False Ambizioni

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Sono strana. Rovino sempre tutto. Non riesco ad essere costante in qualsiasi cosa io faccia.

Ventitré anni e viveva ancora con i suoi genitori.
E menomale che "ti faremo studiare all'estero"  era una promessa sincera.
Non aveva nemmeno finito le superiori.
Temeva di non poter superare la maturità e si era chiesta se avesse dovuto lasciare la scuola a sedici anni per lavorare.
Il sogno di diventare medico legale non era altro che una stupida infatuazione.
Come aveva potuto una realista come lei sperare di essere qualcuno?

A che serve essere così acculturata se poi non riesci a sentirti come una persona realizzata?
Perché si stava facendo questi dilemmi?

Sì grattò il cuoio capelluto ritrovandosi alcune tracce di forfora sotto le unghie; le raschiò via, e persistette nello sgraffignare  finché non vide la forfora diventare rosea, intrisa di sangue.
Altro che mordersi le labbra fino a farle sanguinare; questo era meglio e meno cliché.
Si distese sul divano impolverato, e con i cuscinetti sparsi sul pavimento.
Ah, il tempo in cui leggeva ancora su wattpad e scriveva poesie.
Le medie...che periodo di merda.

"Non fui mai quella perfetta,
Non fui mai quella adorata
agli occhi loro

Non sono mai stata quella che ero
Quella che rideva fuori
Mentre il cor suo
lacerava dentro

Per voi cambiai il mio aspetto
per non udir altro dispetto
Per non sentir strappar dal petto
il cor mio speranzoso
ansioso
di sapere
Se ora vi posso piacere"

Già, ero così stupida.

Almeno provava ancora qualcosa, in quegli anni.
Ora doveva soltanto conviverci; l'aveva imparato a proprie spese: in nove anni non era mai riuscita a colmarlo.
Non è mai stata paziente.

Aveva visto Enea per l'ultima volta, impiccato.
Ed era scappata via.
Non credeva facesse così impressione dal vivo. Ma lei lo sa che non si trattava di questo... Lui era riuscito a riempire i suoi silenzi, a colorare il suo vuoto.
E si sentiva in colpa a credere che la sua morte fosse stata la cosa più eccitante della sua vita, la cosa che ha rotto il suo equilibrio, la sua monotonia.

Era solita seguire dirette di interventi chirurgici e autopsie su siti stranieri.
Era stata un'ingenua a credere che le cose sarebbero cambiate.
Più volte aveva pensato al suicidio, ma non ci vedeva nessuna soluzione.
Il problema era la sua determinazione e la sua curiosità.
Voleva sapere cosa si provava a morire e allo stesso tempo rimanere in contatto con la vita.
Non riusciva a sentirsi come le altre persone.
Trovare l'amore, avere una famiglia e un buon lavoro... È davvero questo che definisce la felicità?

Non poteva nemmeno affermare di essere triste.
Una pennellata di malinconia sporcava la tela della sua vita.
Perché non poteva essere normale?
Uscì di casa e corse lungo il naviglio.
La nebbia avvolgeva i gracili rami degli alberi.
Mantenne lo stesso ritmo per due chilometri.
Arrivata al ponte arrugginito, sì guardò attorno e si sedette sull'erba incolta, contemplando quell'acqua torbidamente limpida, come lei.
Riprese a correre più lentamente e, svoltando a sinistra, scorse un castoro morto.
Chissà se anche gli animali hanno riti di sepoltura.
Attese che i ciclisti attraversassero l'incrocio e si avvicinò con una tranquillità bianca.
Lo analizzò cautamente e si accorse dell'errore che aveva commesso.
Quella era una nutria, non un castoro.
I suoi incisivi, infatti, avevano lo smalto arancione.
I passanti le lanciarono occhiate feroci ma lei, grata alla sua indifferenza, non si voltò.
Doveva essere un maschio adulto.
Il manto ispido trasudava un tanfo poco gradevole.
Un ricordo fece capolino nella sua mente.
Otto anni prima aveva visto lo stesso animale e si era accorta che l'odore non era insopportabile come dicevano tutti.
Fu allora che si rese conto che sarebbe riuscita a realizzare il suo sogno.
Scema, scema.
La domanda è: questo è un déjà vu oppure ha davvero visto la povera bestia?

I Colori della MorteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora