> @sarah: Complimenti, stronza... tu sai come rovinare la vita degli altri!
> @sarah: Spero che tu riesca a dormire la notte, ma come fai???
> @sarah: Brava, brava. Consolati con Jenny adesso...
> @sarah: Vaffanculo bastarda!"Ma che sta succedendo?" urlo impaurita guardando il cellulare.
Da qualche minuto stanno arrivando messaggi a raffica nella chat di gruppo della scuola e sono tutti indirizzati a me e stracolmi di offese.
Stamani non sono andata perché avevo la febbre, quindi non ho la più pallida idea di che cosa sia accaduto e questa novità mi terrorizza.
Perché all'improvviso ce l'hanno tutti con me?
Mentre scorro lo schermo, continuano ad aggiungersi altri commenti e non riesco più a contare gli insulti: alle parole si sommano le faccine incazzate, poi gli emoji con merda e vomito, sempre preceduti dal mio nome.
Ad un tratto l'attenzione mi cade su una frase di Eva:> @sarah: Non te la meritavi un'amica così!
Cazzo! Si tratta di Giulia!
Mi alzo a fatica dal letto: la febbre mi ha sciolto in pappa i muscoli delle gambe e mi gira forte la testa, ma devo muovermi e per poco non cado sul pavimento.
Mi viene da piangere e vomitare al tempo stesso.
Devo sapere, devo sapere!
Mi scoccia rivolgermi a lei, ma in questo momento credo sia l'unica che vorrebbe rispondermi e compongo il numero di Jenny con le dita intorpidite.
"Ciao, come stai? Mi hanno detto che hai l'influenza."
"Non girarci intorno", rispondo tossendo per lo sforzo. "Lo sai perché ti chiamo. Ci sei anche tu nella chat della scuola."
"Sì, Sarah... ecco... vedi..."
Passo una mano sui capelli scomposti e me li arriccio con un dito, come faccio sempre quando sono nervosa.
"Parla, cazzo!" urlo a Jenny. "Cos'è successo a scuola? C'entra Giulia?"
"Stai calma... sì, c'entra Giulia", mi risponde lei quasi sottovoce. "Stamani è arrivato il preside in classe e ci ha dato una notizia."
"Che notizia?" ribatto furiosa. "Parla!!!"
"Giulia è sempre in coma, ma, anche se si svegliasse, non avrebbe più l'uso delle gambe. Lo hanno riferito i medici dopo l'ultimo intervento chirurgico..."
Mi accascio sul pavimento e non sento più niente.
Vuoto, tutto si fa vuoto all'improvviso: ciò che mi circonda si allontana dai miei occhi e il mondo in cui mi trovo non esiste più per me.
Nella mia testa c'è solo aria.
Lascio cadere il cellulare, mi trascino a sedere sul letto e scoppio in un pianto disperato.
Giulia non ha più l'uso delle gambe: non posso credere che sia successa questa cosa e che sia stato per colpa mia!
Che vuol dire invalidità, sedia a rotelle, incapacità di una vita normale, in altre parole: un'esistenza distrutta.
Batto con forza un pugno contro il muro per sentire il dolore e vorrei rovesciare tutti i libri della mensola con rabbia, ma non ne ho le forze.
Una voce martella senza sosta le mie orecchie.
È colpa tua, colpa tua, colpa tua!
Non dovevi guidare, sapevi di non essere in te, ma hai voluto metterti in auto lo stesso!
Sei una fottutissima stronza, Sarah: dovresti esserci tu sul letto di Giulia.
Il calendario alla parete parla chiaro: siamo quasi alla metà di ottobre e Giulia non si sveglia!
Non ce la faccio più: mi alzo, vado in bagno e vomito davvero.
I miei capelli neri sono unti e disordinati, tanto che l'immagine allo specchio non sembra neanche appartenermi: è un'altra Sarah quella che vedo, una Sarah in cui non mi riconosco, una Sarah che non mi piace.
E pensare che Giulia amava moltissimo il mio viso.
"Hai dei capelli stupendi, Sarah", mi diceva nei lunghi pomeriggi trascorsi a truccarci per gioco. "Sono lunghi e sottili come li avrei voluti io! Lascia che te li pettini un po', ti prego..."
I ricordi divorano il mio stomaco più dell'acidità e, nonostante la febbre che non passa, sento che non posso fare a meno di andare da lei.
Devo andare da Giulia e devo andare adesso, perché il mio posto è là con lei.
Sono le quattro del pomeriggio e mamma e papà non torneranno dal lavoro prima di un paio d'ore, così non possono farmi storie se esco in questo stato. Papà, poi, non si occupa più di me dall'ora zero: è il suo avvocato che mi riferisce le cose che vuol dirmi.
Mi hai deluso, Sarah!
Mi hai deluso tantissimo!
Io non ti riconosco più: non sei più degna di essere mia figlia!
Rabbrividisco sempre quando ripenso a queste frasi, rovesciate addosso a me mentre giacevo nella stanza accanto a Giulia e ogni volta devo costringermi a fare qualcos'altro per scacciarle lontano: allora ingoio in fretta un paio di Zerinol, perché la testa non smette di pulsare, indosso i vestiti di ieri buttati sulla sedia ed esco barcollando.
All'ospedale, però, non mi fanno entrare, perché Giulia è ancora sotto osservazione e i medici non ammettono visite.
Mi metto a cercare la madre, percorrendo come una matta sale d'attesa e corridoi abbaglianti, senza sapere nemmeno dove sto andando, spinta da un bisogno feroce di parlare con lei e di sentirmi dire, anche stavolta, che non è stata solo colpa mia.
Ma non la trovo.
Così torno indietro, scendo le scale, esco dall'edificio e mi incammino verso casa, con un macigno sullo stomaco, mentre la mia gola si fa rovente come un forno.
A un tratto, però, devo fermarmi: ho sentito un urlo dietro di me e subito dopo il mio nome pronunciato con rabbia.
Prima che possa capire cosa sta succedendo, mi trovo le mani di Greta sulla schiena; io mi volto e finisco sotto una pioggia di pugni e schiaffi che non hanno fine.
"Stronza, sei una stronza!" mi urla agitando le braccia esili che puzzano di fumo e di sudore, mentre è avvolta dentro una mantellina fucsia, più ampia di lei, che svolazza tutto intorno.
Il viso affilato, di solito coperto da strati di fard, è straordinariamente bianco come quello di un cadavere e, nell'ora del tramonto, i capelli neri, sciolti e disordinati, riflettono i raggi rossi del sole come fiamme di fuoco. Guardandola mentre si dimena, ho l'impressione di essere aggredita da una creatura diabolica, che sbraita, picchia e tira calci con una rabbia cieca e sorda da far paura, mentre io non reagisco, perché sento di meritare tutto questo.
Così la lascio sfogare inerme e quando lei finisce e mi abbandona, mi accascio su una panchina lì vicino inebetita: la mia faccia è gonfia di lividi, sento gocce di sangue scendere dal naso e credo di avere perfino un labbro rotto, ma negli occhi non ho più lacrime da versare.
Il grande salice del parco dell'ospedale mi guarda silenzioso sul bordo del laghetto, dove lascia cadere i suoi rami dorati nell'ora più morbida del giorno: respiro lentamente l'aria fresca e umida di muschio e chiudo gli occhi assaporando l'autunno.
Le ultime parole che sento prima di addormentarmi sono quelle di un'infermiera: "O mio Dio, signorina! Cosa le è successo? Una sedia a rotelle, presto!"
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Mentre aspetto che ti svegli
RomanceDopo un terribile incidente d'auto che ha compromesso per sempre la vita della sua migliore amica, Sarah inizia l'anno della maturità fra difficoltà e sensi di colpa. Ma è davvero sicura di conoscere tutta la verità sulla notte della tragedia? E qua...