Arrivai davanti alla sua porta e fu lì che il coraggio mi abbandonò totalmente.
Quale sarebbe stata la sua reazione? Avrebbe gioito? Mi avrebbe chiuso la porta in faccia? L'ansia, che solitamente gestivo egregiamente, in questa occasione mi uccideva.
Con la mano tremante suonai al campanello.
Nessuna risposta.
Bussai.
Nessuna risposta. Che lei non ci fosse?
"Amaya sono io, ti prego se ci sei apri" urlai.
Un urlo quasi disperato, basato sul profondo desiderio di saperla al salvo.
Passi.
Un sospiro.
La porta che si apre.
"Sir, hai bisogno di qualcosa?Non sono dell'umore" disse con voce flebile.
"Ma si può sapere cosa ti prende? Dici a me di non sparire cazzo e tu fai la stessa dannatissima cosa! Mi vuoi far uscire scemo per caso? Non sapevo come trovarti cristo e tu mi chiedi se ho bisogno di qualcosa come se niente fosse?" La mia mano poggiata sullo stipite, un piede che bloccava la porta, spalle in avanti e mani che vaneggiavano. Da fuori sicuramente sarei sembrato un pazzo. Eppure Spettatore, dopo averla vista, dopo aver capito che era viva,a casa,tranquilla, tutta la mia ansia si era trasformata in altro.
La sentivo montare dentro, l'ira; quella che ti sale quando c'è un emergenza, quella che trasforma la paura in rabbia cieca. Come poteva farmi questo? Come poteva sparire così?
Ed è questo il problema della rabbia: fa incentrare tutto su di te, anche quando tu non sei il centro. Senti questo fuoco dentro che sale, le mani tremano, la voce si alza e l'unica cosa che vorresti fare è distruggere tutto, perchè come osa una persona farti stare così male? Questo ti chiedi; non ti preoccupi del perchè e le eventuali spiegazioni arrivano sempre dopo, insieme alla calma. Ma in quel preciso istante la rabbia ti acceca e vedi tutto nero.
Mi vergogno, eppure urlai. Urlai il dolore, la paura, la mancanza, tutto. Esattamente come fece lei.
Poi respirai, un respiro, due respiri e la osservai.
Aveva uno chinogn arruffato, occhi stanchi, un colorito pallido che lasciava vedere le profonde occhiaie che le segnavano il viso.
La felpa larga la circondava regalandole quasi un aspetto spettrale, le maniche avevano segni neri, probabilmente traccie di mascara o eyeliner dei giorni scorsi. Gambe nude, scalza.
Le tapparelle abbassate, il divano in disordine, coperte ovunque.
Ora i suoi occhi erano lucidi, ed io, idiota , ero lì davanti a lei immobile.
Dopo tutta la fatica fatta,l'unica cosa che ero riuscito a fare era peggiorare la situazione. Tipico mio insomma.
"Entra" mi disse, senza guardarmi negli occhi.
Esattamente com'era arrivata la mia rabbia sparì, come le onde del mare,magicamente era stata risucchiata indietro,lasciando spazio a un nuovo sentimento: il senso di protezione.
La abbracciai, lì vicino alla porta appena chiusa, e quando capì che mi stava abbracciando debolmente come se la sua linfa vitale l'avesse abbandonata, la presi, come si prende una principessa o una sposa,l'adagiai sopra di me sul divano e restammo così per una decina di minuti buoni.
"Questa ragazza non la capirò mai" pensai.
Restai lì ad accarezzarle i capelli, a dirle che andava tutto bene, che c'ero e che sarei rimasto.
Passammo ore così.Ormai era sera, le parlai di tutto,del mio lavoro,di Vienna,delle cose che avevo visto,che avevo vissuto,di qualsiasi cosa mi venisse in mente, speravo solo che questo mio cercare di distrarla, potesse aiutarla.Speravo di rimuovere un po' di dolore sul quel viso così delicato.
"Sto male" disse
"Me ne sono accorto cara" dissi io sorridendo
"Non voglio essere un peso,puoi andare se vuoi" disse, eppure lo vidi il terrrore nel suo sguardo.
"Non ho niente da fare,se non ti disturbo,io resto" e la guardai dritto negli occhi per cercare di farle capire la purezza delle mie intenzioni
"Mi capita sai?"
"Spesso?"Domandai
"No,o meglio, sì ma mai così lungo, così,non capitava da un po'"
"Capisco"
"Non ti spaventa?"
"Cosa mi dovrebbe spaventare esattamente?"
"Non so,questo mio stato,questa mia tristezza..." disse lasciando la frase sospesa
"L'unica cosa che mi ha spaventato sinceramente è stato non sapere dove fossi,non sapere cosa fosse successo" dissi sincero e continuai "Ora che sono qui,che tu sei qui, che so che stai bene, sono tranquillo"
"Ma io non sto bene"
"Ma lo sarai" risposi io
"Come fai a dirlo?"
"Perché io sono qui,per te,per farti stare meglio e non ho intenzione di andarmene finché non capirò cosa ti succede e cosa posso fare per te"
"Perchè?Perchè fai questo? Perchè ti importa?"
"Non lo so Amaya,non lo so, non so quando sia cominciata, non so cosa sia,ma non posso stare tranquillo se non so che tu stai bene, non posso fare finta di niente e non chiedermi perchè,perchè non ho nessuna risposta da darti, non so cosa tu mi abbia fatto, ma il mio posto è questo,accanto a te,questo sento e forse lo è sempre stato" dissi
"Va bene,allora resta qui".
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Nel segno del capricorno
General FictionDicono che la vita non ti dia nulla che tu non sappia sopportare. Amaya sapeva che questo, però, non era vero; alcune volte alle persone viene dato un peso troppo grande. Amaya sapeva che i detti servono solo per le persone deboli,coloro i quali si...