5. Ladri di bambini

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Il suono cristallino di un flauto traverso percorreva l'infinito della distesa d'acqua. Un bellissimo strumento d'argento. Proveniva dalla Coleridge. L'aria vibrava della sua intensa melodia, tutto il mondo vivente pareva in ascolto. Poi, la Balia cessò di produrre la sua melodia, e si rimise la maschera. Il meriggio intorno a loro era tranquillo e ora, grazie al flauto, il vento era propizio e le vele gonfie. Il loro compito anche per quel giorno era giunto al termine. Ed era proprio questo il peggio.

La ricca maschera adorna di piume che nascondeva completamente il viso della Balia aveva una sola espressione: perciò non era possibile definire con quale sguardo il Capitano della Coleridge stesse fissando il mare da lunghissimi, interminabili minuti. Ma a nessuno della ciurma interessava particolarmente sapere che cosa passasse per la testa al loro Capitano. Si erano sempre limitati ad eseguirne gli ordini e l'avevano fatto con la riluttanza più estrema. La Balia sapeva benissimo che erano vicinissimi all'idea di ammutinarsi, ma non lo avrebbero mai fatto, avevano troppa paura del suo patto ultraterreno. In ogni caso, era ben consapevole che la sua stabilità al comando dipendeva da quella maschera, e quindi non se la sarebbe mai tolta.

Nel frattempo, mentre la ciurma di affaccendava con le cime per tenere a posto le vele, la Balia stringeva il suo flauto nel pugno destro e osservava l'inconsueto spettacolo di un albatro che volteggiava sopra le loro teste, attirato, come sempre, dal suono dello strumento d'argento che lei aveva appena cessato di suonare.

Rowena scrutava con occhio di lince ogni possibile movimento alle sue spalle, e intanto trovava il tempo di ammirare la magnificenza della sua nave. L'angelo bambino con le grosse ali spiegate a prua, il teschio capovolto sul loro enorme vessillo, il tappeto rosso che veniva steso ovunque lei avesse intenzione di camminare... Decisamente la Coleridge era molto migliorata dall'ultimo capitano.

- Con i bambini abbiamo finito, Capitano, - annunciò una voce alle sue spalle. Rowena sapeva che si trattava di Gabrièl, suo "fedele" sovrintendente, ma riuscì comunque a sobbalzare. Il suo corpo era costantemente teso, nonostante ostentasse quella tranquillità e quella risolutezza che tutti i Capitani devono avere.

- Quante botti? - domandò Rowena.

- Cinque. -

Il Capitano annuì lentamente, molto lentamente. Erano davvero pochi, allora.

- Non sarebbe meglio depositarle a terra? Siamo troppo pesanti con tutto questo liquido a bordo. -

- No, non ancora, - ringhiò la Balia, continuando con lo sguardo a percorrere il tragitto della spuma marina. - Qualcuno potrebbe trovarle e scambiarle per bevande, o gettarne via il liquido. Tu sai che io ne ho bisogno. -

Gabriel annuì: dietro il suo rispetto fasullo si celavano l'odio più puro e la consapevolezza che, alcuni anni prima, quando ancora quella tipa non era niente, non avrebbe mai osato darsi tutte quelle arie da imperatrice. Ma non c'era niente da fare: ormai era lei il Capitano.

- Nascondi quelle manacce, Gabriel, - intimò il Capitano, e il francese si affrettò a intrecciare la mani dietro la propria schiena, spargendosi sulle vesti il sangue di cui erano macchiate. - Appena puoi ti suggerisco di lavartele. -

- Sarà fatto, Capitano, - sibilò Gabriel con una delle sue intonazioni più melliflue. Indovinava perfettamente la tensione di Rowena nel toccare quell'argomento, pur non avendo mai compreso il motivo di quell'agitazione. Era soltanto sangue.

- Dimmi, Gabriel... - fece Rowena cambiando bruscamente argomento. Per quanto era possibile capire dalla maschera veneziana, sembrava che stesse guardando intensamente l'alta costa rocciosa di fronte a sé. - ... quante persone possono esserci a bordo, laggiù? -

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