Capitolo VII - Saeva Fatum

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Dopo esser sceso dal treno, camminai per un tratto a piedi, facendomi strada tra la solita folla multietnica tipica di Neo-Eden 3. Sentii poche e piccole gocce precipitarmi violentemente sul naso: stava iniziando a piovigginare. Non mi sforzai di cercare un riparo. Mi bastavano gli innumerevoli ombrelli di forme e colori diversi che, in quella grigia e triste giornata d'inverno, davano un po' di colore al mondo circostante, che per me era ancora più grigio e triste.

Arrivai davanti l'ospedale Neuro, dove Giovanni era ricoverato. La struttura era brutta e decadente, con pezzi di intonaco staccati dalle pareti, muffa in ogni fessura ed erbacce qua e là. Passando per il parcheggio non potei fare a meno di notare le pessime condizioni delle ambulanze, con all'interno la totale assenza di strumenti per il pronto soccorso e, all'esterno, svariate strisce, dritte e sfuggenti come aculei di porcospino, dai svariati colori, probabilmente lasciate lì da qualche ingrato alla guida. Decisi di non pensare mai più all'immagine di quei due veicoli bianchi, arancioni, con righe variopinte e, invece, di entrare all'interno dell'ospedale.

La stanza di Giovanni si trovava al quarto piano. Decisi di prendere l'ascensore, pentendomene subito dopo. La lentezza scoraggiante di quella piccola stanza mobile, combinata all'incessante traballio, mi provocò un leggero senso di nausea che mi rimase addosso per qualche ora. Uscito da quel macchinario infernale, barcollai qualche istante per poi riprendermi una volta poggiata la mano sul freddo muro di cemento, diviso in due da un netto cambio di colore, bianco e blu, come l'orizzonte dell'oceano in una grigia giornata nuvolosa. Arrivai di fronte la stanza di Giovanni, sulla porta era attaccato un foglio con del nastro adesivo, che mostrava il numero 404. Entrai, cercando di non far troppo rumore per non svegliare eventuali pazienti nelle loro brevi fasi di sonno, quando notai che, effettivamente, non c'era alcun paziente da svegliare. L'unica persona presente in quella stanza era Giovanni. Indossava il bianco camice da paziente, con delle chiazze grigiastre qua e là. I suoi occhi spenti si riaccesero subito quando mi vide, le sue labbra mutarono forma, da una blanda linea retta a una mezzaluna.

"Oh, eccoti finalmente!" alzò la mano, formando una V con indice e medio. Mi avvicinai di scatto, preoccupato per il suo aspetto, e gli chiesi:
"Oh Dio, come stai? Ti vedo più bianco del solito... E l'operazione? Com'è andata?"
"Ti prego, calmati. Va tutto bene. L'operazione è andata a buon fine e, tra qualche settimana, potrò ricominciare a tormentarti in classe" finì la frase con una risata ma non era affatto felice, e nemmeno divertito.
"Giovanni" presi una sedia poggiata sul muro rosa salmone e la avvicinai al lettino del mio amico, per poi sedermici sopra "c'è qualcosa che non va?"
Non rispose, si limitò ad abbassare lo sguardo, puntando i suoi occhi, lucidi, sulle proprie mani.
"Ecco..." si sforzò per far uscire quella misera parola dalla sua bocca "... non so se voglio continuare."
Rimasi immobile, domandando con tono freddo:
"Dici sul serio, Giovanni?"
"Andiamo, l'hai visto anche tu, sono inutile! La Squartatrice mi ha lacerato le gambe e non ho potuto fare altro se non rimanere a terra!"
"Allora chi l'ha distratta, salvandomi la vita, quando la sua lama era puntata alla mia gola, eh?" il mio tono si accese, non potevo sopportare quell'autocommiserazione e quella voglia di gettare subito la spugna.

"Vincenzo..." Fece una pausa, strofinando il polso sul viso per asciugare le lacrime "saresti riuscito a sopravvivere anche senza il mio aiuto. Hai un potere paranormale eccezionale, l'ho visto. Io invece che posso fare? Posso soltanto avere delle visioni approssimate sul futuro, soltanto quando dormo, per giunta." il suo sguardo si ricongiunse lentamente col mio, nell'aria si formò una certa tensione.
"Smettila!" mi alzai istintivamente dalla sedia, il mio tono si fece ardente "Pensi davvero che il mio potere sia eccezionale? Io non voglio diventare un essere paranormale, e sai perché?" aspettai qualche istante prima di dare la risposta "Perchè io odio gli esseri paranormali."
Giovanni mi guardò, il volto incupito per via del mio tono, apparentemente furioso.
"Loro..." mi calmai, anche se per poco "no... Uno di loro... uccise i miei genitori. Da quel giorno rimasi un piccolo orfano senza posto a cui vivere e appartenere. Da quel giorno nacque in me un odio incondizionato verso ogni essere paranormale. Non potrò mai perdonare l'assassino dei miei genitori e, di riflesso, non potrò mai perdonare un suo simile che commette un omicidio. Soltanto pensare che io possa essere così mi da i brividi."
"Vincenzo... Anch'io sono un essere paranormale, e lo sai. Perché mi stai dicendo tutto questo?" non capì le mie intenzioni, e come dargli torto.
"Tu sei diverso, il tuo potere è diverso. Non faresti mai del male a qualcuno per il gusto di farlo. Le tue visioni, seppur in maniera vaga, ci hanno avvisato su una minaccia che incombe su di noi... Sai, gli alieni..." mi sforzai di fare un sorriso per alleggerire la tensione, ridicolizzando l'ultima frase, nonostante la serietà con la quale l'avevo pronunciata "Quindi, nonostante il mio odio verso tutti gli altri esseri paranormali, non potrei mai odiare te."
"Perché vuoi continuare a farlo? Indagare sui casi paranormali, intendo." mi chiese, ancora titubante.
Mi sedetti lentamente, incrociando le braccia e inclinando leggermente il viso.
"Dopo ciò che ti ho raccontato, credevo che la motivazione fosse ovvia. Be', non voglio che altre persone abbiano la mia stessa sfortuna. In più, l'assassino dei miei genitori non venne mai arrestato, trovarlo e fargliela pagare è un'idea allettante, non trovi?" feci un ghigno, quasi malefico "E non dimentichiamoci la tua visione... dopotutto è grazie ad essa se in questo momento siamo qui."

Sentii la sua fiducia nei miei confronti crescere vertiginosamente. Mi guardò intensamente negli occhi, per poi urlare ardentemente:
"Sono stato un idiota! Grazie, davvero, per avermi fatto ragionare." Posò la mano destra sul petto, alzando la mano sinistra e aprendola, imitando un gesto solenne di giuramento "Prometto che non avrò più dubbi del genere." finì la frase con un sorriso.
"Allora è deciso. Il nostro duo andrà avanti!" gli implicai, senza dargli possibilità di rispondere.
"Hai già pensato ad un nome?" mi chiese poco dopo.
"Onestamente no..." mi guardai attorno, cercando ispirazione, ma tutto ciò che vidi furono i lettini bianchi e le pareti spoglie di quella stanza.
Giovanni spalancò gli occhi per qualche istante, dandomi una pacca sulla spalla, pronunciando:
"Destino Crudele! Che ne dici?"
"D-davvero? Non sarà troppo..." feci una breve pausa per scegliere quali parole utilizzare, in modo da non provocargli offese "poco originale?" chiesi, abbastanza incerto.
"Be', se credi che sia poco originale" enfatizzò le ultime due parole, come per prendermi in giro amichevolmente "allora traducilo in una lingua morta!" terminò la frase con tono decisamente sarcastico.

Sfilai il telefono dalla mia tasca e cercai svariate traduzioni per 'Destino Crudele' e, dopo svariate modifiche, balzò fuori il nome 'Saeva Fatum'. Piacque immediatamente ad entrambi e decidemmo così di utilizzarlo per identificare il nostro duo. Dopo aver deciso il nome, Giovanni disse:
"Adesso abbiamo bisogno di un posto dove pianificare le nostre indagini... Casa tua?"
"Cosa?! No!" tagliai immediatamente fuori la sua idea "Calmo, abbiamo appena fondato ufficialmente il duo. Prima pensa a riprenderti del tutto e poi potremmo davvero ricominciare con le indagini."

Continuammo a parlare del più e del meno finchè non finì l'ora delle visite. Salutai Giovanni, augurandogli buona fortuna per la riabilitazione imminente, e uscii dall'ospedale, stavolta scendendo per quelle lunghe rampe di scale. Aveva smesso di piovere da pochi minuti e nell'aria si sentiva l'odore del terriccio bagnato che tanto adoravo quando, da bambino, rientravo in casa dopo esser stato sgridato da mia madre per essermi sporcato di fango. Al posto della pioggia, iniziò a spirare, lieve, un venticello fresco, che smuoveva appena quelle poche foglie rimaste attaccate ai rami degli alberi. Tra i gemiti del vento sottile, riuscii ad udire un 'aiuto' sommesso. Attizzai le orecchie, ma quella parola non si fece sentire nuovamente.
"Mmh... Sarà stata una mia impressione, e non c'è da stupirsi, visto il luogo dal quale sto tornando." mi dissi tra me e me, mentre mi dirigevo alla stazione.

Quella sera, sdraiato sul letto, ripensai a tutto ciò che era successo nell'arco della giornata, ripensai a Michelle, a Giovanni e al modo in cui lui aveva cambiato drasticamente la mia vita nel giro di pochi giorni. Realizzai, alla fine, che quel giorno, 16 Gennaio 2023, segnò un enorme cambiamento irreversibile nella mia vita.

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