"Fortino" (ottava parte)

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20 ottobre 2020, ore 01:00.

Domani Nic dovrà tornare a Bologna, così, invece di trascorrere la notte nel comodo letto fornito da l'hotel, abbiamo creato un fortino sulla terrazza.
Potrebbe sembrare una tipica scena da film romantico, in realtà è come tornare indietro nel tempo: io e Greta che trasformiamo le nostre lenzuola e le scope di mia madre per creare dei rifugi in cui giocare.
Abbiamo due Ichnusa aperte, con dei popcorn accanto, nonché il restante di quel che avevo portato ieri sera. Ho creato un gioco di domande per tenerci svegli: una scatolina trovata in stanza in cui, a turno, peschiamo un biglietto con una parola o domanda alla quale dobbiamo rispondere vicendevolmente, ovviamente scritte da noi.
- Inizio io! - annuncio appena ci accomodiamo. Nic è comodamente seduto dal lato opposto, io tiro fuori il primo biglietto dalla scatola che ci separa.
- Cosa desideravi fare da bambino? - leggo ad alta voce, anche se c'è scritto "bambina".
- Cavolo era la domanda che volevo porti. Credevo di estrarla io. - si lamenta. Io alzo le braccia in segno di difesa. - Allora...da piccolo dicevo di voler fare mille cose diverse, come credo tutti i bambini. Però più di tutto dicevo di voler essere uno scalatore di montagne. - risponde per poi mettersi a ridere, in effetti è un po' buffo da immaginare. - Sarebbe stato figo però! - aggiungo io.
- Beh dato che volevi pormi la domanda per primo, faccio un'eccezione, ma solo per questa volta. - dico con carenza ironica.
- Che onore, dai dimmi. - risponde.
- Da piccola volevo diventare una ballerina, poi una giornalista o un'esploratrice. - dico cercando di rimanere seria, ma in realtà non mi riesce per i ricordi che mi suscita questa domanda.
- Tutte cose diverse, guardavi troppi cartoni animati, ammettilo! - mi accusa Nic.
- Forse Dora mi ha influenzata un pochino; che poi volevo diventare anche come il detective Conan! - aggiungo ridendo.
- Poi come mai hai scelto un'altra strada? - mi chiede. Se ci penso, è una domanda che dovremmo porci in tanti.
- Ero molto timida, quindi la mia carriera mancata da ballerina non è andata avanti; per il resto ho capito che più di tutto mi piace la narrazione, scrivere, creare dal nulla qualcosa di fantastico o cose basate sulla realtà. Penso alle case editrici, alle sceneggiature dei film, ci potrei morire in questi ambiti. - rispondo sinceramente. - Tu, invece? - gli chiedo mentre bevo un sorso dalla mia bottiglia.
- Studio informatica, ma voglio proiettarmi sulla fotografia, ma anch'io impazzisco per la cinematografia, e per gli orologi. - ammette quest'ultima con un tono di imbarazzo. - Vorrei diventare piccolo piccolo, come un granello di sabbia, per entrare in un orologio ed osservare i meccanismi che lo compongono. - risponde con dolcezza.
- È affascinante! - esclamo alzando la bottiglia dalla mia mano destra, per dar via ad un piccolo brindisi per entrambi.
- Vai, tocca a te. - Nicolas pesca un biglietto e sorride.
- Dimmi quello che vuoi sulla tua famiglia. - legge - Sono tutti scritti da me questi. - aggiunge.
Io ci penso per qualche secondo, la mia famiglia è un casino.
- Non c'è molto da dire a parte che è incasinata: mia madre e mio padre si sono conosciuti al liceo, ma al quinto anno hanno avuto la brillante idea di andare a letto senza usare una protezione, cosa che ha portato me al mondo. Entrambi ambiziosi e leggermente snob, non volevano lavorare senza concludere prima gli studi, così mia madre studiava mentre mio padre frequentava l'università e lavorava al tempo stesso. Io sono stata con i miei nonni fin da piccola, mi portavano nella loro libreria o a casa finché i miei non hanno concluso gli studi e trovato un lavoro stabile; entrambi furono assunti in altre parti d'Italia, praticamente l'ideale per i loro progetti. Tutt'ora mio padre è il preside di una scuola nelle Marche, mia madre dirige uno studio legale nei pressi di Roma. Li vediamo nel fine settimana se tutto fila liscio, io comunque sono sempre rimasta con i genitori di papà, finché mia nonna non è venuta a mancare quando ero al liceo. Invece Greta stava sempre con i genitori di mamma, che in realtà vedo poco. - tiro fuori un riassunto di questi anni. - Però devo dirti una cosa che sto progettando da un po': ho trovato casa, non voglio più vivere con post-It incollati al frigo. - aggiungo.
Nicolas è rimasto ad ascoltare tutto il tempo senza proferire parole.
- Wow, è sul serio un casino. - ci avvolge qualche secondo di silenzio, forse non sa cosa dire, anche se non c'è bisogno di parole adatte. - Dove andrai allora? - mi domanda.
- In un appartamento non lontano da qua, lungo la strada che porta nella piazza dove ci siamo messi a ballare questa mattina. - rispondo.
- Sono contento per te, ma anche grato di averti conosciuta. - esclama improvvisamente.
- A cosa devo questa affermazione? - chiedo curiosa.
- A questa determinazione che metti nel rialzarti dalle situazioni che possono affliggere. Hai coraggio, perché anche se io non ho vissuto le tue stesse cose, non so se avrei affrontato queste situazioni nel modo in cui tu lo fai. - mi dice con calma, come se non importasse più nulla, come fossimo gli unici abitanti sulla terra.
Io lo guardo in silenzio, perché potrò essere la persona più logorroica al mondo, ma quando ti rendi conto di osservare qualcosa di bello, ma bello davvero, hai le emozioni che prendono il sopravvento.
Mi spingo in avanti fino a far toccare le nostre labbra, facendo cadere la scatolina con i biglietti.
Siamo in alto, pochi sono i palazzi che raggiungono l'altezza di questo piano. Chiudiamo il fortino con il lenzuolo e ci perdiamo, per la seconda volta, uno nel corpo dell'altro. Le luci sono poche, ma i nostri sensi sono tutti accesi, ci guidano in movimenti passionali ma dolci, a tratti in fiamme, ad altri vogliamo solo sentire noi stessi a contatto, ecco perché le nostre mani si stringono e si toccano ovunque.
Finiamo col guardare i fasci luminosi sopra di noi, con le mani che accarezzano ancora la pelle morbida.
- Marta.. - mi chiama, ma rispondo con un verso.
- Quando lo hai fatto per la prima volta? - mi domanda. Mi coglie di sorpresa, non abbiamo mai parlato di questo.
- Avevo diciott'anni. - rispondo voltandomi verso di lui.
- Ma eri con il tuo ex? - mi chiede di nuovo.
- Sì, ma non mi è successo tante volte. - rispondo. Nic assume un'espressione perplessa.
- In che senso?
Non ho disagio nel parlarne, ma non è un argomento che mi fa impazzire in rapporto ad una persona con la quale oggi non ho più buoni rapporti.
- Nel senso che non mi sentivo molto a mio agio, quindi non acconsentivo molto al rapporto. - rispondo.
- Aspetta ma se a te non va, dimmelo. Non ti ho costretta a fare nulla e non voglio, ovviamente. - dice, na leggo nei suoi occhi un briciolo di panico. Rido alla sua reazione, ma lui sembra non capire.
- Nic se non avessi voluto, non lo avrei fatto. - rispondo sorridendo - con te è diverso, anche se siamo agli inizi. Forse sta proprio qui il punto, non ci conosciamo da tanto, ma mi sento legata a te come non mi capita quasi con nessuno: tra me e te è sempre tutto così naturale, non ci sono artifizi, c'è spontaneità. La differenza è tanta, ecco perché fare l'amore con te non è solo un atto fisico. - gli spiego. - Io invece non so nulla sul tuo passato sentimentale. - faccio notare.
Nic ride leggermente imbarazzato.
- Non ho avuto una storia lunga come l'hai vissuta tu, ma anche a me è successo poche volte di darmi fisicamente a qualcuno; quasi nulla di importante, ma avevo più o meno diciassette anni. - risponde.
Resta a fissarmi per dei secondi infiniti, prima di addormentarci avvolti nei piumoni sotto il cielo luminoso.

ore 11:30.

- Hai dimenticato il maglione verde scuro. - gli dico recuperando anche le mie cose dalla stanza, a breve dobbiamo liberarla.
- Non te l'ho fatto indossare per riprendermelo! - risponde dall'altra stanza.
- Mi piace il profumo che emana. - gli dico appoggiandomi alla porta per guardarlo sistemare, ma lui si ferma per avvicinarsi e prendere il mio viso tra le sue mani.
- Anche il tuo è buono. - mi bacia. - Ma ora sbrighiamoci, il treno parte alle 13. - aggiunge correndo ancora da una parte all'altra per rimettere le cose a posto.
Dopo una buona mezz'ora siamo fermi in un bar per prendere il caffè, cosa che fa andare Nicolas in brodo di giuggiole.

ore 12:45, stazione di piazza Garibaldi.

- Bene, a quanto pare è questo. - dice non appena giungiamo al binario giusto.
- Fatti sentire durante il viaggio e quando arrivi a casa. Salutami tutta la tua combriccola di psicopatici e non vedo l'ora già di rivederti anche se non sappiamo quando e.. - frena il mio sfogo abbracciandomi, così riempio il più possibile i miei polmoni col suo profumo.
- Stai tranquilla, andrà tutto per il verso giusto. In poco tempo avrai da sopportare ancora questo ragazzotto buffo. - mi sussurra, io sorrido alle sue parole.
- Ragazzotto buffo più la regina delle maldestre, che coppia! - rispondo dandogli un colpetto sulla nuca.
- Ora però devo salire - dice, ci sleghiamo.
- Ci vediamo presto. - aggiungo, dandogli un bacio che non vorrei far finire.
- A presto. - dice lui, allontanandosi.

Consumo il pranzo in centro, per poi andare in biblioteca a stampare i programmi della sessione invernale.
Alle cinque del pomeriggio torno a casa per sistemare le cose che ho tenuto con me durante questi due giorni.
Apro la porta di casa, accendo le luci in soggiorno e poso tutto in camera prima di andare in cucina per bere un bicchiere di succo alla pera.
Metto piede in sala da pranzo e inaspettatamente c'è qualcuno che non vedo da giorni: mio padre e mia madre, seri, fin troppo e apparentemente non felicissimi di vedermi.

Fil Rouge | Space Valley - Nic.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora