Martedì - Seconda parte

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* linguaggio volgare, contenuti sensibili*

Qui dove il mare luccica

E tira forte il vento

Su una vecchia terrazza

Davanti al Golfo di Surriento

Un uomo abbraccia una ragazza

Dopo che aveva pianto

Poi si schiarisce la voce

E ricomincia il canto

Kryzia's POV

Ci siamo, il grande momento è quasi arrivato.

C'è un camerino con scritto sopra il mio nome, che mi aspetta, all'Ariston.

Io non dovrò fare nulla di particolare, se non essere presente. Al resto, penserà Rula.

Ho un vestito da indossare, per questa sera. L'ho messo in una busta di plastica. Non è un granché, non è nuovo. Ma a me piace. Il verde acqua, risalta i miei occhi. Non ha scollature, se non una, piccola, sulla schiena. Non ha spacchi vertiginosi, non sarei io. Ai piedi avrò dei semplici sandali neri, con poco tacco. Non voglio dare spettacolo. Meno mi guardano, meglio è.

La mia amica ha risposto, alla fine. Non vuole più vedermi. Non le piaccio, il mio carattere la irrita. Provo rabbia, ed è bello sentire qualcosa, dopo tutto questo tempo. Sì, anche se è qualcosa di negativo. Le ho risposto con poche parole, fredde e taglienti. Non cambierò per lei, né per nessun altro. Se mi volesse davvero bene, mi accetterebbe per quel che sono. Se non lo fa, allora peggio per lei. Tutti siamo utili, ma nessuno è davvero indispensabile.

Indosso il cappotto, una macchina mi aspetta giù. Afferro la busta col vestito, il mio zainetto nero, di finta pelle, con dentro ciò che può servirmi. Inforco gli occhiali da sole e scendo.

Non voglio pensare a Fabrizio. Mento a me stessa, quando mi dico che spero di non incontrarlo. Mi appiccico un finto sorriso sulle labbra e salgo sulla macchina della Rai.

Svuoto la mente, incasso la testa nelle spalle e mi copro il viso con la sciarpa, quando scendo. 

Non voglio essere notata, voglio essere silenziosa come un proiettile, invisibile come un fantasma.

Rula è introvabile, forse nemmeno è arrivata.

Entro in camerino. Chiudo a chiave e mi spoglio. Di solito rifuggo gli specchi come la peste, ma lì c'è una specchiera enorme. Dovrei essere cieca, per non vedermi.

Rivedere quei segni, è sempre doloroso. Non li sopporto, sono la prova della mia debolezza. Ne ho anche sulla schiena, e li copro con del fondotinta. Non si vedono più, ma è solo una mera illusione. Io so di averli, sono incisi sul mio fragile corpo, come lettere scarlatte, che urlano a gran voce la mia stupidità.

Esco sul piccolo balcone, stretta nel mio vestito vecchio e un po' démodé, con questo sicuramente in pochi mi guarderanno. 

Guardo giù, ma solo per poco, perché non amo farlo. Non che soffra di vertigini, ma le altezze mi mettono ansia, non mi piacciono. Fumo una sigaretta e ci ripenso. Tutto mi torna in mente. Tremo, mi scuoto. Sto piangendo. Sono debole.

Bussano al camerino. Spengo la sigaretta ormai consumata e vado ad aprire. E' Rula. Mi abbraccia, a lei lo permetto. E' una donna, come me, non costituisce minaccia. Mi fa i complimenti per il vestito. Sorrido e annuisco, non le credo fino in fondo, ma è piacevole essere apprezzati. Se ne va, ha fretta, era passata solo per un saluto. Altri sorrisi, i miei sempre così forzati, finti.

Stella cadente (Conclusa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora