Capitoli 13

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Ero distrutta. Giorgio era stato costretto a non farmi gareggiare nella staffetta per la mia incolumità. Non avrei mai immaginato si potesse arrivare a tanto. Non mi sentivo nemmeno di incolpare Lorenzo, probabilmente mi aveva abbracciata per dimostrare agli altri che mi voleva bene. Si era preso cura di me anche dopo, aveva affrontato i miei genitori. Samuele era riuscito a spiegare tutto a Giorgio. Quei due ragazzi mi stavano proteggendo e io non avrei mai creduto che potesse succedere. Ma se le conseguenze di quel contatto erano state queste, io e Lorenzo non avremmo mai potuto avere alcun tipo di legame o avrei rischiato atti di bullismo fisico oltre che psicologico. A quello psicologico mi ero abituata, ormai ero forte per sopravvivere, non potevo arrivare anche a quello fisico se c'erano modi per evitarlo.

I miei genitori erano preoccupati per me. Quella sera ero molto silenziosa. Dopo cena mi chiusi in camera e piansi. Il mio migliore amico si era allontanato da me, l'atletica era diventata la mia prigione di tortura e non potevo più parlare con Lorenzo.

Il giorno dopo a scuola non prestai ascolto a una parola di spiegazione in classe, le mie compagne mi chiesero come stavo e io raccontai loro tutto. Mi risposero che le altre atlete erano delle bullette senza speranza, lo avevo capito anche io. Si potevano dire tante cose, ma nulla avrebbe cambiato la situazione.

L'allenamento di quel pomeriggio durò solo poche ore, fu più leggero degli altri, per fortuna. Mi allontanai da tutti. Lorenzo provò ad avvicinarsi a me, ma io mi allontanai sempre. Era già difficile restare in pista quel giorno, dover parlare con qualcuno con gli occhi di tutti puntati addosso, era ancora peggio. Ogni volta che Lorenzo o Samuele provavo ad affiancarmi, le attenzioni delle ragazze si spostavano su di noi e in allerta origliavano e memorizzavano tutto.

Per tornare a casa non mi cambiai neanche, presi la borsa dall'ufficio di Giorgio e scappai via.

A casa Giorgio mi telefonò poco prima di cena, mi disse che visto quel giorno, l'indomani ero assentata dagli allenamenti, mi serviva un po' di svago lontano dalla pista, in più era anche il mio compleanno, non potevo trascorrerlo in mezzo a persone che mi detestavano. Già il mio compleanno! Non poteva capitare in un momento peggiore. Fui grata per questo anche se non sapevo bene come passare la giornata: ero a casa da scuola per la festa della repubblica, non avevo compiti da svolgere o da studiare, però effettivamente mia mamma aveva rifornito lo scaffale del salotto di dvd, potevo vederne qualcuno sdraiata in divano, come non facevo da un sacco di tempo.

I miei mi chiamarono per cena, mi chiesero com'era andato l'allenamento e io risposi restando sul vago. Parlare della pista non serviva a nulla, le discussioni non risolvevano la situazione e come azioni non sapevo come muovermi. Quindi semplicemente ero stufa di parlare dell'atletica, erano solo parole al vento, senza più un significato e una consistenza.

Dopo cena mi chiusi in camera e mi buttai a letto nel tentativo di rilassare la mente.

Il mio cellulare squillò. Speravo tanto che fosse Riccardo. Non era lui. Era una mia compagna di classe che mi invitava ad andare in spiaggia a Jesolo il giorno dopo per festeggiare il mio compleanno. Decisi di accettare l'invito, meglio uscire in compagnia piuttosto che trascorrere la giornata carica di una videoteca di film e a piangere in solitudine. Non sarebbe proprio stato un bel compleanno.

Andai da mia mamma a comunicarle la notizia e lei fu d'accordo con me.

-Riccardo viene?- mi chiese. Non sapeva della nostra lite.

-No, non viene- le risposi, un momento di soddisfazione sfumato da quella battuta.

-Peccato, mi da sempre un senso di sicurezza saperti con lui. E' successo qualcosa?-.

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