Stavo camminando per la strada, un piede dopo l'altro e le gambe le sentivo sempre più leggere, come se non toccassero il marciapiede grigio scuro, che sembrava sempre più sfocato ad ogni passo, come la città all'orizzonte e il rosso cielo al tramonto. E le persone intorno a me giravano, sembravano tutte girare, come fossi al centro di una giostra del più bel parco divertimenti del mondo. Ed io ero sulla più alta delle montagne russe, sul grattacielo più alto di Manhattan, ad alta quota e senza il paracadute stavo per lanciarmi dall'aereo in volo. E sapevo che domani, appena l'effetto della droga sarà svanito, mi sarei schiantato al suolo, mi sarei sentito sotto un treno, disteso a terra, calpestato. Ma quella sera non mi importava. Mi stavo godendo il momento, per un attimo, e avevo spento i pensieri. Mi sentivo euforico e stanco allo stesso tempo. Stavo bene.
"Ancora un po' jimmy" mi disse una voce nella testa, ma avrei quasi giurato fosse qualcuno al di fuori. "Prendine di più" continuò a stuzzicarmi, ma non serviva. Avevo già la mano in tasca che cercava la bustina, mentre senza accorgermene, mi ritrovai appoggiato al muro per sorreggermi.
I miei occhi misero a fuoco una stazione di servizio poco distante, quasi per miracolo.
Mi trascinai con le poche forze rimaste fino al bagno, superando il cassiere e qualche gruppo di ragazzi intenti a comprare qualche snack tra gli scaffali. Chiusi la porta dietro di me, cercando di fare meno rumore possibile per non attirare l'attenzione, ma non dosai la forza e finii per sbatterla. Imprecai, stringendo gli occhi alla ricerca disperata di riprendere il controllo della situazione. "Ci sono" mi dissi, riaprendo gli occhi e guardando la mia immagine riflessa nello specchio, che cercava di tenersi in piedi, appoggiandosi con le mani sul lavandino. Notai le mie pupille dilatate e d'istinto scoppiai in una risata rumorosa, per pochi secondi, mentre la testa continuava a girarmi e le pareti sembravano muoversi, quasi a schiacciarmi. Mi arresi. Non ci riuscivo. Non riuscivo a tenermi in piedi e sentivo la mia schiena appoggiarsi al muro e scivolare un attimo dopo, fino a ritrovarmi seduto sulle mattonelle fredde del pavimento. Riuscii, in qualche modo, a tirare fuori la bustina dalla tasca e a far uscire qualche milligrammo di polvere bianca sulla mia mano. Era troppa? Era troppo poca? Queste domande mi balenarono in mente per un secondo, ma non feci in tempo a rispondermi che avevo già assunto la dose, ritrovandomi così con la mano vuota, di nuovo.
All'improvviso sentii un suono, come un'alta frequenza, rimbombarmi fastidiosamente nelle orecchie e la mia vista si annebbiò, mentre un sorriso compiaciuto, soddisfatto, sul mio viso pallido, spuntò a compensare le terribili occhiaie che lo scavavano, rendendolo quasi spaventoso.
"Ma sto bene" mi ripetei più volte "Sto bene" prima di sentire la mia testa girare per l'ultima volta, seguita da un forte tonfo sul pavimento. Gemetti dal dolore, ma non me ne accorsi, e i miei occhi misero a fuoco il soffitto ancora una volta prima di chiudersi definitivamente. "Sto bene" mi ripetevo, col sorriso sulle labbra, mentre il mio corpo giaceva inerte sul pavimento freddo della stazione di servizio alle 3 di notte.
***
«Sollevalgli la testa» una voce famigliare, ma non troppo da riconoscerla immediatamente, fu la prima cosa che riescii a sentire, seppur ovattatamente, appena ripresi i sensi. «Tieni, questo cuscino potrebbe andare»
Aprii lentamente gli occhi, mentre sentivo delle mani famigliari sollevarmi la testa, per poi lasciarla ricadere su una superficie più morbida della precedente.
«Jimmy...» di nuovo quella voce, questa volta seguita da un'altra, più acuta: «Sei sveglio, finalmente!»
Riuscii a mettere a fuoco le due figure femminili di fronte a me, e subito riconobbi Mary Jane e i suoi capelli biondi sempre arruffati con le punte rosa pastello, inginocchiata accanto al divano e intenta a spostarmi dei ciuffi di capelli dagli occhi, e un'altra ragazza poco famigliare, dai capelli viola acceso, seduta su una sedia mezza rotta, con una sigaretta in mano.
«Come ti senti?» mi chiese la bionda, con quella sua voce stridula che ho sempre faticato a sopportare.
«Bene...credo» risposi a mezza bocca, mentre con un colpo di reni, cercai di mettermi seduto. La testa mi girava ancora, ma non era più piacevole come la sera precedente, ed era accompagnata da un formicolio che mi pervadeva il corpo. «Dove sono?»
«A casa di Lucy»
«Lucy?» domandai, confuso: questo nome l'avevo già sentito. E alla mia domanda, la ragazza dai capelli viola alzò una mano, come fossimo a scuola durante l'appello.
«Sono io Lucy. Non ti ricordi?» mi disse, porgendomi una sigaretta. «Al rave party di Scott»
L'accettai volentieri, afferrandola con una mano, mentre con l'altra cercai l'accendino nelle le tasche. «Ah si, quello: non amo la musica techno, e probabilmente ero troppo ubriaco per ricordarmi con chi sono andato a letto quella sera.» le spiegai, mentre finalmente avevo trovato quel maledetto arnese che, non si sa come, riuscivo sempre a dimenticare in quale tasca l'avevo lasciato. Accesi la sigaretta, e vidi la ragazza scuotere la testa annuendo, con un sorrisetto rassegnato stampato in faccia.
«Che ore sono?» pensai ad alta voce e, senza volerlo, lo sguardo mi cadde sull'orologio appeso sul muro di quello squallido appartamento. "Le 10 di mattina" lessi, e di colpo scattai in piedi con gli occhi spalancati, imprecando contro me stesso. «Devo andare!» esclamai, e in pochi secondi mi ritrovai fuori dalla porta, stranamente senza dover lottare contro Mary Jane, che insisteva sempre a trattenermi con lei ovunque mi trovassi.
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Rage & Love
Любовные романыIl dolore e la rabbia si possono inibire con l'amore? Quanto e cosa si è disposti a rischiare? Los Angeles, California. Un 19enne di nome Jimmy Railway, deciso a lasciare la scuola e trovare un lavoro per uscire di casa e rendersi indipendente, deci...