Capitolo 6 - Ariana Heather

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Il suono della sveglia ruppe il silenzio e subito allungai una mano sul comodino, tastando la sua superficie in cerca di quell'oggetto infernale, per spegnerlo il più velocemente possibile. Il sole che filtrava dalle tapparelle mi diede un buongiorno sicuramente più apprezzato. Portai le gambe sul lato del letto e in pochi secondi ero in piedi. Stranamente non mi sentivo stanca, e riescii a raggiungere il bagno senza trascinarmi per terra come tutte le mattine durante il periodo scolastico. Legai i capelli in una coda e iniziai a lavarmi i denti con un gesto automatizzato della mano.

Qualche minuto ancora, e mi potei definire pronta per la colazione. Afferrai una camicia qualsiasi dall'armadio e infilai degli shorts di jeans. Mentre li abbottonavo mi tornò in mente il discorso della sera prima, e subito i miei gesti energici per vestirmi rallentarono. La mia espressione cambiò. Mi slegai i capelli e l'unica cosa alla quale riescii a pensare è il dannatissimo contratto con il signor Lewis. Non avevo voglia di uscire dalla camera. Non avevo voglia di vedere i miei genitori. La rabbia tornò a infestarmi la mente, mentre la mia mano si posò sul pomello della porta, indecisa se aprire o meno.

All'improvviso sentii la maniglia girarsi sotto la mia mano e d'istinto faci un passo indietro, appena prima di vedere la porta aprirsi di fronte a me.

«Oh..io..pensavo dormissi» mi disse Jared, ricevendo come risposta un mio sguardo impassibile. «Stai bene?» aggiunse, quando mi vide avvicinarmi al comodino per prendere il telefono.

«Devo ancora dirlo ad Emma» risposi secca, tornando con lo sguardo su di lui.

«Mi dispiace. Io ho provato a-...»

«Non è colpa tua, Jared.» lo interruppi «Tu non c'entri niente con l'azienda.» tagliai corto, per evitare di tornare sul discorso.

«Sono sicuro che Emma capirà. E così anche Jason, e Michael, e tutti gli altri...» cercava di confortarmi.

«No, non capiranno.» dissi «Non Emma....Non lei» cercavo di concludere, trattenendo le lacrime che tentavano di tornare a sgorgare dai miei occhi.

Vidi Jared avvicinarsi con le braccia tese, ma subito lo fermai, afferrandogli i polsi. Non avevo bisogno di sostegno. Stavo bene. E sorridevo per convincerlo a lasciar perdere altri incoraggiamenti e consolazioni.

«Me la caverò» esclamai ironicamente, per poi passargli accanto e precipitarmi sulle scale. «Andiamo?» lo incoraggiai a seguirmi, e subito sentii i suoi passi starmi dietro mentre iniziai a scendere i gradini.

***

«Buongiorno» esclamò mio padre, già intento a leggere le notizie sull'ipad o a rispondere alle mail di lavoro, mentre, seduto a tavola, sorseggiava una tazza bollente di caffè americano

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«Buongiorno» esclamò mio padre, già intento a leggere le notizie sull'ipad o a rispondere alle mail di lavoro, mentre, seduto a tavola, sorseggiava una tazza bollente di caffè americano.

«Buongiorno!» risposi e, con nonchalance, mi sedetti affianco a lui. Allungai una mano verso il frigo per prendere il latte, e ne versai quanto basta nella mia tazza nera preferita, regalatami da mia madre per il mio sedicesimo compleanno. «Suppongo che abbiate già preso i biglietti, non è così?» chiesi, spostando lo sguardo su mio padre, e notai la sua postura rilassata irrigidirsi, confermando quindi la mia supposizione. «A che ora partite?» aggiunsi.

«Alle 9» rispose secco, con il suo solito fare altezzoso da uomo d'affari. Come se la mia domanda, e il mio stato d'animo alquanto evidente, per quanto io potessi cercare di nasconderlo, non lo toccassero minimamente.

«Di sera?» chiesi, nella speranza di ricevere una risposta affermativa: il che avrebbe significato passare almeno metà giornata con la mia famiglia, prima della fatidica partenza che avrebbe segnato un completo sconvolgimento della mia routine.

«Di mattina.» mi smentì lui «Sono sicuro che tu sia matura abbastanza da affrontare questo cambiamento» concluse, leggendomi nella mente e zittendo i miei pensieri. «Gli affari sono affari». Non mi lasciò neanche tempo di replicare, che scattò in piedi per raggiungere il corridoio, come tutte le mattine, e indossare la sua sempre immancabile giacca blu navy, sopra la camicia bianca. Diceva sempre che il blu è il colore degli uomini di successo poichè comunica affidabilità e professionalità: ha le stesse caratteristiche del nero, ma allo stesso tempo si presenta più morbido e accogliente, pur mantenendo un certo aplomb.

Lo guardai uscire dalla porta di casa, dopo aver lasciato un rapido bacio sulla fronte di mia madre, e un altrettanto frettoloso saluto a me e Jared. Sospirai, tutto qui: non era sempre facile comunicare con mio padre, e crescendo me n'ero fatta una ragione. Sapevo che mi voleva bene e che tutto quello che faceva, lo faceva per offrire una vita migliore alla sua famiglia, ma non potevo evitare di arrabbiarmi con lui ogni qual volta prendeva decisioni avventate, spesso e volentieri senza aver chiesto un parere né dei suoi due figli, né - e perfino - di sua moglie.

Finii a forza la mia colazione, affiancata da mio fratello, che nel frattempo aveva già divorato la sua. Non avevo fame, o mi era passata, ma sorseggiai ugualmente dalla tazza l'ultima goccia di latte, stringendo gli occhi, cercando di mandarla giù. All'improvviso un pensiero mi balenò in testa, mentre mi alzai per posare la tazza nel lavandino: avrei dovuto ancora comunicare la "bella" notizia ai miei amici.

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