Capitolo 3

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Qualche giorno dopo dei signori strani entrarono dalla porta grossa di legno, quella di dietro. Avevano un vestito lungo, fino alle ginocchia, bianco con tanti bottoni e qualche tasca. Avevano sotto anche i pantaloni: forse con solo il vestito avevano freddo, come quando a me la Moci metteva le calze lunghe insieme al vestito con le farfalline. Uno aveva gli occhiali fini fini e i capelli bianchi tutti strani, un po' ricci e un po' dritti, in ordine sul davanti e scompigliati sul dietro. Penso subito che sembra uno di quei dottori pazzi dei cartoni. L'altro è più giovane e mi sembra più bravo. Ha un po' di barba e i baffi come quello sulla birra che beve la Moci, ma sono biondi. Ha gli occhi grigi e una piccola cicatrice vicino all'orecchio. Ha una camicia grossa grossa con i ganci tra le braccia. Mi fa un po' paura, ma magari la vogliono vendere alla Moci. Sarà un capo di alta moda, uno di quei vestiti bizzarri per le sfilate.
Vedo che la mamma parla con quello pazzo e poi l'altro mi viene vicino, con la faccia buona. Sorrido pure io.
Mi fa infilare le braccia nella camicia, ma mi sta larga, come le felpe dei miei amici dei giardinetti. Non fa male, però poi mi lega le braccia in una posizione scomoda. Mi portano su un furgone strano e vedo la Moci che mi guarda cattiva. Quei signori sconosciuti mi stanno portando via dalla mamma, allora mi metto a piangere e a urlare. Magari è una delle verifiche della Moci, per vedere se so le regole. La cinque me la ricordo bene, ma se non rientro in casa non la rispetto. Mi mettono dietro nel furgone, su una barella strana come quelle dell'ospedale e mi legano ancora. Il furgone parte e vedo la Moci che mi guarda, ancora più cattiva di prima.
Ma perchè mamma? Non mi vuoi più? Sono stata cattiva?

Il furgone si ferma dopo un po'. È stato quasi divertente: le buche mi hanno un po' scombussolato, ma sto bene. Tranne le braccia, quelle mi fanno tanto male. Il signore pazzo ascolta musica classica e a quello biondo non piace: è l'unica cosa che so di loro.
Scendo dal furgone in braccio a quello pazzo che mi porta in una strana stanza. Le pareti sono pitturate con colori vivaci, come quelle dei reparti degli ospedali per i bambini. C'è uno scoiattolo che corre su un albero, un orsetto seduto su una panchina. Le nuvole sembrano zucchero filato e il sole mi sorride. Nel bel mezzo del pavimento c'è una sedia a dondolo molto grande, un tavolino con delle seggioline, dei colori, qualche foglio bianco e qualche giocattolo.
Il signore biondo mi slaccia la camicia scomoda e finalmente posso muovere le mani e le braccia un po' doloranti.
Corro verso il tappeto sul quale mi siedo. Prendo la scatola con i mattoncini di legno e mi metto a giocare. Un re, una regina, una principessa e poi un'ombra. Che uccide tutti.

Shadows: un'infanzia rubataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora