Capitolo 8

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Aprii gli occhi con poca voglia e subito mi accorsi dell’orario: 15.30
Mi ero addormentato non appena avevo appoggiato la testa sul cuscino, incapace di fare qualunque pensiero o di costruire qualunque tipo di scena nella mia mente.
Probabilmente a casa non c’era nessuno dopo aver ascoltato il mio minuscolo monologo sul fatto che sapevo gestirmi da solo, frasi che in quel momento mi pentii di aver detto, con quel senso di pesantezza addosso tipico della febbre e con la sensazione di solitudine che mi caratterizzava non solo in quel momento ma troppo spesso.
«Chi c’è?» chiesi con voce dura dopo aver sentito dei passi nel corridoio.
Uno spiraglio si aprì dalla porta e fecero capolino un sorriso e due occhi blu: Louis.
«Ah, sei tu..» sussurrai lievemente deluso con l’aspettativa di vedere mia madre che, come quando ero piccolo, mi teneva compagnia quando stavo così; non ero mai cresciuto, volevo fare il ragazzo forte ma non lo ero per niente.
«Come stai?» chiese Louis entrando in camera e sedendosi sul letto.
«Ci sei solo tu?»
«Si.. Ti senti meglio?»
Scossi la testa.
Vidi Louis avvicinarsi al lato opposto del letto dov’era seduto e lo ritrovai al mio fianco a mettermi una mano sulla fronte con espressione confusa.
«Non avete un termometro in questa casa?» chiese impacciato
«Non lo so, magari è in valigia insieme ai medicinali..» risposi mentre, da sdraiato su quel letto osservavo Louis dal basso, la sua figura che da qualunque inquadratura era perfetta.
«Aspetta, vado a vedere.»
Lo afferrai per il polso quasi senza rendermene conto.
«No! Stai qui a farmi compagnia?» chiesi come un bambino.
Lo sguardo di Louis per un attimo divenne freddo per poi aprirsi lasciando spazio, anche, a un sorriso perfetto.
«Non mi piace stare da solo quando sto così.» cercai di giustificarmi per non sembrare troppo infantile ma ormai era troppo tardi.
Louis si sedette al mio fianco in quel letto a una piazza e mezza, un letto non creato per due persone e che faceva avvicinare i nostri corpi più del necessario.
Il braccio di Louis mi cinse le spalle e appoggiai la mia testa al suo petto, chiusi gli occhi sentendomi protetto da quel calore.
Sentii le dita di Louis giocare con i miei capelli arruffati per essere stati troppo tempo schiacciati dal cuscino.
«Raccontami qualcosa..» dissi con voce flebili.
«Cosa?» chiese e sentii, riconossi dalla sua voce e dal suo modo di parlare, che stava sorridendo.
«Quello che vuoi..» 
Mi accoccolai tra le sue braccia non troppo grandi ma abbastanza per farmi sentire bene.
Ci fu un attimo di silenzio e poi, senza smettere di giocare con i miei ricci, iniziò a raccontare.
Raccontare di me.
«Mi ricordo la prima volta che ti ho visto: era il primo giorno del mio terzo anno e il primo giorno della tua vita da liceale; avevi sbagliato classe ed eri entrato nella mia, eri così impacciato quando te n’accorsi, le tue guance diventarono subito rosse e, imbarazzato, hai sorriso mostrando le tue fossette. Ricordo anche che indossavi un felpa viola con la scritta jack wills, rimasi subito colpito dalla tua ingenuità, dalla tua purezza, sembravi così indifeso in quel momento mentre i più grandi della classe ridacchiavano del tuo errore..»
Sorrisi al sentire quelle parole, poi Louis proseguì.
«..Ti devo chiedere scusa per come mi sono comportato con te negli ultimi anni, non lo meritavi, sembrerà ipocrita da dire ma io non volevo farlo, non volevo farti del male; la verità è che non avevo la forza di far sentire quello che pensavo ai miei amici, sempre se si possono chiamare così, io ero il più grande e loro si erano fatti un immagine di me cattiva, forte, il contrario di come sono veramente. Scusami Hazza.»
Sentì una goccia pungermi il viso cadendo sulla mia guancia, alzai gli occhi e vidi che proveniva dagli occhi lucidi di Louis.
«Non preoccuparti Louis, lo so che a volte si fanno cose che non si vogliono fare solo per avere l’appoggio degli altri, ho vissuto in quelle catene per anche troppo tempo.»
Raccolsi con il pollice la lacrima che stava scorrendo sul viso del moro e, prima che potessi spostare la mano Louis decise di afferrarla.
«Tu, tu sei troppo buono, dovresti odiarmi per quello che ho fatto..» ammise.
«Mi piace quando mi parli, a prescindere da cosa tu mi dica.» dissi.
«Hazza, tu cosa provi ora?» chiese con voce bassa lasciandomi spiazzato per quella domanda.
«Qualcosa di strano, non saprei che nome dargli.. Tu?»
«Qualcosa di forte, di nuovo.»
I nostri occhi si guardarono nello stesso preciso istante, come richiamati dalle nostre parole.
Non capivo cos’era per me Louis: un amico, un fratello, un amante?
Era qualcosa di troppo: troppo bello, troppo sensibile, troppo diverso da come lo immaginavo, forse anche troppo sbagliato per me.
E fu in quella posizione forse anche un po’ buffa, mentre avevo il viso appoggiato al suo petto, mentre lo guardavo dal basso, mentre i nostri sguardi combaciavano, mentre la mia mano afferrava la sua in quel letto troppo piccolo per due, fu in quel momento che scattò qualcosa: una scintilla tra noi.
In quel momento mi affidai solamente e puramente al mio istinto mentre i nostri visi si avvicinavano sempre di più, e quello che stava succedendo era qualcosa di diverso da quei baci rubati nei giorni precedenti.
Era una decisione, una scelta fatta da entrambi, senza pensare alle conseguenze ma pensando solo al presente, a quel momento in cui ogni tensione se n’era andata, in quel momento in cui ci sentivano protetti, liberi da ogni maschera, ci sentivamo noi stessi. 
«Baciami e dimentica ogni mio errore.»
Eravamo così vicini e, dopo aver chiuso gli occhi, le nostre labbra si sfiorano. 
Ci iniziammo a baciare senza neanche fermarci. 
Bacio dopo bacio. 
Tra un bacio e l’altro mi prendevo il tempo di guardare il suo viso, come se dovessi stampare nella memoria quello che sarebbe stato per sempre il mio primo assaggio di paradiso.
Le sue mani strette, ancorate ai miei ricci.
Le nostre lingue intrecciate che sembrava si stessero muovendo all’unisono seguendo il ritmo dei battiti dei nostri cuori. 
I brividi. 
Dopo esserci staccati ci guardammo. 
E di nuovo un altro bacio: questa volta più casto, più gentile.
Quei fottuti baci che avrei voluto ricevere sempre da lui, quei baci che semplicemente mi facevano impazzire.
Lo intravidi sorridere e capii che lui sentiva le stesse cose che provavo io perché, quando si sorride dopo un bacio, significa che quel gesto ha significato qualcosa di importante, che non era un semplice gioco ma qualcosa di più grande.
In quel momento non eravamo amici, non eravamo fidanzati ma ci appartenevamo l’uno all’altro, eravamo un unico respiro, eravamo una persona sola.
Poi un lampo e la ragione tornò in me.
«Lou, no!» scossi la testa.
«Ci eravamo detti di fare quello che ci faceva stare bene..» disse non smettendo di sorridere.
«Non possiamo..»
«Non so cosa siamo ma questa cosa non dobbiamo buttarla via.»
«E Gemma?» chiesi abbassando il viso
«Non ho mai provato per lei nulla di tutto questo.»  
A quella frase ogni millimetro del mio corpo fu ricoperto di brividi.
«Non posso fare questo a mia sorella, non voglio rovinarle questa vacanza, non voglio farla star male.»
«Se tutto andrà bene, gli diciamo ogni cosa appena torniamo a casa, a Holmes Chapel. Te lo prometto.»
La mano di Louis mi accarezzò premurosamente il viso.
«Ti ricordi quando dovevamo nascondere il rapporto d’odio che avevamo prima di questa vacanza da tua sorella e dalla tua famiglia?»
Annui senza dire nulla.
«Harreh, noi siamo fatti per avere un segreto

[LOUIS’S POV.]

Harry si era addormentato tra le mie braccia, nonostante dormisse potevo vedere le sue labbra che formavano un sorriso distorto forse per un bel sogno o forse per quello successo poco prima.
Osservavo le sue gote rosse a causa della temperatura del suo corpo che aumentava, vedevo il suo petto nudo muoversi lentamente mentre assorto passavo le mie dite sulle clavicole esposte di Harry sotto cui aveva fatto disegnare due uccelli che sembrava si guardassero.
Lo guardavo e sorridevo mentre giocavo con i suoi ricci spettinati.
Il mio corpo era invaso di sensi di colpa nei confronti di Gemma, di Harry per come l’avevo trattato nel passato, mi sentivo come se avessi un debito nei suoi confronti, un debito rappresentato dal dolore che gli avevo fatto subire per tutti quegli anni, un dolore che niente e nessuno avrebbe potuto cancellare perché era uno di quelli che ti rimangono dentro, fissi, come una nuova pelle.
Nonostante tutto questo non potevo negare di essere felice per tutto quello che era successo tra me e il riccio, sul mio viso vi era un sorriso che nonostante cercassi di reprimere continuava a comparire, chiunque l’avrebbe potuto leggere nei miei occhi.
Sapevo che quello che stava succedendo, che quello che poteva succedere non era nulla di definitivo; ero consapevole di essere fidanzato e quell’appellativo non riuscivo più a tenerlo ancorato a me, non riuscivo a sentirmi libero.
Con che coraggio sarei potuto andare da Gemma a dirgli qualcosa riguardo ciò dopo quello che era successo qualche ora prima, dopo i suoi ti amo che avevo fintamente ripetuto anch’io, dopo esserci andato a letto solamente per soddisfare qualche tipo di bisogno carnale.
Gemma, quel tipo di ragazza dolce, comprensiva, che ti attira per il suo atteggiamento strano, quel tipo di ragazza che definivo oggettivamente bella, con un carattere esemplare ma con cui i miei sentimenti non hanno mai superato la molta simpatia; non l’amavo, non mi piaceva neppure, era solo una fra le tante, la ragazza del periodo che andavo abitualmente a sbattere in faccia ai miei amici, gli stessi con cui stavo solo per non sentirmi solo, gli stessi che mi facevano apparire come il ragazzo completamente opposto alla realtà, gli stessi che facevano gara per il numero di ragazze portate a letto e per le vittime nei corridoi con le loro crudeli parole.
Quel bacio con Harry aveva travolto ogni cosa, ogni abitudine, con quel bacio avevo sentito dentro di me abbattersi qui muri che costruivo per reprimere chi ero veramente, quei muri che costruivo per piacere agli altri nonostante non sapessi neppure chi ero veramente; con Harry lo stavo scoprendo, ogni secondo con lui mi faceva provare cose nuove, mi faceva conoscere piccole nuove parti di me ancora nascoste, sensazioni del tutto nuove.
Non sapevo come comportarmi: fare il doppio gioco era ipocrita e immaturo ma allo stesso tempo far soffrire Gemma sarebbe significato far soffrire anche Harry, quel ragazzo così altruista che preferiva la felicità degli altri alla propria.
Dovevo parlare con Gemma, non sapevo cosa avrei potuto dire, ma dovevo farlo, quello era certo.

[HARRY’S POV.]

Il tramonto stava per calare sull’oceano, sul cielo sfumature rosse, arancioni, rosa, tanto             belle da far invidia al pittore più esperto.
Il bianco della sabbia non si distingueva in quella luminosità non del tutto piena.
Due ragazzi guardavano il sole infuocato riflettersi nel mare, quei ragazzi erano Harry e Louis, nonostante li si vedesse da dietro i loro capelli e la loro figura era nettamente distinguibile.
Louis aveva il viso poggiato sulla spalla di Harry mentre le loro mani erano intrecciate in modo così strano e buffo che sembravano un enigma difficile da sciogliere.
Stesso scenario del matrimonio di pochi giorni prima, stessi ragazzi, un legame visibilmente più forte e visibile.
«Vorrei regalarti una stella.» disse il maggiore incerto con voce flebile.
Harry lo guardò con lo stesso sguardo di chi è confuso ma allo stesso tempo felice anche solo per aver al fianco quella persona.
«Ti ricordi quando ti dico che il tuo sorriso è luminoso? Così capiresti quanto è bello il tuo sorriso.» disse Louis imbarazzato e incerto sulla correttezza di quella frase detta in quel momento in cui era così agitato.
«Boo, non sai quanto ti amo.» disse Harry guardandolo negli occhi.
Non lo si poteva negare, lo si vedeva dalla profondità dei loro sguardi, dai sorrisi involontari sul loro volto, erano giovani, troppo giovani, ma si amavano; si amavano in un modo che faceva invidia al mondo, in un modo che solo a pensarci faceva scoppiare ogni fuoco artificiale per la sua forza, si amavano e non importava se gli altri non lo accettavano, si amavano in modo così forte che potevano superare ogni ostacolo, bastava che fossero mano nella mano.
Da soli erano fragili come una foglia in autunno, uniti erano una forza della natura.

Aprii gli occhi con fatica e nessuna voglia di ritornare al presente convinto che tutto quello che era appena successo fosse stato solo un sogno, un’allucinazione, ne ero convinto; un sogno come quello appena fatto e ancora fisso nella mia mente.

Treacherous || Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora