quelle violenze verbali e fisiche non sarebbero mai scomparse.
Erano ormai tristemente diventate parte di lui.

Una volta giunto in soggiorno, si accinse a sistemare con delicatezza la tovaglia rosa preferita da sua madre, mentre prendeva tutte le posate dal cassetto più basso della cucina.
Il servizio buono spettava agli ospiti, e doveva sempre essere tutto più che a puntino.
Jimin sapeva quanto sua madre ci tenesse, e cercava sempre di fare tutto al meglio per non essere una delusione anche per lei e suo papà.
Almeno da loro avrebbe voluto un po' di conforto e gratitudine, e in questi piccoli gesti riusciva a guadagnarsene una piccola parte, che già gli bastava a farlo sentire un minimo fiero della sua esistenza.

Proprio quando il piccoletto finì di arrotolare elegantemente l'ultima forchetta in un tovagliolo bianco, il campanello della porta d'ingresso suonò, facendo sobbalzare tutti in panico.

«Sono arrivati! Ecco, un secondo!» sua mamma si precipitò all'ingresso, tentando di ripulirsi nei pochi secondi il grembiule sporco di farina.

La gioia che vide negli occhi dei suoi genitori quando accolsero i loro invitati fu impagabile, e fu contento di aver contribuito a renderli felici.

Ma quando si accorse di chi stava varcando la soglia della sua casetta, il sorriso che possedeva prima in volto calò totalmente, trasformandosi in un'espressione tutt'altro che serena.

Non poteva crederci che proprio davanti ai suoi occhi, colui che era il collega di fiducia di suo padre, e che era rimasto in piedi a fissarlo al contempo, fosse proprio il ragazzo dagli occhi azzurri che pochi giorni prima aveva cercato di aiutarlo a rialzarsi, e che voleva addirittura chiamargli un'autoambulanza.

Se ne stava tranquillo, ad osservarlo dall'altra parte del salotto con uno sguardo ambiguo ma rilassato.
Teneva sotto braccio una bella donna, probabilmente qualche anno più giovane di lui.
Jimin ipotizzò che fosse sua moglie.
Erano proprio una bella coppia, pensò.

Ma la cosa che lo preoccupava era un'altra.
Durante la serata, quel ragazzo avrebbe sicuramente ricacciato l'argomento che Jimin tanto temeva.
E se avesse rivelato ai suoi di averlo rinvenuto su un marciapiede, mezzo morto e sepolto in una pozza di sangue?

Non poteva assolutamente permetterlo,
per questo avrebbe dovuto parlargli e intimargli di rimanersene zitto e al suo posto, senza immischiarsi in faccende che non lo riguardassero.

«Yoora, Taehyung! Entrate pure, che piacere vedervi finalmente».

Aveva già sentito quel nome tante volte, Taehyung.
Ricordava di come il padre lo lodasse in continuazione, raccontando di come fosse il suo assistente preferito, e tra l'altro il più efficiente.
E così, avevano avuto il piacere di conoscerlo, e con lui anche sua moglie.

La lunga occhiata che si scambiarono scatenò una sequenza di brividi lungo la schiena di Jimin.
Aveva uno sguardo veramente unico e carismatico, oltre che persuasivo.
Riusciva a rubarti l'anima a prima vista.

«Questa è mia moglie Minjee, mentre quest'altro...» iniziò a parlare suo padre, avvicinandosi a lui e prendendolo per una spalla, orgoglioso di annunciarlo al suo pupillo.
«...Quest'altro è il mio bellissimo figlio, Jimin» lo presentò con fierezza, e in quel momento il piccoletto si sentì veramente giusto per una volta nella sua vita.

Vedere il padre e il piacere che aveva nel proclamarlo era una vera gioia per lui.
Non si era mai sentito tanto voluto e apprezzato al tempo stesso.

Il ragazzo dal bellissimo volto etereo si sporse per baciare sulla guancia sua madre, infarinata dalla testa ai piedi e stanca per tutte le pietanze preparate.
Così fece la sua fidanzata, e quando arrivò il turno di Jimin, i due ragazzi si scambiarono uno sguardo complice.
Taehyung, con i suoi occhi fulminanti, gli fece capire senza nemmeno una parola che quella sera non avrebbe detto nulla ai suoi genitori.
Forse per una questione di rispetto, forse perché aveva percepito l'agitazione del più giovane nel vederlo lì, in casa sua.

«Piacere Jimin, io sono Taehyung».

E Jimin poté fidarsi d'altro canto, perché quella serata la trascorse tranquillamente, più delle altre a cui aveva fino ad allora partecipato.
Mangiarono tutte le portate fino a sentirsi scoppiare, risero, parlarono di affari e di futuro.
Jimin si sentì a casa, amato, quando i suoi genitori lo adulavano per la scuola e per le materie che aveva scelto da studiare in seguito.
Lo faceva stare bene vedere quel luccichio negli occhi di sua madre quando lo descriveva con tanto merito.

Ma nonostante tutto, Jimin non riuscì a capire perché quel ragazzo fosse rimasto zitto, senza accennare nulla dell'accaduto.
E neanche in seguito trovò un'occasione per parlare a quattrocchi con lui, e spiegargli la situazione.
Sembrava che se ne fosse completamente dimenticato.

E a lui del resto andava benissimo, perché meno guai avrebbe creato, meno persone avrebbero sofferto a causa sua.

HEAVENLY ; vmin Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora