Capitolo 2
Il telefono cominciò a vibrarmi nella tasca non appena passò l'orario dedicato al pranzo.
Lo presi, soltanto per vedere le tre chiamate perse di Ginny, insieme ad infinite altre di Ron ed Hermione. Sospirai e lo misi in modalità aereo. Non avevo voglia di parlare con nessuno di loro.
Attraversai, quindi, la strada, e mi rintanai nel primo bar che mi trovai davanti, buttando la borsa a terra, e prendendomi la testa tra le mani.
Di tornare a casa non se ne parlava. Sirius sarebbe stato lì.
Avevo promesso di non dargli altri pensieri, e saltare le lezioni non era di certo il modo giusto per tener fede ai miei propositi. Sospirai frustrato.
– Non hai mai saltato delle lezioni, non è vero? –
Una mano, mi afferrò per il colletto della maglietta, facendomi alzare lo sguardo.
Due occhi grigi mi fissarono a qualche centimetro di distanza dai miei.
– Co– cosa? –
– Credevo di averti suggerito di andare via, non di entrare nel bar davanti all'istituto. – Sussurrò il biondo tra i denti. Il suo respiro mi solleticò la guancia, facendomi rabbrividire.
Che diavolo di problemi aveva? Mi stava forse seguendo? – Le basi ragazzino: questo posto è pieno di professori. – Indicò la sala, con un ampio gesto della mano, facendomi aggrottare la fronte.
Dietro la sua spalla, intravidi una chioma riccia.
Quindi era lì con la professoressa Lestrange. Adesso cominciavo a capire.
Doveva avermi notato, e per evitare che la sua accompagnatrice facesse lo stesso, era venuto ad avvisarmi. Non ne capivo il motivo. Poteva benissimo far finta di nulla.
– Ascolta... – Mi fermai, realizzando di non avere la più pallida idea di quale fosse il suo nome.
Eravamo due sconosciuti. Eppure allo stesso tempo mi sembrava quasi normale la sua presenza accanto a me... scossi la testa.
– Sono Draco. Il mio nome è Draco. – Aveva ancora la sua mano stretta alla stoffa della mia maglietta, senza dare segni di avere la minima voglia di toglierla.
– Allora, ascolta... Draco. – Sfuggii dalla sua presa, strisciando con la sedia un po' più indietro. Il rumore delle gambe che stridevano al suolo gli fecero serrare la mascella. –Sono contento che tu abbia preso a cuore questa faccenda, ma... tranquillo. Me la cavo anche senza di te. – Chi diavolo si credeva di essere?
–Lo vedo. Fosse stato per te saresti rimasto come un baccalà davanti alla porta della palestra. – Si passò una mano tra i capelli. – E adesso ti farai beccare, se non esci subito da qui. – Sapevo che aveva ragione. – C'è un locale sulla prossima strada. Si chiama il Paiolo magico. – Continuò. – Gira l'angolo ed entra nel portone verde infondo a sinistra. I professori non si avvicinano mai lì. – Scandiva le parole, quasi come se davanti avesse un bambino distratto. – Se ti fanno storie, digli che ti mando io. –
– Il paiolo magico? Sei serio? – Lui si allontanò, alzando gli occhi al cielo.
– Puoi sempre tornare a casa... ma non penso tu ne abbia voglia. – Maledizione.
– D'accordo. Me ne vado. – Ripresi lo zaino e me lo rimisi in spalla, sotto gli occhi attenti del ragazzo. Si aspettava un grazie? Un saluto? Non lo sapevo, e non mi interessava. Volevo soltanto allontanarmi da lui e dalla professoressa Lestrange il prima possibile. Adesso mi sentivo uno stupido ad essere entrato lì, e persino ad essere uscito dall'istituto.
Ero sempre stato un ragazzo modello: quello che si comportava sempre nel modo giusto, quello che rispettava le regole e che non faceva mai nulla che fosse contro la propria morale.
Ero il tipo di ragazzo che si sarebbe lanciato da uno strapiombo se solo i suoi genitori glielo avessero chiesto.
Avevo sempre fatto quello che loro volevano, quello che credevano fosse il meglio per me.
E adesso? Come avrei fatto adesso che non avevo più nessuno a dirmi come comportarmi e cosa fare? Mi sentivo come una marionetta alla quale erano stati tagliati i fili. Non avevo più nessuno in grado di guidarmi. Ero solo, e libero. Sentivo il peso delle scelte su di me.
Mi specchiai per l'ultima volta nel grigio degli occhi di Draco, incapace di stabilire quale sensazione stessero causando dentro di me, poi, spingendolo con la spalla, mi allontanai frettolosamente.Il Paiolo magico era esattamente dove Draco mi aveva indicato, ed entrando nel portone in legno verde, capii subito perché, come mi aveva detto lui, il bar non fosse frequentato dagli insegnanti: quel posto era una topaia.
Le luci erano tanto tenui da lasciare la saletta nel buio quasi totale, tranne per il bancone, che godeva della luce riflessa della vetrina degli alcolici.
L'atmosfera, però, era stranamente piacevole e famigliare, quasi come quella percepita nel salotto di un amico. Una sensazione strana e travolgente: mi sentivo a mio agio.
Feci qualche passo in avanti, guardandomi intorno alla ricerca di qualcuno al quale avrei potuto rivolgere parola.
Fosse stato un bar normale, mi sarei seduto in un posto a caso, senza dar conto a nessuno. Lì dentro, però, sentivo di dover avvertire del mio arrivo e della mia permanenza.
– Ehi ragazzino. Ti sei perso, per caso? – Un grosso omone dall'aria rude strofinava un bicchiere di vetro, guardandomi dall'alto in basso. Mi strinsi un po' di più nella mia felpa e mi preparai alla mia imminente morte. Probabilmente quel tipo mi avrebbe fatto a pezzi e messo nel suoi drink al posto dell'ombrellino. Aveva tutta l'aria di essere un uomo poco raccomandabile.
– Credo di sì. Forse è il caso che io me ne vada. – Perchè mi ero fidato di Draco ed ero entrato lì dentro? Mi voltai nuovamente verso la porta, pronto a correre.
– Aspetta. Tu sei Harry? Harry Potter? – Mi bloccai.
– Come fai a saperlo? – Lui lasciò il bicchiere e si grattò la nuca, imbarazzato.
Stentavo a credere che un omone grande e grosso come quello, potesse davvero avere un'espressione così pura sul viso buffo, eppure era così. I suoi occhi si erano illuminati, mentre ridacchiava per dissimulare il suo disagio.
– Conoscevo i tuoi genitori. – Disse alla fine. – Mi dispiace per quello che è successo. –
Aggrottai le sopracciglia.
I miei genitori? Erano stati lì dentro, in passato? Non credevo fossero quel genere di persone, ma dovevo ammettere di non conoscere molto della loro vita personale, soprattutto di quella prima che io nascessi. Non me ne avevano mai parlato, ed io mi ero limitato a rispettare la loro volontà.
Avevo passato anni a convincermi che avrei trovato il momento giusto per chiedergli del loro passato, o che avrei aspettato il momento in cui fossi diventato abbastanza grande da essere considerato alla loro altezza, così da poterlo scoprire da solo.
Sfortunatamente, adesso quel giorno non sarebbe mai arrivato.
Non potevo più scoprire nulla su di loro. E poi, anche ci fossi riuscito, a cosa sarebbe servito?
Loro non sarebbero più tornati da me.
– Non dovresti essere a scuola, tu? – Dovevo essere stato in silenzio più del dovuto, perché l'uomo mi rivolse un'occhiata preoccupata.
– Sono uscito prima. – Sorrise.
– Cosa fai ancora in piedi, allora? Siediti pure dove vuoi. Ti porto qualcosa da sgranocchiare. –
Sembrava piuttosto felice di avermi lì. Immaginai che non fosse facile gestire un posto come quello. L'affluenza non doveva essere delle migliori a quell'ora. Era chiaro che quello fosse un locale prettamente notturno. –Avanti, avanti. Fai come se fossi a casa tua. –
Mi sedetti ad uno dei tavoli più vicini al bancone, così da rimanere nella luce soffusa che quest'ultimo emanava. L'uomo mi raggiunse poco dopo, appoggiando sul legno un paio di bicchieri di vetro, ricolmi di noccioline e patatine, insieme ad una bottiglietta di coca–cola.
– Non credo che tu voglia una birra. – Si strinse nelle spalle.
– No. No, hai ragione. – Lo ringraziai con un cenno del capo.
– Ho ancora qualche faccenda da sbrigare, ma chiamami se hai bisogno di qualcosa. – Al contrario delle sue apparenze non troppo dolci, sembrava la persona più buona del mondo.
– Aspetta. – Si voltò verso di me, con gli occhi grandi da bambino, oscurati dalla barba folta.
– Non mi hai detto il tuo nome. – Mormorai, accorgendomi solo in quel momento di poter sembrare fuori luogo. Il suo sorriso mi fece velocemente ricredere.
– Hagrid. Custode delle chiavi e dei locali del Paiolo. – Si presentò, accennando un inchino.
– E' un piacere conoscerti, Hagrid. – Sorrisi anche io. Forse per la prima volta da giorni, e lasciai che si allontanasse, con il cuore un po' più leggero.
Cacciai fuori dalla tasca il cellulare e riattivai i dati, bevendo un sorso di coca–cola.
Lo schermo si riempì di notifiche.
Sbuffai infastidito e aprii la prima chat, quella di Ginny.
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Together alone || Drarry (in revisione)
FanficNon c'era nulla. Solo una insormontabile e orribile sensazione di vuoto. Non sapevo cosa, o chi ci fosse accanto a me, perché i miei occhi erano rivolti verso il muro bianco sporco che avevo davanti. Il mio collo sembrava bloccato nella direzione d...