•Capitolo 13•

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Buona lettura! 📖♥️

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Non avevo idea di quanto tempo ero rimasta immobile sulla soglia a fissarlo sconvolta, ma quando papà mi esortò ad entrare, solo allora mi mossi, e a mano a mano che mi avvicinavo con un gran groppo in gola che non sembrava intenzionato ad abbandonarmi, ne ebbi sempre di più la chiara certezza. Il ragazzo che adesso si stava sollevando e che mi stava venendo incontro non poteva che essere Noah. Il cuore palpitante, mi affrettai a distogliere lo sguardo dal suo. Volevo che pensasse che non riuscivo a vederlo. A proposito, perché riuscivo a vederlo? Appena i nostri occhi si erano incrociati, ero stata avviluppata da un fuoco di rabbia e desiderio che mi aveva lasciata scombussolata come una camera in disordine. Dal desiderio che non avesse fatto quello che aveva fatto. Desiderio che fosse reale. Desiderio che avesse una ragione plausibile per quello che aveva fatto. Ma sapevo di non dovermi fidare. E non l'avrei fatto. Quindi, l'avevo ignorato, cercando di mantenere gli occhi fissi di fronte a me, proprio come spesso si ritrovavano a fare Andrew e papà. Peccato che il primo non ci riuscisse in presenza di Kimberly, e non sapevo se io ce l'avrei fatta in sua presenza. 

Salii i gradini con calma, facendo di tutto per ignorare il groppo in gola o il desiderio di urlargli contro o piangere a dirotto che mi avvolgeva le viscere. Dovevo fingermi indifferente. Anche ora che ce l'avevo di fianco.

«So che puoi vedermi e sentirmi» disse in un tono debole e grave che mi fece male. E pregai che non avesse notato lo spasmo dei miei muscoli improvvisamente rigidi.

Aveva un pessimo aspetto. I capelli erano più scompigliati del solito, come se ci avesse passato le dita in mezzo più volte negli ultimi giorni. E aveva il viso smunto, l'aria rabbuiata e triste di qualcuno che non stava affatto bene. Ma dovevo ricordare a me stessa che credergli era l'ultima cosa che avrei dovuto fare. L'ultima di cui avevo bisogno. Dovevo solo ignorarlo, pregare che se ne andasse e andare avanti.

«Dakota, credimi, mi dispiace.» La voce era roca, il tono disperato. «So cos'hai fatto, che hai cercato di tagliarmi fuori dalla tua vita.»

Lo hai fatto da solo.

Avrei voluto gridarglielo, sfogare tutta la mia rabbia, ma trattenni quell'impulso costringendomi a fingere di non sentirlo o vederlo. Mi tolsi il giubbotto e lo lasciai sull'appendiabiti, seguita da papà.

Com'era possibile che lo vedessi ancora? Pensavo di averlo mandato via l'altra volta. Be', chiaramente avevo sbagliato qualcosa.

«Dakota, ti prego, parlami.» Mi irrigidii ulteriormente quando avvertii la sua mano sfiorarmi il fianco.

Il mio respiro si fece più rapido e pregai che si desse una cavolo di calmata, perché non avevo alcuna intenzione di parlargli e quindi il mio corpo doveva smetterla di reagire alla sua presenza.

«Tesoro, vado a letto.» Papà mi diede un bacio sulla fronte, quindi cercai di concentrarmi su di lui. «Buonanotte.»

No, papà non andare. Non ora.

«Notte» ribattei, la voce debolissima. Papà salì le scale, mentre io andavo in cucina per prendere un bicchiere d'acqua, piuttosto scossa. Lo bevvi tutto d'un sorso.

«Parlami, guardami. Ti prego», stava dicendo in quel momento, spezzandomi ancora di più il cuore. «Dakota, ti prego.»

Non aveva senso, ma ignorarlo considerando che non fosse in vita mi faceva sentire male. Lo detestavo anche per quello.

The Bad boy's SoulDove le storie prendono vita. Scoprilo ora