Capitolo 13 - Zak Maine

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«Roba da non credere» continuavano a ripetere in sala d'aspetto, dopo che la notizia di quell'aereo in Florida precipitato nel nulla apparve in TV. Molti iniziarono a trovare la cosa sospetta e blateravano ipotesi e cospirazioni al pari di quelle sull'11 Settembre. Alcuni medici, fra i quali il Dr. Burke, caposala del reparto, accorsero in corridoio per sentire la notizia, ma al contrario dei pazienti, si tennero i commenti per loro. Era una mattinata tranquilla nel dipartimento di chirurgia, nessun caso particolare e i tirocinanti irrequieti non vedevano l'ora di assistere qualche medico. Decisi di allontanarmi dal corridoio e mi rifugiai nella stanza 147, dove una ragazza di nome Eleonore stava recuperando le forze dopo l'intervento della sera prima agli occhi. Aveva poco meno di 18 anni, ed era rimasta vittima di un incidente. Il vetro del parabrezza le si era conficcato profondamente negli occhi, mentre i suoi amici erano entrati in ospedale ricoperti da ferite molto meno gravi. Non era la prima, né l'ultima adolescente ad entrare in sala operatoria per incidenti del sabato sera, eppure ogni volta mi si stringeva in cuore a ripensare quanto incoscenti si possa essere a quell'età e quanto la voglia di libertà di una sera possa portare a finali tanto spiacevoli che si ricorderanno per sempre. Mi ricordavano Jimmy e la paura costante che avevo di vederlo entrare su una barella dalle porte dell'ospedale, coperto di sangue o privo di sensi, in stato di shock o in overdose. La cosa mi preoccupava eppure ero cosciente di essere impotente di fronte alle sue scelte, e avrei dovuto accettarlo così, con tutti i pericoli, con tutti i suoi difetti o problemi, decidete voi come chiamarli.

«Buongiorno» la salutai entrando, mentre controllavo se le flebo e i macchinari stessero facendo il loro lavoro. «Come ti senti?»

«L'operazione è andata bene?» chiese preoccupata. Aveva gli occhi bendati e faticava a muoversi. Sembrava agitata, in cerca di risposte, ma molto poco propensa a soddisfare le mie domande.

«Sì, ti riprenderai. I tuoi genitori non rispondono a telefono da ieri notte, possiamo chiamare qualcun altro?»

«I miei amici...come stanno?»

«Stanno tutti bene, non preoccuparti per loro» Le osservai le mani che muoveva nervosamente, e le labbra secche semichiuse. Io al contrario ero calmo: mi avevano insegnato a mantenere il sangue freddo di fronte a qualcuno che rivelava inquietudine dagli occhi o dai movimenti, per evitare di peggiorare la situazione. «Vuoi bere qualcosa?» Annuì leggermente, così le presi il bicchiere d'acqua dal tavolino e glielo avvicinai alle mani. «Hai sentito quello che ti ho chiesto prima?»

«Non chiamate nessuno, vi prego»

«Sei minorenne, dobbiamo avvisare qualcuno»

Non rispose: si limitò a sorseggiare l'acqua e a posarla sul tavolino con attenzione. Così aggiunsi: «Non hai altri parenti?»

«Non vivono qui»

«Va bene, allora proveremo a richiamare i tuoi genitori. Ora cerca di riposarti, d'accordo?»

Non mi rispose, assorta fra i suoi pensieri. Uscii dalla stanza e mi ritrovai di fronte alla Dr.ssa. Yang, una tirocinante dai capelli neri e dai tratti asiatici che, come al solito, vagava per il corridoio in cerca di qualche medico da poter sottoporre a domande di qualsiasi genere.

«Dr. Maine, le posso offrire un caffè?»

Sorrisi quando vidi i suoi occhi brillare come una bambina che non vede l'ora di prendere il gelato con suo padre. Era piena di voglia di fare, e amava imparare dai più esperti. Non si tirava mai indietro di fronte ad un compito difficile, si metteva alla prova, ed era sempre la più preparata e concentrata. Era rispettosa, dava a tutti del lei e ringraziava di continuo. «Volentieri»

Arrivammo alle macchinette in fondo al reparto, e mentre inseriva i soldi, un pensiero tornò a farsi strada nella mia mente: Jimmy. Odiavo mischiare lavoro e vita personale, odiavo essere sovrappensiero e costantemente preoccupato per lui. Eppure lo trovavo inevitabile. Presi il telefono dalla tasca e gli mandai un messaggio: "Ti va di passare da me appena finisco il turno?"

Non volevo risultare assillante, sapevo che a casa aveva già tante pressioni, ma ero anche conscio del fatto che farlo uscire dalle 4 mura di camera sua sarebbe stato un buon modo per farlo svagare.

«Tutto bene Dr. Maine? La vedo sovrappensiero»

«Non si preoccupi, lei piuttosto come se la passa? Ho sentito che ha fatto un buon lavoro assistendo il Dr. Burke nell'ultima operazione»

La sua bocca si curvò all'istante rivelando un sorriso a trentadue denti e gli occhi lasciarono intuire la risposta affermativa. «Il Dr. Burke è un ottimo chirurgo e insegnante, e mi ha lasciato incidere al posto suo. Sognavo di farlo dal primo giorno che ho messo piede nel reparto e.. »

«EMERGENZA NELLA STANZA 147!» le urla di una collega che mi sfrecciò di fianco mi fecero sobbalzare, tanto da rischiare di rovesciare il caffè bollente sulla Dr.ssa Yang, che era già pronta a correre dietro il resto dei medici. Mi precipitai anch'io ad aiutare, e mi accorsi solo una volta valicata la porta della stanza, che quella in pericolo era proprio Eleonore. Il suo viso era coperto di sangue che sgorgava dagli occhi e lei giaceva sul lettino esanime, mentre i miei colleghi l'avevano già circondata.

Il Dr. Burke fu il primo a parlare: «Forte emorragia agli occhi, qualcosa nell'operazione è andato storto. Dottoressa Torres, i valori della paziente.. »

«Non c'è battito, dottore...»

Lui le mise una mano sul polso «Che aspettate? Il defibrillatore!»

I medici intorno a me si adoperavano per salvarle la vita, e io sembravo un tirocinante alle prime armi, spaesato e spaventato. Vedevo in Eleonore i comportamenti di Jimmy e riuscivo solo ad immaginarlo al suo posto, coperto di sangue e senza polso. Il suo petto venne ripetutamente scosso dalle scariche elettriche eppure non c'era nessun segno di ripresa da parte sua. Un secondo dopo, il caporeparto ci guardò rassegnato. I medici attorno alla ragazza rallentarono i loro movimenti, l'agitazione nell'aria sparì e mi sentii svuotato.

«Dr. Maine, segni l'ora del decesso» Il caporeparto uscì dalla porta dopo avermi messo una mano sulla spalla, eppure quasi non me ne accorsi dacché i miei occhi erano fissi su quelli insanguinati di Eleonore. Era stata assegnata a me, ergo la responsabilità era la mia, eppure non ho potuto fare nulla. La mia mente proiettò in loop la conversazione avuta con lei poco prima e non potei far altro che pensare al fatto che sembrava stare bene, anzi..stava bene: avevo controllato la flebo e i dati sul monitor, e quando uscii dalla stanza ero sicuro avesse valori regolari. La Dottoressa Yang affianco a me, vedendomi perso nei miei pensieri, parlò al mio posto: «Ora del decesso 11:23» . Come era possibile un'emorragia in così poco tempo quando l'avevo appena controllata?

 Come era possibile un'emorragia in così poco tempo quando l'avevo appena controllata?

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