1. Villa Lazzaretti

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 La grande e sontuosa villa Lazzaretti, con le sue pareti bianche e la terrazza lussuosa e lussureggiante di sedani in vaso, si stagliava contro uno sfondo di palme che pareva accuratamente composto e disegnato da un artista fissato con i tropici

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La grande e sontuosa villa Lazzaretti, con le sue pareti bianche e la terrazza lussuosa e lussureggiante di sedani in vaso, si stagliava contro uno sfondo di palme che pareva accuratamente composto e disegnato da un artista fissato con i tropici.

Tre macchine percorsero il viale e attraversarono il grande cancello, poi si fermarono vicine ad una panchina, in un grande spazio ricoperto di ghiaia candida. Una delle tre auto era la Smart arancione degli Appestati, un'altra era il Chevy americano rosso che apparteneva a Belarda Cigna, la terza era una Panda vecchio tipo, polverosa e di colore indefinibile.

«Siamo arrivati!» Gridò Emilia Appestati, sporgendo un po' la testa dal finestrino abbassato

«Secondo me lo hanno capito» disse suo fratello Pampineo «Perché si sono fermati»

«La signora Gomblotti ha ancora il motore acceso, però»

«Una volta ho sentito il suo motore acceso a mezzanotte, e la macchina era parcheggiata. Non c'era nessuno dentro».

Emilia Appestati rabbrividì, pensando che c'erano solo due possibilità: o la macchina della signora Rosetta Gomblotti era posseduta dai fantasmi, oppure la signora scaricava batterie a raffica tenendola sempre accesa. Per qualche motivo, entrambe le possibilità la inquietavano profondamente.

La portiera destra della Panda si aprì e lasciò uscire i due Gomblotti, nonna e nipote. Il nipote, Giangiorgio Gomblotti, sembrava abbagliato dalla luce e teneva gli occhi stretti, la testa bassa e una mano a mensoletta per proteggersi, strascicava i piedi e con l'altra mano si artigliava la maglietta (che recitava "gli alieni ci rubano il lavoro" in caratteri cubitali gialli) proprio sopra il cuore. La nonna, Rosetta Gomblotti, vestiva invece una specie di cappotto lungo di colore indefinibile, tutto sgualcito, con sopra uno scialle di colore indefinibile, tutto sgualcito, e da questa specie di cappa di indefinibilità spuntavano solo le mani, la testa e le scarpe di colore appena definibile (marroncino) e tutte sgualcite. Le mani rugose, callose e macchiate della signora Rosetta stringevano due enormi valigie, la sua e quella del nipote, esattamente identiche: marroni, vecchie, economiche e brutte.

«Nonna» Disse Giangiorgio «Che razza di posto è questo?»

«Una casa orrenda» rispose la vecchia, in tono sprezzante

«Vogliono rapirci, secondo te?»

«Ah, se ci rapiscono è buono» non potendo muovere le mani, occupate dalle maniglie delle valigie, la signora Rosetta gesticolava con la testa, in strane combinazioni che solo suo nipote poteva comprendere.

Dal Chevy rosso scesero invece tre persone. La prima persona era Belarda Cigna, che reggeva uno zaino e un gatto. La seconda persona era una giovane donna dall'aria un po' timida, con i capelli lunghi e castani e una camicia a fiori, Piera Elodea della Francesca, che indossava un grosso zaino scolastico decorato con margheritine disegnate a pennarello argentato. La terza persona era un ragazzo dai folti capelli castani pettinati all'indietro, abbronzato, con una camicia aperta sul petto, crocefissino al collo che pendeva fra i (pochi) peli, jeans terribilmente aderenti, bagaglio a mano della Playboy, scarpe nere lustre che si sporcarono immediatamente appena toccarono la ghiaia polverosa e lo sguardo fisso sul fondoschiena di Piera che era proprio davanti a lui: era Eros Giannetta, un nome e una garanzia, conosciuto fin da bambino per essere un inguaribile corteggiatore di ogni umano di sesso femminile che sciaguratamente fosse entrato nel suo campo visivo, comprese le donne sposate, le vecchie e i fenomeni da baraccone. Sfortunatamente, né Belarda né Piera sapevano di questa sua particolarità, così lo avevano raccattato lo stesso per portarlo a villa Lazzaretti... così, perché sembrava simpatico.

Un boccaccio di AmuchinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora