Il fumo denso, creato dalle armi sferiche di Famira, si dirada dopo che Nagrida ha finito di far pulsare il cuore di Stein schiacciandolo.
Camara la osserva dall'alto di un tetto di un furgone delle guardie con le porte spalancate. Sono pochi i metri che la separano dalla ragazza appena salvata, eppure sono molti i decenni che le dividono. Camara scende con un salto, terminando sulla strada innevata con una leggera flessione delle ginocchia, ferma sulle forti gambe. Dirigendosi verso Nagrida, non viene udita da quest'ultima fino a quando non le è alle spalle. La ragazza dai capelli neri respira affannata stringendo fra i denti la chiave con cui è riuscita ad evadere, mentre tiene ancora gli occhi fissi sul corpo di Stein, ripensando al proprio passato, poi si volta sentendo la donna chiamarla per nome.
"Nagrida. Dico bene?"
Nagrida non risponde alla domanda della donna che mai aveva visto prima d'ora, non conosce i motivi del suo gesto, è davvero un amica? Decide comunque di ascoltarla. Camara sia avvicina di un passo.
"Ti prego di seguirmi, dobbiamo parlare."
Nagrida si fida della sua salvatrice e, gettando un ultimo sguardo emozionato verso il corpo di Mariner, comincia a seguire Camara con circospezione, sicura di sé grazie alla chiave.
Intanto altre guardie cominciano a circolare per la città, cominciando una lotta che fra un giorno e mezzo terminerà nella caduta del governo.
Dopo una veloce marcia verso una zona decadente della città, Camara si fa seguire in un vecchio complesso metropolitano, dismesso molti anni prima, in cui lei, assieme ad altri suoi collaboratori, ha costruito diverse basi sparse per il sottosuolo della città.
Dopo un'intricata e stretta via fatta di cunicoli e stradine utilizzate un tempo dai manutentori delle ferrovie, le due donne giungono finalmente in una delle basi.
"Qui siamo al sicuro."
Nagrida osserva a bocca chiusa la buia stanza, illuminata da una piccola lanterna ad olio, poi osserva Camara.
"Adesso puoi sputarla."
Nagrida non si sorprende più di tanto. Aveva immaginato che qualcosa di profondo e consapevole era nascosto in quella donna.
"Mi chiamo Camara. Ora ti prendo dei vestiti puliti e comincio a spiegarti cos'è successo, se vuoi starmi a sentire."
Nagrida annuisce avvicinando la mano alla bocca e afferrando fra le dita la piccola chiave che comincia a tenere stretta nel palmo.
"Grazie per avermi liberata."
"Ti sei liberata da sola in realtà."
"Allora grazie per avermi permesso di liberarmi."
"Non c'è di che."
"A questo punto ti chiederei il nome, ma me lo hai appena detto."
"Ed io invece lo so già. Nagrida, è proprio un bel nome."
"Grazie."
"Basta ringraziare", dice ridendo Camara. "Ecco, questi dovrebbero andare bene." Camara le porge dei pantaloni scuri ed una felpa grigia un po' larga. Nagrida si spoglia senza timore ed indossa le vesti, felice di liberarsi dei vestiti da prigioniera.
"Tu non indossi mai una maglietta?", chiede Nagrida.
"No, le fasce mi coprono il seno quanto basta per non farmi congelare i capezzoli, il che mi è sufficente. E poi mi fanno sentire più libera. Allora com'è?"
"Notevole, davvero. Complimenti, sei davvero sexy."
"Intendevo la felpa. Sei comoda?"
"Certo, assolutamente, è bellissima anche questa."