•Capitolo 3•

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Quel giorno papà era uscito per fare la spesa, quindi ero sola a casa. Stavo bevendo un tè, seduta a tavola mentre mi domandavo che fine avesse fatto quel ragazzo durante il resto della giornata precedente, quando me lo ritrovai accanto. Per poco non sputai tutto quanto.

Inghiottii il tea a forza, voltandomi nella sua direzione. «Potresti avere la gentilezza di entrare da quella porta la prossima volta?» Indicai quella della cucina, esasperata. Di questo passo mi sarebbe venuto un infarto molto presto. Gli fissai la maglietta che indossava, più attillata di quella del giorno precedente, che rivelava una tartaruga scolpita all'altezza dello stomaco e si tendeva sulle spalle incredibilmente ampie. Anche stavolta aveva i capelli spettinati ad arte, e tutto questo messo insieme mi turbava parecchio. Non poteva essere un po' più impresentabile?

«Perché entrare da una porta, quando posso comparire e scomparire come preferisco?» Pronunció quelle due parole schioccandomi le dita davanti al viso.

Lo guardai truce. «Non ti sei accorto che sto dormendo ad occhi aperti?» Gli presi istintivamente la mano, o almeno feci per farlo, perché mi ricadde sulla tavola. Spalancai gli occhi, a disagio e scioccata al tempo stesso. Non avevo mai toccato un vero e proprio fantasma, o per meglio dire una persona morta, eppure siccome con Kimberly ero sempre riuscita a farlo mentre si trovava in coma, pensavo sarebbe stato lo stesso anche con tutti gli altri. E, invece, a quanto pareva non era così. Ce la misi tutta per nascondere la mia delusione. Forse le mie capacità perdute si stavano risvegliando, e un giorno o l'altro sarei stata in grado di toccare anche lui.

E poi perché sembra dispiacermi tanto?

«E questo cosa dovrebbe significare per me?» Sogghignò, apparentemente soddisfatto del fatto che non potessi impedirgli di schioccare le dita.

Avrei voluto rifilargli una rispostaccia e dirgli che se mi fossero tornate le mie capacità un giorno o l'altro lo avrei sistemato per le feste, ma per dirgli questo avrei dovuto anche confessargli che avevo certe capacità e lui avrebbe potuto pormi altre domande come: "Da quanto tempo? Com'è possibile?"

Tutte domande alle quali non mi andava proprio di rispondere adesso. Forse mai. Avevo promesso a me stessa che in questa città avrei ricominciato da capo. Sarei stata una nuova persona, il che significava: niente stranezze, niente fantasmi, niente brutti pensieri. Niente di niente.
E io avevo già sgarrato con il secondo punto, non sarebbe accaduto anche con tutti gli altri.

«Dovrebbe significare» dissi riprendendo in mano la tazza calda di tè e lanciandogli un'occhiata da sopra il bordo. «Che preferisco il silenzio di prima mattina e tu sei molto rumoroso.»

Le mie parole non lo scoraggiarono affatto, anzi mi rivolse un gran sorriso. «Ma io non sono come gli altri.» E si trasformò ben presto in uno astuto. «Io sono molto tutto: molto simpatico, molto fastidioso, molto...»

«Molto vanitoso» lo anticipai, rivolgendogli un sorrisetto dispettoso. «Intendevi questo? Perché ci troveremmo finalmente d'accordo.»

«Gentile, vorrai dire» mi corresse in tono fiero. «Ti sto tenendo compagnia o sbaglio?»

«Guarda che non ti obbliga nessuno» borbottai bevendo un sorso. La bevanda calda mi corse giù, lungo la gola, scaldandomi lo stomaco stretto in una morsa di nervosismo.

Non sto mica elemosinando un amico.

Lui, seduto nella sedia accanto alla mia, scrollò il capo, come se non ce la facesse più. «Puoi smetterla di prendere male tutto quello che ti dico?» chiese tornando di colpo serio. «Ti ho osservata nei giorni scorsi e mi sembri... Okay. Sto solo cercando di capirti, ma non é semplice.» Corrugò la fronte, guadagnandosi la mia occhiata perplessa.

The Bad boy's SoulDove le storie prendono vita. Scoprilo ora