ἀπόῤῥητον (Aporreton): segreto, mistero.
Di colpo l'immagine sparisce, sostituita dal buio delle mie palpebre e dal suono della sveglia del cellulare. Stavo per scoprire qualcosa, qualcosa di importante. Socchiudo gli occhi, perplessa.
Zittisco l'apparecchio infernale e mi alzo dalla sedia, sentendo le ossa scricchiolare. Sono infreddolita e indolenzita, e le piastrelle gelide sotto la pianta dei piedi non aiutano. Devo essermi addormentata sul pc ieri pomeriggio. Non ricordo neanche più che bizzarrie stavo leggendo. Il computer è ancora aperto davanti a me, ma ormai spento. Il telefono, invece, ha miracolosamente resistito alla notte e ha fatto in tempo a svegliarmi.
Con uno sbadiglio, incespico nel corridoio ingombro di scarpe e abiti abbandonati a terra fino al bagno e mi sciacquo la faccia per cercare di svegliarmi. Non ho un gran successo: la mia testa è ancora in parte dispersa nella dimensione onirica e mi dà una strana sensazione. Come se ci fosse qualcosa che dovrei ricordare.
Ah, già, stavo sognando e la sveglia mi ha interrotta proprio quando..."Quando cosa?" mi chiedo confusa restando immobile, i capelli ritti in testa e la manica del maglione infilata per metà. Ho per un attimo una sensazione su quel sogno, una di quelle immagini sfocate che si ricordano appena svegli, ma poi scompare. La cosa è frustrante, oltre che insolita. Normalmente ricordo fin troppo bene ciò che sogno.
Raggiungo la cucina e mi infilo un paio di calze sui piedi già intirizziti, prendendole dal mucchio di abiti accatastati sulla sedia. Dovrei mettere in ordine uno di questi giorni...Ma continuo a chiedermi cosa stessi sognando.
Mi avvicino all'armadietto per prendere i biscotti, cercando di lasciar perdere, ma ho la sensazione che qualcuno stesse per svelarmi un segreto. Sospiro e cerco il caffè. Che il sonno si tenga i suoi segreti, io ho il mio. E qualcosa mi dice che oggi dovrò darmi da fare per tenerlo al sicuro.
Odio le premonizioni e purtroppo ne ho spesso. Sono di due tipi: quelle che ho troppo tardi e quelle che non capisco finché non è troppo tardi. Nel complesso, servono solo a stare peggio.
Lancio un'occhiata disinteressata all'orologio. Devo essermi imbambolata pensando al sogno, perché sono di nuovo in ritardo...Con una smorfia, rinuncio alla colazione e mi preparo a uscire.
Però sento, inevitabilmente, che oggi qualcuno farà domande e sarà difficile rispondergli.
Bene. Ora posso affrontare le tre interrogazioni della giornata senza problemi, immagino.
***
Quando suona la campanella dell'intervallo, la mia inquietudine si affievolisce. Per ora è andato tutto bene e, visto quel che è successo ieri, c'è ancora un briciolo di ottimismo in me. Posso farcela. Ma prima il mio caffè giornaliero, ne ho bisogno.
Non mi lamento della coda e riesco persino a sorridere alla barista quando mi passa il bicchiere di plastica. Quel che è successo ieri mi ha dato una carica di ottimismo.
Solo ora noto che usa per quasi tutti una tazzina di ceramica, ma sa sempre che io avrò fretta di andare, portandomi via il bicchiere e quello che lo contiene. Sa che non voglio tornare indietro a ridarle la tazzina ed è per questo che ogni mattina mi serve ciò che le chiedo nel bicchiere di plastica della macchinetta.
Non l'avevo mai notato. Forse ha solo paura che non le riporti la tazza, certo, e avrebbe anche ragione, ma forse invece lo fa per farmi un piacere. È così strano rendermi conto, per caso, che per qualcuno come la tipa che serve al bar della scuola io non sono solo una dei tanti studenti. Sono particolare, sono una persona che valga la pena ricordare. Anche per una cosa stupida come darmi il bicchiere diverso.
Me ne torno in classe con un'ombra di sorriso sulle labbra, e sto tranquillamente passando il corridoio pensando che alla fine andrà tutto bene quando...
-Eccoti- dice una voce familiare.
Impreco mentalmente in tre lingue diverse. Ecco chi mi farà domande a cui non posso rispondere. Il ragazzo di ieri aveva detto di incontrarci qui, come ho fatto a dimenticarmelo?
-Senti, io in realtà devo andare - dico, fintamente dispiaciuta. - Ho una verifica di matematica alla prossima ora, ieri ero leggermente troppo sconvolta per ricordarmene, e devo assolutamente essere lì prima che suo...-
Lo guardo in faccia e tanto basta a interrompermi. Ha un sorriso sghembo ma consapevole, come se fosse divertito da me.
-Non mi credi, vero?- chiedo, rassegnata.
-Oh, certo che ti credo. Ti prego, descrivimi quanto tempo ci metterai a spostare il tuo banco di mezzo metro per la verifica che non hai- fa lui, con un ghigno.
-Come siamo sarcastici, oggi- sbuffo. -Comunque è strano, di solito ci cascano tutti subito. Sono abituata a mentire.-
Lui alza le spalle e appoggia la schiena al muro. -E io sono abituato a sentire gente che mi mente. Dei due, sembra che io abbia più esperienza.-
Finisco il caffè in un sorso e accartoccio il bicchierino. -Okay, hai vinto. Però mi dispiace, non ho niente da dirti.-
Solleva le sopracciglia. -Sicura? Perché io ho molte cose da chiederti, invece.-
-Si vede che non ti risponderò, allora. Tutti hanno dei segreti e non puoi pretendere che venga a dirti i miei perché ieri mi hai prestato il cellulare.-
-Però posso pretendere qualche risposta dopo che mi hai detto che un tipo stava morendo perché tu eri svenuta sul pavimento. E soprattutto, perché avevi pure ragione.-
Ora è di nuovo serio, non ha più quell'aria, come se si stesse prendendo gioco di me. Sembra più preoccupato, ma anche...intrigato?
-Non te lo posso dire, mi hai sentita.-
-E perché?- chiede, gli occhi fissi su di me. Ha degli occhi particolari, un po' inclinati a mandorla, che gli danno un aspetto dolce e un po' sofferto. Ma sono anche occhi scuri, profondi e inquisitori, abituati a trovare quello che cercano. Anzi, l'espressione di tutta la sua faccia mi intimidisce leggermente. Vibra di potere, ma più che rispetto incute un certo timore. Giro la testa e distolgo lo sguardo. Probabilmente è solo la sua altezza che mi dà quest'impressione.
-Perché mi spediresti in manicomio- dico, riscuotendomi con un sorriso amareggiato.
-Non farei una cosa del genere a chi ha salvato una vita- risponde, e sembra sincero.
-Sì, ma comunque che ti cambia?- dico, con il tono di una a cui stanno facendo perdere tempo per una sciocchezza.
-Mi cambia che così in manicomio non ci finisco io.-
Possibile che sia così sconvolto da quello che è successo? Lo guardo. La sua espressione è mutata, ora sembra smarrito e sconfortato, ma...Poi capisco.
-Anche tu sei abituato a mentire- affermo, sprezzante.
-E tu sei abituata a cambiare discorso.
-Potrei dirti la stessa cosa!
-Ma qui quella che ha dei segreti sei tu.
Questo è troppo. -Ma chi ti credi di essere? Non ti devo nessuna spiegazione!-
-Perché ti fa tanto paura quello che è successo?- dice, abbassando la voce. La verità di quello che dice, e l'abilità con cui me l'ha estorta, sono sconvolgenti.
Sento l'ansia aumentare. Che faccio? Proprio ora che sembrava potesse andare tutto bene...Ma sai cosa?, penso, Questa volta la rischio.
Lo fisso nervosamente, mentre sento l'adrenalina salire. I suoi occhi sono duri e accigliati. Mi dicono "Va bene, sono stato gentile, ma ora mi devi delle risposte."
E allora gliela do una risposta, anche se so che genererà ancora più domande:
-Perché io lo sento quando le persone muoiono.-
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The Garden of Death
Genel Kurgu"Mi chiamo Cassandra - sì, come la profetessa dell'Iliade, quella a cui non credeva nessuno perché Apollo l'aveva maledetta, e anche io ho la mia Maledizione: ogni giorno, in momenti diversi, in modi diversi, io muoio." Cassandra Vitali trova che ci...