Quando apro gli occhi, mezzogiorno è già passato. Sulle prime stento a riconoscere il luogo in cui mi trovo, poi, però, guardandomi intorno ricordo tutto: la festa a Villa Saragozza, il ritorno con Jenny, la notte di sesso in camera sua.
Mi trovo ancora nel letto dove abbiamo dormito insieme, ma di lei in questo momento non c'è traccia.
"Buongiorno", mi dice ironica aprendo la porta della stanza. "Ce ne hai messo di tempo per svegliarti!"
Senza aspettare la mia risposta, si dirige verso la finestra per aprirla e solleva l'avvolgibile per far entrare un po' di luce: nella camera si diffonde subito un odore di muschio, accompagnato da una brezza fresca che fa raggelare le ossa.
D'istinto, mi avvolgo nelle lenzuola e mi accorgo di essere completamente nuda: i vestiti sono rimasti sparsi sul pavimento dappertutto, in mezzo a libri e articoli di giornale, indumenti stropicciati e i resti delle candele rosse della notte.
Jenny mi porta un caffè e siede accanto a me mentre lo sorseggio. Si è già vestita e ha indossato una maglia in più perché fuori piove.
"Tu non mi ami, vero?" dice all'improvviso, rompendo il silenzio.
"Jenny... Il discorso sarebbe lungo... Non è facile per me..."
"Ehy, ehy, ehy!", mi interrompe lei. "Ti ho fatto solo una domanda che ha per risposta un sì o un no, non ti sto chiedendo spiegazioni."
"Ah, okay."
"Quindi non mi ami, a quanto mi sembra di capire?"
"No, Jenny, purtroppo no", spiego io. "Tu mi piaci, ma non in quel senso."
Inizio a vestirmi alla rinfusa, indossando un paio di pantaloni e una maglietta che avevo portato da casa. Jenny insiste per agganciarmi il reggiseno e coglie l'occasione per afferrare di nuovo le mie tette e massaggiarle lentamente.
"È un problema se non ti amo?" le chiedo un po' brusca.
"Per me no, sono un tipo che sa aspettare... E te l'ho detto: un giorno sarai tu a venire a cercarmi!"
Dopo essermi vestita, l'aiuto a riordinare la camera.
"Sono un po' disordinata, lo ammetto!" mi dice lei raccogliendo qualche foglio di appunti sparso qua e là. "È il punto debole di noi artisti."
"Artisti?"
"Sì, artisti! Non te l'avevo detto? Sono una pittrice", risponde prendendomi per mano e portandomi in un'altra stanza della casa.
Mi ritrovo in un piccolo studio che è stato adibito ad atelier. Un cavalletto sostiene in un angolo una tela bianca ancora nuova, mentre lungo le pareti sono stati appesi o appoggiati un gran numero di dipinti, alcuni finiti, altri incompiuti, la maggior parte non incorniciati.
"Vedo che ti piacciono i ritratti!" le dico osservando fra i disegni una discreta quantità di volti, in gran parte femminili.
"Senza dubbio", risponde Jenny. "Un paesaggio, per quanto suggestivo e ricco di dettagli, non potrà mai trasmettere un'emozione o un sentimento, come gli occhi o il viso di una persona."
Senza accorgermene mi soffermo davanti a quello che sembra uno scarabocchio. Solo guardando con attenzione riesco a districare i lineamenti confusi di una faccia, che è rappresentata come una maschera sofferente.
"È la mamma!", dice Jenny alle mie spalle. "Ho fatto questo disegno all'età di sei anni, il giorno in cui è morto il mio fratellino."
"Ah, mi dispiace, scusami! Non sapevo!"
"Non scusarti", mi corregge lei. "Non te ne avevo mai parlato. Se l'è portato via la meningite: aveva solo quattro anni. Ho voluto immortalare il dolore di mia madre, che, dopo questa disgrazia, non ha più voluto avere figli."
"Ti va un panino?" aggiunge poi muovendosi verso la cucina. "È ormai ora di pranzo: vado a preparare qualcosa."
Le rispondo affermativamente, pensando di rientrare a casa soltanto nel pomeriggio.
"E i tuoi genitori sono sempre rimasti uniti?" domando ancora mentre lei armeggia nel frigorifero.
"A modo loro, sì."
"In che senso, scusa?"
"Nel senso che ciascuno dei due si è sentito libero di andare e venire da questa casa quando voleva."
La guardo meravigliata: "Come sarebbe?"
"Vedi, dopo la morte del mio fratellino Ivan, papà se ne è andato per tre mesi, perché pensava che lui e mia madre dovessero superare questo momento da soli, ciascuno con i propri tempi."
"Davvero?"
"Sì. E un'altra volta è stata mia madre ad andarsene per riflettere un po' senza di lui. Ma dopo qualche settimana è tornata di nuovo."
Non so proprio cosa dire.
"La mia famiglia è fatta così", conclude candidamente Jenny.
"E i tuoi sanno che... che..."
"Che sono lesbica?"
"Sì, volevo dire questo."
"Certo che lo sanno. Forse lo hanno capito prima di me, perché non ho dovuto faticare molto per spiegarglielo, quando ho deciso di farlo."
"E come hanno preso questa notizia?"
"Come vuoi che l'abbiano presa? Come dovrebbero fare tutti i genitori: mi hanno chiesto di pensare anzitutto a essere felice, cosa che non ho mai trascurato."
"Come ti invidio", le dico mentre apparecchio la tavola. Jenny sistema alcuni piatti, panini, patatine e salatini.
"E tu non sei felice?" mi domanda.
"Credo proprio di no", le rispondo a testa bassa.
"Forse perché non hai mai inseguito i tuoi sogni". Mi passa una sedia per farmi accomodare. "Prova a farlo nel futuro."
Mentre mangiamo, sento vibrare il cellulare. È un messaggio di Emma: non ricordavo di averle dato il numero.> Ciao Sarah. Bella serata ieri, grazie. Possiamo vederci oggi? Devo parlarti.
Mi volto verso Jenny, che mi sta fissando seduta e ha già capito tutto. Annuisce, senza che le chieda nulla.
"So aspettare, te l'ho detto", dice con un'espressione serena sul viso. "Fai ciò che ti rende felice."
Mi avvicino, le sollevo il mento e la bacio con passione. Quindi rispondo a Emma e mi preparo per tornare a casa.***
Spazio SevensensesCiao a tuttiii 🤗🤗🤗🤗🤗🤗
Grazie per continuare a seguire questa storia.
Che idea vi siete fatti di Jenny?
E secondo voi Sarah come si sta comportando?
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Mentre aspetto che ti svegli
RomanceDopo un terribile incidente d'auto che ha compromesso per sempre la vita della sua migliore amica, Sarah inizia l'anno della maturità fra difficoltà e sensi di colpa. Ma è davvero sicura di conoscere tutta la verità sulla notte della tragedia? E qua...