Capitolo 6

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[LOUIS’S POV]
Nel letto, coperto solo da un lenzuolo con i primi raggi del sole che entravano dalla finestra, in stato di veglia al fianco di Gemma, la mia fidanzata.
È come l’ultima verifica a scuola prima della fine dell’anno, quando hai paura che anche il più stupido errore potrebbe compromettere tutto; quando non sai quale risposta scegliere e ci ragioni senza trovare nessuna soluzione.
Ecco come mi sentivo, mi sentivo una matita senza la punta temperata che indica la sua scelta e poi la cancella per mille volte, mi sentivo una canzone che passava alla radio per la prima volta con la paura di non piacere e di deludere tutti.
Gemma e Harry, diviso tra due fuochi con la paura di bruciarmi.
Harry, lo avevo notato per la prima volta circa tre anni prima nel corridoio della scuola parlare con il suo migliore amico, ridere e sorridere come ogni ragazzo normale, poi aveva avuto il coraggio di fare coming-out e divenne un bersaglio di parecchie persone, me compreso; mi pentivo ogni volta di quello che continuavo a fare solo per apparire più rispettabile agli occhi degli altri.
Ma la verità era un’altra: io non ero cattivo, facevo tutto quello perché lo invidiavo per il coraggio che aveva avuto a togliersi la maschera che indossava e a rivelare se stesso prendendosi ogni conseguenza.
Avevo visto in quegli anni Harry trasformarsi da bambino ingenuo, puro e senza pensieri a un uomo senza più il sorriso che l’aveva accompagnato per tanti anni, avevo visto il suo corpo trasformarsi fino a riempirsi di tatuaggi, l’avevo visto diventare alto anche più di me, avevo visto ogni sfumatura dei suoi occhi in base alla luce.
In lui sapevo, dal primo momento, che c’era qualcosa di diverso, lo vedevo con occhi diversi provando sensazioni che non avevo mai percepito.
Poi c’era Gemma, la reputavo una delle tante ragazze che avevo avuto, una delle più simpatiche e carine, ma niente di più; se mi avessero chiesto se l’amavo veramente avrei negato, ero vicino a lei, a volte anche molto, ma né con lei né con tutte le altre non avevo mai provato i sintomi della malattia d’amore.
Questa vacanza aveva stravolto tutto, avrei dovuto rifiutarla prevedendo che non avrebbe portato niente di buono.
Nessun bacio con nessuna ragazza avrebbe potuto eguagliare le sensazioni di quello che avevo provato nel semplice contatto di labbra con il riccio, qualcosa di inaspettato, folle, imprevedibile e confusionario.
Avrei potuto dare la colpa all’alcool per quello che era successo ma sarebbe significato solo essere ipocriti: io avevo baciato Harry perché ne avevo voglia, avevo voglia di sentire le sue labbra carnose, volevo smentire ogni sensazioni indecifrabile che provavo per lui, come se quel bacio mi avrebbe fatto capire che era solo una mia stupida idea, uno stupido comportamento dell’inconscio.
Non fu così, quel bacio aveva scatenato la tempesta, un uragano in ogni parte di me, qualcosa di troppo forte anche per essere solo immaginato.
Con che coraggio sarei potuto andare da Harry a dire quello che stava succedendo dopo quello che gli avevo fatto in quegli anni, dopo essere fidanzato con sua sorella?
La sera precedente con Gemma avrei voluto mettere tre puntini di sospensione, una pausa di riflessione nel nostro rapporto, il tempo per mettere a posto ogni mio dubbio ma poi ero finito per farmi ingoiare dai sensi di colpa e dai dubbi, per me Gemma era puramente un amore carnale, una soddisfazione del mio bisogno fisico ma, ero consapevole, che per lei significavo molto di più.
Così tutto finì in un enorme malinteso trovandomi a letto con la persona che sembrava la figura più vicino a una fidanzata che avessi mai avuto.
 
Mi alzai dal letto per allontanarmi da qualcosa che non mi apparteneva più, da qualcosa di sbagliato; mi vestii con il costume da bagno in modo da non cambiarmi altre volte prima della spiaggia e scesi in cucina per farmi una grande tazza di caffè per svegliare me stesso e le mie idee.
Bevvi il caffè tutto d’un sorso e decisi di andare a fare una corsa in riva al mare per rimanere solo con me stesso e le mie idee.
Iniziai a correre, dopo dieci minuti il respirò iniziò a diventare affannato ma l’aria piena di iodio apriva i miei polmoni; dopo venti minuti iniziai a sentire le gambe tremare; dopo mezz’ora il sole aveva già superato la linea dell’orizzonte ma ogni figura ai miei occhi divenne sfuocata come se qualcuno avesse posto un velo sui miei occhi, ero stanco, quasi senza forze ma continuavo, continuavo a correre senza guardare dove, come se correre potesse liberarmi, come se correndo sarei arrivato in un altro posto lontano in cui i miei problemi non esistevano, correvo per eliminare quel filo di pancia che si era formato, per far tornare sul mio ventre gli stessi muscoli che avevo una volta, gli stessi muscoli che immaginavo avesse Harry.
Si, immaginavo Harry: in ogni veste, in ogni occasione, mi capitava di pensarlo con i capelli spettinati alla mattina appena sveglio oppure vestito elegante in smoking ed ogni volta, ogni pensiero, mi toglieva il fiato.
Correvo, con gli occhi chiusi, cercando di trovare un equilibrio e non cadere a terra, cercando di non arrendermi e continuare nonostante mi sentissi le gambe cedere.
Caddi all'improvviso, inciampai su qualcosa, o qualcuno, quasi senza accorgermi.
«Cazzo!» sentì protestare la persona sulla quale ero caduto.
Ovunque avrei potuto riconoscere quella voce calma e roca, fu la voce che desideravo di più sentire in quel momento.
 

Treacherous || Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora