1.2K 105 40
                                    

Jimin aveva veramente voglia di ciambelle quel pomeriggio

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.





Jimin aveva veramente voglia di ciambelle quel pomeriggio.
Caspita se ne aveva voglia.

Erano, tra tutti quanti, i dolci che mangiava più volentieri.
Capitava che a volte gli andasse di fare un salto in pasticceria e prenderne giusto quattro, due per lui e una a testa per i suoi genitori.
Le sue preferite erano quelle con la glassa alla fragola, ne andava totalmente pazzo e avrebbe potuto ingurgitarne a quintali senza stancarsi mai.

«Mamma, esco due secondi.
Torno tra pochissimo!» sgattaiolò subito fuori casa senza lasciarle il tempo per una risposta, e si avviò allegro verso il piccolo negozio.
C'era un sole cocente fuori, il cielo era sereno e azzurrissimo, ornato da piccoli batuffoli di candide e biancastre nuvole.

Questione di pochi minuti, prima che giungesse davanti alla vetrinetta scintillante, cosparsa di dolciumi di ogni genere.
Jimin amava mangiare, i dolci erano l'unica cosa bella che gli facevano desiderare di essere ancora in vita.

Entrò come era solito fare spesse volte nella settimana, e salutò amichevolmente il proprietario, che ormai lo conosceva bene.

«Buon pomeriggio a te Jimin, cosa ti posso dare oggi?» disse gentilmente l'uomo, intuendo già la risposta perché ormai aveva imparato a memoria i gusti del suo più affezionato cliente.

«Quattro ciambelle, due alla fragola e due alla nocciola» dichiarò il piccoletto con l'acquolina in bocca, pregustando già le sue dolci ricompense.

«Te le porto subito, ne ho appena sfornate alcune sul retro, aspetta un attimo» gli sorrise quello, trovando estremamente tenero l'atteggiamento di Jimin.

Lui era così, un bambino troppo cresciuto che arrossiva ad ogni complimento, che amava lo zucchero e ridere a crepapelle, quando ne aveva l'occasione.
Però Jimin non rideva per davvero da molto molto tempo.

Si mise comodo dondolandosi sui talloni, ad aspettare che il signore gli consegnasse le sue amate paste, finché non si voltò, avendo sentito il rumore della porta che si era aperta.

Quando vide chi stava effettivamente entrando nel negozietto, spalancò gli occhi in preda al panico, e il sorriso giocoso che contornava poco prima le sue labbra svanì totalmente.

«Jiminie! Che ci fai qua? Che strano caso incontrarti fuori scuola!» sempre la stessa e identica dannata voce che gli metteva i brividi.

Ma Jimin quella volta era tranquillo, perché lì non era solo.
Non potevano picchiarlo, perché avrebbero passato brutti guai se li avessero beccati a torcergli un solo capello.
Ma questo lo mantenne comunque poco calmo, poiché la paura che provava dentro ogni volta che incrociava quello sguardo di fuoco era troppo forte.

Deglutì a fatica, cercando di non lasciarsi intimorire da quella banda di persone spietate che avevano preso a circondarlo, lasciandogli sempre meno spazio.

«Anche oggi si accettano scommesse, ragazzi! Jiminie si strafogherà da solo e svuoterà tutto il negozio, oppure si limiterà a ripulire solo alcuni banconi? Ingrasserà di tre chili o di quindici in un solo giorno?».

Quelle stupide parole accompagnate da clamorose risate, a cui lui non avrebbe dovuto dar così tanto peso, in realtà lo scossero veramente tanto.
In quell'istante, forse, avrebbe preferito essere preso a pugni fisicamente più che verbalmente.
Perché era ben consapevole che le violenze psicologiche che accettava erano molto peggio di tutti gli schiaffi che avrebbe mai potuto ricevere.

«Non sei stanco di essere così? Di servirci su un piatto d'argento tutte le battute che possiamo rifilarti? Perché non inizi a migliorarti? Ti farebbe bene, te lo dico col cuore» Jimin avrebbe voluto sputargli in piena faccia che lui un cuore proprio non ce lo avesse, e così neanche un briciolo di umanità, ma non poté farlo in una situazione del genere.
Era ugualmente rischiosissimo per lui, perché seppur non potessero picchiarlo lì seduta stante, avrebbero di sicuro provveduto ad ammazzarlo per bene nei bagni di scuola durante l'intervallo.

Jackson, il capo e il più alto di tutto il gruppetto, si appostò davanti al ragazzino indifeso, avvicinandosi pericolosamente al suo naso.

«È una fortuna per te che io non possa prenderti a calci nel culo qui, perché ti giuro che se ti avessi tra le mani, cazzo io ti-...» ma non riuscì a finire la frase, perché fu interrotto da qualcosa.
Da qualcuno.

«...Cosa vorresti fargli, allora?» pronunciò una voce, che Jimin ormai aveva imparato a conoscere per tutta la serata precedente.
E quando vide il ciuffo castano spuntare da dietro l'ingresso, fu certo di non potersi sbagliare.

Era Taehyung.

Il biondo si girò, con aria minacciosa, certo che avrebbe polverizzato chiunque si fosse immischiato in quella conversazione, ma quando si voltò ebbe la spiacevole sorpresa di ritrovarsi davanti un ragazzo molto più grande di lui, probabilmente più forte e più agile nel tirare sberle a destra e manca.

«Che cosa stavi dicendo, marmocchio?» il castano gli rivolse uno sguardo infuriato contro, costringendolo a cambiare i piani che aveva programmato.
Jackson, il bullo che si divertiva a rendere la vita di Jimin un inferno, sbuffò imbronciato e fece per andarsene con i suoi tirapiedi, non prima di aver mimato con le labbra un "non è finita qua, stronzetto", rivolto chiaramente alla sua vittima.

Fu la prima vera volta in cui Jimin poté respirare sul serio, e ringraziare silenziosamente colui che lo aveva tolto dai guai.

«Io... grazie» disse lievemente, come se non volesse farsi sentire.

«Ti hanno fatto qualcosa? Erano loro quelli che ti hanno ridotto in quel modo l'altro giorno?» il maggiore cominciò a fare domande su domande, e il piccoletto fu salvato solo dall'arrivo del proprietario che gli aveva finalmente portato le sue ciambelle.
Ma in quel momento, il suo stomaco era più che chiuso, e la voglia di mangiare gli era completamente passata.

«Ecco a te Jimin, sono 13000 won» e il ragazzo si affrettò a pagare, per poter uscire il più velocemente possibile da quel posto.

«Aspetta!» sempre la stessa voce lo richiamò, costringendolo a fermarsi per la strada e a voltarsi.
Jimin era rosso dall'imbarazzo, non voleva parlare con Taehyung, il collega di suo padre, di quella situazione.
Non era proprio la persona adatta.
Ma chissà perché era sempre lui che lo beccava in pericolo.

«Lascia almeno che ti riaccompagni a casa, ho l'auto proprio qua» e indicò la macchina nera luccicante parcheggiata al lato del marciapiede.

Per quanto Jimin potesse volerlo evitare, non desiderava nemmeno farsi la strada a piedi, anche se corta, poiché aveva troppa paura che i suoi bulli potessero trovarlo e tormentarlo un'altra volta.
E così, controvoglia, permise al maggiore di fare un ulteriore gesto carino per lui, e si sedette sul sedile in pelle, sperando che avrebbero difficilmente sorvolato l'argomento, almeno per quel breve viaggio.

HEAVENLY ; vmin Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora