Capitolo 3 ~Mamma ho perso il cervello~

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[#3. «Non odi tutto questo?»]
Sei solo l'eco di Mia Wallce.
«Non vuoi rispondere?»

Cosa vuoi sentirti dire?
«La verità.»

Odio Dante.
«Bugiardo.»

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     L'ultima parola di suo padre, come saluto, fu un bel vaffanculo. Sergio lo aveva salutato con la mano dal balcone della cucina, sventolando una birra piccola: «Ciao pà!» rideva senza contenersi. Aveva impiegato tutta la mattinata a far salire la nostalgia di casa alla madre, i racconti sull'infanzia si erano sprecati, persino in officina, dove Argene lavorava come segretaria. Giulio, marito incompreso come tanti, aveva provato a controbattere sulla necessità di andare a trovare la madre di Argene a pochi giorni dalla Pasqua, ma si era ritrovato sotto minaccia: la passera negata della moglie per ben una settimana, poi due, tre, un mese. Alla fine aveva ceduto e con le lacrime agli occhi aveva accettato di guidare fino a Tarquinia per non peggiorare la sua condanna e poter rivedere presto il paradiso. Giulio era un uomo semplice con problemi semplici.

«Ma non ce dovevi presentà quel tipo...» schioccò le dita più volte, gli occhi chiusi come se servisse a ricordare meglio il nome. «Dante?», domandò ironico Sergio.
«E sì, proprio quello. C'ha er nome di uno scienziato o una cosa simile, visto che me ricordavo pure da solo?!», disse prima di addentare una fetta di pizza e sbrodolarsi con il sugo.

Sergio annuì appena con una finta espressione convinta in volto per non offendere Unto, non voleva infierire su un suo amico, per quanto fosse idiota.
«Sei veramente spastico», commentò Sinna, l'altro membro del trio. Tutte e tre non avevano brillato a scuola in nessuna materia, tranne educazione fisica, guarda caso, ma il livello di Unto era lo stesso di uno scimmione: riconosceva i colori, faceva i conti sulle dita, sapeva leggere a stento e, per quanto riguardava la scrittura, era meglio sorvolare sull'utilizzo di abbreviazioni così abbreviate da essere praticamente solo consonanti.
«Guarda che lo conosco, stavamo alle medie insieme», continuava a insistere Unto, senza capire a cosa fosse riferito l'insulto.
«Sì, ma Dante è un poeta» Sinna provò a spiegare a Unto il motivo del suo essere uno spastico, ma Unto nulla, non capiva: «Poeta? Al massimo rapper, comunque non me pare.»

Sergio scoppiò a ridere, una risata alcolica, esagerata, coinvolgendo gli altri due; Unto non capiva perché stava ridendo, non credeva di aver detto nulla di simpatico, ma rideva lo stesso.
«Comunque bho, avrà da fare», rispose Sergio dopo aver ripreso fiato, le lacrime agli occhi. Erano le dieci passate e Dante ancora non si era fatto vivo.
Unto posò le mani sul tavolo e, stranamente serio, dichiarò di dover tornare a casa perché aveva da sganciare una bomba nel cesso.
«Ecco, vattene a casa. L'ultima volta ho dovuto chiamare l'idraulico» Sergio gli lanciò il tappo della birra, ridacchiando. Sinna si alzò a sua volta, costretto dal passaggio in macchina a tornare presto: «Vedi di non scoreggiare in auto», ammonì Unto.
Si scambiarono pacche sulle spalle e insulti amichevoli fino alla porta: «Giovedì c'ho la roba», annunciò da bravo mercante. «A giovedì allora», lo salutarono entrambi.

Dante non sarebbe arrivato, ormai era chiaro; erano passate le undici, la mezzanotte bussava insistente, ma gli ultimi minuti di quel martedì sera non volevano saperne di sloggiare. Sergio aveva acceso lo stereo, il volume non era minimamente vicino alla soglia di decenza per quell'orario, ma nessuno sarebbe venuto a lamentarsi, tanto si preferiva farsi gli affari propri in quel quartiere. Con Sergio i vicini non rischiavano nulla, ma era meglio evitare dopo l'incidente del Pelato.

Pelato credeva di vivere in un mondo controllato, sentiva gli occhi del Grande Fratello addosso giusto per dare un senso alla sua vita. Obeso per scelta, così da prendere l'assegno d'invalidità dell'INPS, si aggirava per Tor Lupara a bordo di uno di quegli scooter cromati da vecchi. Sgommava dietro la torre d'avvistamento, attuale cacatoio di piccioni, per spaventare i bambini. Un soggetto amorevole nei confronti della comunità, pronto a difenderla dagli invasori armato di un paio di fucili di grosso calibro. Fortunatamente non si faceva mancare i complotti, parte integrale della cultura di Tor Lupara. La sua era una nuova religione con Adam Kadmon* come messia, sproloquiava sulla fine del mondo. Il motivo? I giganti, ovviamente. Giganti comunisti ed ebrei. Agitava il dito paffuto contro chi, la domenica mattina, aveva tradito le loro origini. Secondo Pelato l'Italia era l'Eden, luogo di battaglia tra angeli e uomini. Morti gli uomini, gli angeli avevano ripopolato il mondo figliando con le donne terresti. Et voilà i giganti, ovvero i cattivi da combattere. Insomma Pelato era pronto per ogni evenienza e questo ci riporta al caso famosissimo di Pelato contro Testimoni di Geova. Lo scontro non fu affatto alla pari: il testimone suonò al campanello dichiarando di avere la conoscenza, la verità e per tutta risposta il Pelato gli sparò un pallettone nello stomaco. Morto il testimone, Pelato ai domiciliari, da quel momento suonare al campanello era considerato un atto di guerra. Fine caso.

Era come affogare [boyxboy]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora