•Capitolo 2•

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Mi svegliai a corto di fiato, ansimando, mentre la mia mano correva al comodino accanto al letto, alla disperata ricerca dell'interruttore per accendere la lampada e contrastare l'oscurità.

«Dove diavolo...?» mormorai tra me e me, fino a quando non lo trovai.

Percepivo ancora la mente annebbiata, come se un lato del mio cervello stesse ancora dormendo. Accesi la lampadina, e una fievole luce investì la stanza. Quando scorsi una figura, in piedi davanti al mio letto il cuore mi risalì in gola. Battei le palpebre, i battiti cardiaci accelerati.

«Oh, cielo!» esclamai tirandomi su le coperte che mi erano scivolate alle ginocchia durante la notte fino al petto, come se potessero servire a proteggermi.

Ma la figura che pensavo di avere visto, non c'era già più quando i miei occhi cominciarono ad adattarsi alla luce. Gli occhi ancora spalancati per lo shock, realizzai che doveva essersi trattato soltanto della mia paranoia o del rimasuglio di qualche sogno. Inspirai a fondo, ricordando a me stessa che non avevo più alcun potere, che non vedevo spiriti da mesi e infatti non avevo visto assolutamente niente. Mi era soltanto sembrato che fosse così. Mi passai una mano tremante tra i capelli, cercando di placare il mio respiro, ma invano. Il mio corpo era ancora in allerta, come se temesse che sarebbe potuto spuntare l'uomo nero da dentro l'armadio.

Ero sudata e sapevo già che non avrei più ripreso sonno. Tra le tante cose che non sopportavo, una delle peggiori era la mia incapacità di riaddormentarmi, quindi decisi di andare a farmi una bella doccia calda. Scostai le coperte e mi alzai, stropicciandomi gli occhi. Mi lasciai sfuggire uno sbadiglio. Preparai tutto l'occorrente, poi scesi al piano di sotto, diretta al bagno. La porta di papà era aperta, e lo scorsi dormire profondamente sul letto matrimoniale. Rimasi per qualche istante ad osservarlo, felice che almeno lui trovasse pace nel sonno. Non era stato un periodo facile per papà, non lo era da molto tempo a dire il vero, ma avrei fatto di tutto pur di farlo stare finalmente bene. Non avrebbe più dovuto preoccuparsi per me o per gli atteggiamenti ribelli di Andrew, oppure temere per Raegan. Eravamo cresciuti e maturati, ognuno a modo proprio. Mi mancavano quei due, anzi quei tre. Non vedevo Eliot da domenica scorsa, prima di partire, eppure mi sembrava passato già troppo tempo. Negli ultimi mesi, tra qualche turno in un bar per occupare il mio tempo e mettere da parte un po' di soldi, mi ero occupata di lui mentre Raegan frequentava il college. Ci eravamo divertiti un mondo tra gelati, videogiochi e chiacchierate esilaranti. E spesso anche Maddy, la sorellina di Kimberly, aveva trascorso un po' di tempo con noi. Appoggiandomi con una spalla contro lo stipite della porta sorrisi al pensiero di quei due. Facevano parte della ristretta cerchia di persone in grado di farmi divertire sul serio.

Sospirai ed infine mi decisi a dirigermi definitivamente verso il bagno, chiedendomi se prima o poi anch'io sarei riuscita a farlo. A dormire in pace come papà.

Scrollando il capo, ormai abituata a tutto quanto, aprii la porta del bagno in fondo al corridoio, ignorando la strana sensazione di essere osservata. Sapevo che era frutto della mia immaginazione. Maya era rinchiusa in un centro psichiatrico lontanissimo da qui, invece Aaron non si sarebbe mai nascosto. Oh, no. Lui adorava le entrate d'effetto. Sotto forma di spirito, mi sarebbe comparso di fronte come un'allucinazione. Un'allucinazione piuttosto reale. Mi avrebbe sorriso, un sorriso indecifrabile e che non sempre raggiungeva gli occhi, poi sarebbe arrivato dritto al punto. Come sempre. Una volta mi aveva chiesto: "Stai soffrendo?". Così, di punto in bianco, e dopo avermi fatto venire praticamente un infarto.

E detestavo il fatto che quello stronzo mi mancasse. Perché sì, era stato uno stronzo a non salutarmi nemmeno prima di sparire dalla mia vita. Si era limitato a questo. Sparire come un'onda che raggiungeva la riva.
Rabbrividii. Avevo freddo. Indossavo soltanto una canottiera e avevo completamente dimenticato di coprirmi con una felpa. Mi schiaffeggiai mentalmente, ormai rassegnata. Una volta in bagno, entrai nella doccia e mi lavai con cura i capelli, che mi arrivavano fino alla vita. Avevo pensato più volte di tagliarli. Insomma, nuova vita, nuovo taglio no? E, invece, ancora non ne avevo trovato il coraggio. La verità era che mi piacevano moltissimo così. Erano stata l'unica cosa a piacermi di me durante il mio periodo all'inferno. Ci ero affezionata.

The Bad boy's SoulDove le storie prendono vita. Scoprilo ora