Prologo (revisionato)

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Prologo

Non c'era nulla. Solo una insormontabile e orribile sensazione di vuoto.
Non sapevo cosa, o chi ci fosse accanto a me, perché i miei occhi erano rivolti verso il muro bianco sporco che avevo davanti. Il mio collo sembrava bloccato nella direzione di una poco rassicurante macchia giallastra dalla forma inquietante, senza trovare la forza per voltarsi.
Da quanto tempo ero lì, o dove fossi esattamente, proprio non riuscivo a ricordarlo.
Stavo aspettando qualcosa? Qualcuno?
Probabilmente c'era una ragione per cui me ne stavo lì, seduto su quella scomoda sedia di plastica, con le ossa che parevano spezzarsi secondo dopo secondo, come schiacciate da una strana forma di gravità. Le mie dita continuavano a stringere con forza la stoffa dei pantaloni: le sentivo tremare e fremere, insieme alle gambe che parevano essere di gelatina.
Delle figure presero il posto della macchia gialla.
Dalle loro movenze era chiaro che stessero parlando animatamente di qualcosa, ma uno strano sibilo, continuava a ronzarmi nelle orecchie, rendendomi difficile capire cosa stessero dicendo.
–Harry. – Era il mio nome? Non ero neppure certo di ricordarlo.
Provai a concentrarmi, ma tutto quello che riuscii a vedere fu l'ennesima macchia gialla sulle mura tristemente bianche.
–Harry... – Guardai le mani, ancora strette sui pantaloni. Lo smalto nero che decorava le mie unghie era sbeccato in più punti, laddove lo avevo mordicchiato per il nervosismo. I motivi per cui lo avevo fatto, adesso mi sembravano così stupidi... tanto futili da farmi sentire in colpa.
–Harry? – Una mano si appoggiò alla mia spalla. Già, probabilmente Harry ero io.
–Dovresti mangiare qualcosa. – Alzai lo sguardo. Le lacrime mi annebbiavano la vista, ma riuscii a vedere con chiarezza i due occhi chiari che mi fissavano.
Quello che avevo davanti era un giovane uomo dall'aria triste. Era tanto attraente, quanto agitato, mentre picchiettava il piede a terra, in attesa di una mia risposta.
Mi costrinsi a scuotere leggermente la testa.
–Almeno va a prendere una bottiglia d'acqua al distributore. – I capelli scuri gli ricaddero ribelli ai lati della fronte, incorniciandogli il volto corrucciato, mentre raschiava le tasche, in cerca di qualche spicciolo da darmi.
– Felpato? – L'uomo davanti a me si bloccò. Accanto a lui, una donna dai capelli rossi e gli occhi spalancati, gli teneva teneramente la mano sull'avambraccio. I suoi occhi erano rivolti verso di me, tanto lucidi da chiedermi se la sua vista fosse opaca tanto quanto la mia, e se vedesse lo stesso caleidoscopio sfocato che vedevo io. –Sei sicuro che te ne possa occupare tu? –
Occuparsi di cosa? Era di me che stava parlando?
– Sono l'unica famiglia che ha, Molly. – L'uomo bisbigliò tra i denti.
Il mondo parve sparire da sotto i miei piedi, facendomi ripiombare nel vuoto. Adesso ricordavo: la telefonata, la faccia sconvolta della signora Weasley quando aveva risposto al telefono. La mia risata si era spenta, mentre Ginny e Ron, erano rimasti pietrificati, sul divano in salone.
E poi la corsa inutile verso l'ospedale, con le ginocchia tremanti e le preghiere dette a mezza voce.
Non c'era stato nulla da fare.
Quando mi ero precipitato nel corridoio della sala operatoria, ad aspettarmi, con il viso tra le mani, c'era il mio padrino. I miei genitori avevano avuto un incidente, e non ce l'avevano fatta.
– Ce la caveremo. –Sirius, si sforzò di sorridere leggermente. 
– Mi dispiace non poter fare di più. – Molly si strinse nella sua sciarpa fatta a mano, poi rivolse lo sguardo verso di me, le lacrime che le solcavano il viso pallido.
– Harry, caro... – Stette per avvicinarsi, ma la bloccai, sollevano leggermente una mano in aria.
– Sirius ha ragione, non deve preoccuparsi. Noi staremo bene. – La mia voce era rauca, tremante, quasi stentavo a crederci di essere riuscito a parlare.
– Di qualsiasi cosa voi abbiate bisogno, contate pure su di me. – Si asciugò una lacrima con la manica sgualcita della giacca di seconda mano. – E Harry... casa nostra è anche la tua. Sei sempre il benvenuto. – Era chiaro che non volesse lasciarci soli.
– Grazie Signora Weasley. – Avrei voluto trovare un modo migliore per rassicurarla, ma non riuscii a trovare altre parole da usare. La Signora Weasley era sempre stata gentile nei miei confronti, e con il passare degli anni il mio rapporto con lei era diventato tanto stretto da considerarla quasi come una seconda mamma. Io e Ron, infondo, ci eravamo conosciuti in prima media, e da allora casa sua era stata un porto sicuro nel quale approdare quando le cose non andavano bene. Un porto in cui avevo gettato l'ancora, da quando io e Ginny ci eravamo messi insieme, l'estate prima.
Erano passati soltanto quattro mesi, da quella soleggiata giornata di mare in cui avevamo ufficializzato la cosa,  eppure mi sembrava che quei ricordi appartenessero ad un periodo tanto lontano da essere sfumato, quasi appartenesse alla vita di qualcun altro.
– Credo sia ora che io vada. –  La guardai di sfuggita mentre si dirigeva verso l'ascensore, parlando al telefono con suo marito, rassicurandolo che sarebbe tornata di lì a poco. Agitò una mano verso di noi, in segno di saluto, un attimo prima che le porte dell'ascensore si chiudessero davanti a lei.
Nè io nè Sirius ricambiammo il gesto.
Passarono alcuni secondi, o forse interi minuti.
Sirius era seduto rigidamente sulla sedia di plastica accanto alla mia. Riuscivo a sentire il suo calore attraverso il tocco delle nostre spalle, l'una contro l'altra.
– Andiamo a casa? – 
– Non credo ci sia più un posto che io possa chiamare Casa. –
– Harry... – Fino a quel momento non avevo visto neppure una lacrima sul suo volto, eppure i suoi occhi erano tanto tristi da farlo sembrare morto, inanimato. – Lo so che è difficile. E so che nessuno proverà mai il dolore che stai provando tu; nemmeno io. – Appoggiò una mano sulla mia gamba. – Ma tu una casa ce l'hai. Tu hai me. Io non ti lascerò mai da solo. –
Era quello che dicevano i miei genitori.
Ma la morte è una bastarda. Nessuno può sfuggirle quando lei decide che è il tuo momento. Nessuna promessa, nessun giuramento.
– Non voglio perdere anche te. – Sussurrai.
E fu come se quelle parole incendiassero la mia mente. I singhiozzi presero il posto del silenzio, il dolore nel petto sostituì la monotonia del bianco dell'ospedale. Tutto si amplificò, facendomi sentire tanto male da soffocare.
Sirius mi strinse a sé. Mi abbandonai al suo calore, sperando che l'universo mi lasciasse riposare nel suo abbraccio, per sempre.

Ed eccomi qui, dopo un'infinità di tempo, a ricadere nei miei vizi. Eh sì, sono ricaduta nella trappola della drarry. Ero in astinenza, e non ho potuto fare a meno di lanciarmi nella stesura di questa nuova fanfiction.
Spero, quindi, mi possiate perdonare e che possiate apprezzare questa mia nuova storia, così come avete fatto con le altre.
Cosa ne dite? Mi seguite in questa nuova avventura? Fatemelo sapere con un commento e/o accendendo la stellina qui sotto.
Un bacione.
La vostra Channaki_

Together alone || Drarry (in revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora