Gelido calore

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Lì, sul ciglio della strada, giaceva un ragazzo in un caldo silenzio; una leggera brezza muoveva il tanfo che aleggiava nell'aria da pochi minuti.
La pelle olivastra andava via via assumendo nuove sfumature.
Le iridi, un tempo radiose e di un verde pallido, stavano subendo una metamorfosi verso il tipico status del livor mortis. Gli occhi sbarrati riecheggiavano l'espressione dello spavento, misto a stupore.
I capelli annodati, secchi e privi di ogni traccia di lucentezza ricadevano sconnessamente, solleticandogli la mascella.
Ormai non aveva più quel cipiglio tra le sopracciglia nere e folte. Le lunghe ciglia si incurvavano, sfiorando le palpebre, come onde che si infrangono contro lo scafo delle navi.
La giacca di velluto era aperta, scoprendo così un maglione a collo alto bruno, di lana, scucito in vari punti.
I pantaloni logori contrastavano con le scarpe: lustrate e lucide, anche se un attento osservatore avrebbe notato le suole consunte.
Alcune foglie di stavano tingendo di un rosso carminio, ed erano sottostanti il ragazzo, le cui labbra avevano raggiunto una tonalità purpurea.
Alcuni necrofagi stavano già puntando la loro preda.
Un forte stridore si faceva strada tra i cumuli di foglie, un paio di passi sguazzanti nel naviglio e lo scricchiolio prodotto dalla pressione dei piedi sui rametti secchi, gracili e spezzati.
L'oggetto trainato calò sul viso del ragazzo.
Si udì appena il fruscio del cadavere trascinato verso un'ignota destinazione.
Però era questo l'importante.

Gli occhi e il viso della vittima sono il punto debole del carnefice. E ogni punto debole è un punto di forza.

Era ancora l'alba del 17 Ottobre ed erano passati solo due giorni dall'aggressione selvaggia appena denunciata in quartiere. L'oppressore era un individuo di circa un metro e ottanta, con delle comuni scarpe da tennis bianche.

I Colori della MorteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora