"E continuano le manifestazioni da ormai diverse ore contro la riforma del parlamento. A centinaia sono accorsi nelle piazze e davanti la sede del governo per far sentire la propria voce. Ma ora passiamo allo sport..."
La TV si spegne davanti al volto stanco dalle notizie dell'uomo di ventotto anni.
"Quante cazzate", commenta smuovendosi dal divano per andare a mangiare qualcosa.
Spostandosi dal piccolo salotto all'altrettanto piccola cucina apre alcuni sportelli prendendo un paio di scatolette, delle vettovaglie e un'anonima bottiglia di plastica piena di chissà quale bevanda priva di zuccheri. Osservando per bene le specifiche nutrizionali espresse nelle etichette, l'uomo consulta una tabella attaccata al portello del frigo. Si allunga quindi tavolo quadrato poggiando ciò che tiene in mano per poi rigirarsi verso il frigo e recuperare dei latticini e qualche salume, gettando sempre un occhio alla tabella e alle etichette legate ai prodotti precedentemente scritte. Sedendosi comincia a mangiare cercando di schiarire la mente dai pensieri rimbombanti e mai dissipati che lo tormentano. Che siano sciocchezze o gravi problemi c'è sempre qualcosa che tormenta la mente, essa non può concepire il niente, l'assenza di pensieri.
Ma un rumore sordo, come il tonfo di uno dei bidoni che tiene sul retro, lo interrompe e lo mette in allerta. Scatta in piedi e a rapidi passi giunge al salotto, afferra la mazza da baseball che tiene poggiata su un ripiano vicino la televisione e si avvia guardingo verso la porta che dà sul malconcio cortile della piccola abitazione. E con entrambi gli occhi fissi sulle finestre cerca un qualsiasi movimento all'esterno. Fuori è buio, il crepuscolo è passato da qualche minuto e la luce si è rapidamente ritirata e solo un vicino lampione a gas riesce a non far cadere nel buio della mezzaluna il cortile.
Poi qualcosa si muove, la ode. Una stridula voce, molto acuta, che cerca di soffocare il dolore di una ferita.
"Stavolta ti becco ladro di merda", pensa, quasi parlando, il ragazzo mentre stringe forte il legno in mano. Con decisione apre la porta e si scaraventa all'esterno brandendo la mazza e subendo l'attacco acustico delle stridule grida della bambina accasciata a terra spaventata e piagnucolante che si ritrova davanti.
Un paio di secondi per metabolizzare e poi abbassa la mazza.
La bambina, dai capelli neri e lisci e candida in volto, è scoppiata in lacrime alla comparsa della spaventosa figura. Il ragazzo abbassa la mazza e la sua espressione tenta di divenire cordiale e rassicurante.
"Ciao, non aver paura, non ti faccio male. Chi sei?"
Ma la bambina è troppo spaventata per rispondere e continua a piangere anche se in maniera più silenziosa. Ora il suo è diventato un incontrollabile singhiozzo.
"Non aver paura. Non ti faccio niente. Mi capisci? Conosci la mia lingua?"
La bambina fa un timido ed impaurito cenno con la testa come per annuire.
"Bene, io mi chiamo Mariner. Qual è il tuo nome?"
"Na..."
"Na...?"
"... Nagrida."
"Nagrida. Bene, Nagrida. Sai dirmi dov'è la tua mamma?"
"Non lo so."
"E dov'è la tua casa? Così ti riporto da tua mamma, ti starà aspettando."
Ma Mariner nota che Nagrida tocca compulsivamente la gamba destra come per proteggerla. Poi nota il sangue colare dalla ferita e le mani sporche che stringono intorno.
"Ti fa male la gamba, vero? Allora noi faremo passare il dolore, ok?"
Nagrida osserva Mariner senza fare un cenno, poi si lascia portare dentro casa.