Forest Beer House

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[LEXA]

Sono seduta in modo rigido su una sedia della sala d'attesa del reparto di Chirurgia. Non so quanto sia la sua scomodità a costringermi a quella postura, quanto invece la sensazione che ho provato quando mi sono sentita quello sguardo addosso, una volta uscita dall'ascensore con Clarke. Mi ha guardato solo per un momento ma è stato come se mi avesse attraversato qualcosa di gelido... subito dopo i suoi occhi glaciali e autoritari si sono rivolti verso sua figlia; come in un'istantanea, per un attimo, è sembrato come se tutto si fosse fermato, poi la Dottoressa Griffin ha proseguito verso l'ascensore. Non ha rivolto una sola parola a Clarke, che è rimasta pietrificata nel punto in cui i suoi occhi si erano incrociati con quelli di sua madre.

Daniel è ancora in sala operatoria, il nostro turno sarebbe ormai finito, ma non ho voluto andarmene senza sapere se recupererà completamente le funzionalità della gamba... ho bisogno di qualcosa che mi conforti e che mi aiuti ad uscire da qui stasera non con il solo pensiero di non aver potuto salvare sua madre.

Siamo rimaste entrambe in attesa di avere notizie dell'esito dell'intervento... non riesco a realizzare da quanto tempo stiamo aspettando, mentre per un attimo guardo la figura di Peter Anderson di spalle, in piedi, vicino all'ingresso delle sale operatorie, che fissa immobile la porta, aspettando solo che si apra, per avere notizie di suo figlio.

Il tempo ora sembra essersi dilatato e aver rallentato i suoi ritmi, mentre per la mia mente diventa inevitabile paragonare l'apprensione di questo padre, con il comportamento di una madre che sembra non aver mostrato nessuna emozione nei confronti di sua figlia che sta affrontando il primo giorno di un nuovo tirocinio, in una situazione che lei ha contribuito a rendere ancora più difficile.

Con quello che mi ha detto in ascensore, Clarke ha cercato di spiegare in modo accorato di non essere stata di certo lei a chiedere di essere raccomandata qui. Lo so, lo avevo sentito fin dall'inizio e dentro di me continuo a ripetermelo...

In questa posizione imbarazzante mi ci hanno messo sua madre e quel viscido che ho come Responsabile...

Lo so che questo è l'ultimo luogo al mondo dove avrebbe voluto fare questo tirocinio.

Dovrei alzarmi e andare a sedermi accanto a lei, dovrei parlarle, alleggerire il peso che sente e provare a tranquillizzarla. Dovrei dimostrarle che credo in lei e alle parole che con tanto sforzo è riuscita a dirmi prima che la porta dell'ascensore si aprisse e Abigail Griffin ci investisse entrambe con la sua durezza, ma se c'è una cosa in cui non sono mai stata brava è proprio questa... parlare con le persone; finché si tratta di farlo nell'ambito lavorativo, mi sento sicura e protetta dalla mia competenza, ma nelle situazioni personali evito sempre di scoprirmi e di rendermi vulnerabile. E poi c'è altro ad impedirmelo... l'incontro con sua madre, che anche se rapido e silenzioso è come se avesse alzato un muro tra noi... è come se prima di andarsene Abigail Griffin avesse lasciato il suo alone di freddezza e imbarazzo a separarci.

Il modo in cui anche Clarke è seduta su un'altra sedia altrettanto scomoda, dal lato opposto della sala, rispecchia il suo stato d'animo e il suo disagio... si è volutamente seduta lontana da me, non riesce ad alzare il suo sguardo dal pavimento grigio in linoleum e ha paura di guardarmi.

Siamo nella stessa sala, ma separate da obblighi, imposizioni e falsità, che ci impediscono di poterci mostrare per quelle che siamo.

Il silenzio e la pesantezza dell'aria che si respira vengono rotti di colpo dal rumore della porta che si apre e da un medico che conosco, in divisa blu da sala operatoria che va incontro al Signor Anderson.

Istintivamente sia io che Clarke ci alziamo e ci ritroviamo vicine nell'andare ad ascoltare le parole che rivolge a Peter.

"Signor Anderson?".

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