L'evasione

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10. L'evasione

Fremente, indecisa, Véronique rimase in ascolto finché non risuonò l'ultimo passo. Che fare? L'assassinio di Stéphane l'aveva per un attimo distolta dal pensiero di François ed ecco che era assalita di nuovo dall'angoscia. Che ne era stato di suo figlio? Doveva raggiungerlo al Priorato e difenderlo contro i pericoli che lo minacciavano?

«Suvvia, suvvia», disse, «sto perdendo la testa... Come!... Riflettiamo... poche ore fa François mi parlava attraverso i muri della sua prigione... perché era proprio lui... era proprio François che, ieri, afferrava la mia mano e la sfiorava di baci... Una madre non si sbaglia e io tremavo di tenerezza e amore... Ma poi... poi stamane, non ha lasciato la sua prigione?».

Rimase pensosa e in seguito pronunciò lentamente:

«È così... ecco cosa è successo... Giù, al piano inferiore, Stéphane e io siamo stati sorpresi. Subito, allarme, il mostro, il figlio di Vorski è salito apposta per sorvegliare François. Ha trovato la cella vuota e, scorgendo l'apertura praticata, si è arrampicato fin qui. Sì, è così... Altrimenti da quale strada sarebbe venuto?... Arrivato qui, ha avuto l'idea di correre alla finestra, pensando bene che dava sul mare ed era stata scelta per l'evasione di François... Ha subito visto i ganci della scala. Poi, sporgendosi, mi ha vista, mi ha riconosciuta e mi ha chiamato... E ora... ora si dirige verso il Priorato dove, inevitabilmente, incontrerà François...».

Eppure, Véronique non si muoveva. Intuiva che il pericolo non fosse dalla parte del Priorato, ma proprio lì, dalla parte delle celle. Si chiedeva se davvero François fosse riuscito a fuggire e se, prima che il suo lavoro fosse terminato, non fosse stato sorpreso dall'altro e colpito da lui.

Dubbio tremendo! Si abbassò rapidamente e, verificando che l'apertura era stata allargata, cercò di passare a sua volta. Ma l'uscita, appena sufficiente per un bambino, era troppo stretta per lei e le sue spalle furono bloccate. Si ostinò, tuttavia, strappò la camicetta, si straziò la carne contro gli spuntoni della roccia e, alla fine, a forza di pazienza e tentennamenti, riuscì a introdursi.

La cella era vuota. La porta era aperta sui corridoi opposti e Véronique ebbe l'impressione – l'impressione soltanto, perché dalla finestra proveniva solo una debole luce – che qualcuno uscisse dalla cella da quella porta aperta. E di quella visione così confusa di una figura che non aveva per così dire visto, serbava la certezza che si trattasse di una donna che si nascondeva là, nel corridoio, una donna sorpresa dalla sua irruzione imprevista.

"È la loro complice", pensò. "È salita con il ragazzo che ha ucciso Stéphane e, probabilmente, si è portata dietro François... Anzi, forse François è ancora qua, vicino a me, mentre lei mi sorveglia...".

Comunque, gli occhi di Véronique si abituavano alla semioscurità e lei vide nettamente che sul battente della porta, che si apriva all'interno, c'era una mano di donna, che tirava lentamente.

"Perché non chiude di colpo?", si chiese. "Perché, visto che vuole evidentemente mettere questa barriera tra noi?".

La risposta, Véronique la conobbe sentendo, sotto il battente, lo stridio di un sasso che faceva ostacolo. Eliminato l'ostacolo, la porta si sarebbe chiusa. Senza esitare, Véronique avanzò, afferrò un'enorme maniglia di ferro e tirò verso di lei. La mano scomparve, ma lo sforzo contrario continuò. Ci doveva essere una maniglia anche dall'altra parte.

All'improvviso risuonò un fischio. La donna chiedeva aiuto. E, quasi nello stesso tempo, in corridoio, a poca distanza dalla donna, un grido:

«Mamma! Mamma!».

Ah! Quel grido, con che emozione profonda Véronique lo udì! Suo figlio, il suo vero figlio la chiamava, suo figlio ancora prigioniero, ma vivo! Che gioia sovrumana!

L'isola delle trenta bare  (COMPLETA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora