Il saluto di mio padre

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 In poco tempo, prendemmo il contatto con una polacca a Napoli, Eva, che per modica cifra di 200 mila lire ci avrebbe trovato un lavoro.
Niente in confronto a quello che ci aspettava. Saremmo diventate le più ricche del paese, capirai.
Informai i miei frettolosamente che sarei partita...mia mamma non era d'accordo, ma mi importava poco. Era il periodo in cui credevamo a chi leggeva le carte e ogni volta che riuscivamo ad ammucchiare un po' di spiccioli, io e Agnese, correvamo da qualche "madame" di turno e credevamo in tutte le sue storielle, convinte ormai che stavamo seguendo la strada giusta.
Mi ricordo che non parlavo con mio padre, dopo qualche litigio. La sera prima che dovevo andare a dormire dalla mia amica  (poi dovevamo partire insieme da casa sua), preparavo la valigia. Mio padre entrò nella stanza, portando una spiegazzata e segnata  da tempo banconota da 10 dollari, che chissà da chi l'ha avuta e dove la teneva nascosta. Tieni, di più non ce l'ho, mi disse con un tono gentile e triste e anche se all'epoca ero solo una giovane stronzetta, mi era venuto un nodo alla gola. Lui, cosi fiero, sempre convinto di avere ragione solo lui, era venuto da me, cosi umile. L'avrei comunque salutato più tardi ed ero arrabbiata con me, che non l'avevo fatto prima che lo facesse lui.

Dalla Polonia con furgoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora