Aprii la porta di casa, lentamente cercando di non fare rumore, ma fallii non appena lo scricchiolio si fece sempre più forte man mano che la spingevo. "Dannata porta vecchia"
«Jimmy, sei tu?» Ci misi qualche secondo a capire da quale stanza provisse la voce di mia madre, e la raggiunsi. Superai la soglia del salotto e la vidi...seduta sulla moquette, insieme a qualche bottiglia vuota di whiskey attorno a lei. Lo sguardo mi cadde sul suo volto, stanco, segnato dalle occhiaie. Quarant'anni, eppure la sua pelle sembrava così consumata. Stringeva le gambe al petto, come se avesse avuto freddo, ma non troppo da indossare qualcosa di più pesante di una semplice canottiera. «Tornerai a scuola?» mi chiese, voltandosi verso di me e scoprendo, di sfuggita, una macchia violacea sul collo. D'istinto le spostai i capelli, inginocchiandomi di fronte a lei, ma non appena le mie mani sfiorarono le ciocche biondo cenere, il suo corpo si ritrasse. Poggiò una mano a terra, per sostenere il corpo dal movimento brusco, mentre con l'altra mano mantieneva una sigaretta quasi totalmente consumata, ma non eccessivamente, tanto da riempire ancora la stanza di bruciato.
«Di nuovo?»
«Abbiamo solo parlato...»
«Allora fammi vedere!» Madison distolse lo sguardo dai miei occhi, irrigidendo i muscoli del viso e seguì un istante di silenzio in cui entrambi rimanemmo immobili. «D'accordo. Fai come ti pare...Continua a raccontarmi stronzate...a RACCONTARTI stronzate.» dissi, alzando il tono di voce. «...e a convincerti che "questa volta sarà diverso"». Mi ritrovai in piedi a sospirare. Feci qualche passo indietro, osservandola fare un tiro di sigaretta, impassibile, come se le mie parole fossero un misero ronzio di sottofondo al quale non prestare attenzione.
***
Alzai la musica mentre finivo la sigaretta, seduto sul letto. "Dovrei davvero tornare a scuola?" Lo sguardo mi cadde sul poster di una leggendaria band punk che tenevo appeso sulla porta della camera da non ricordo neanche quanto tempo. Osservai la chitarra azzurra che il cantante stava mettendo in mostra, la teneva con due mani sopra la testa, ma non sembrava volesse buttarla a terra per spaccarla come di consueto, anzi...la teneva come si tiene il proprio bambino di cui si è fieri. Le luci la illuminavano poco di più di quanto facessero con il viso del frontman, mentre al suo lato, il bassista sembrava incitare il pubblico con le mani a gridare qualcosa. Il batterista dietro di loro invece, aveva un'espressione più concentrata sul proprio strumento, piuttosto che sul pubblico in delirio.
Mentre continuavo a guardare il poster, mi alzai dal letto per buttare il mozzicone di sigaretta nel cestino, e ne approfittai per cambiare album. Nell'istante in cui sollevai la testina del giradischi dal vinile, la mia attenzione vienne colta dallo scricchiolio del portone di casa. "Brad..."
Tutto ad un tratto, la serenità che poco prima sembrò dominare la stanza, venne rimpiazzata dalla rabbia. Le mani iniziarono a tremare senza accorgermene, e si strinsero in un pugno mentre il mio sguardo fisso sulla porta mise fuori fuoco il poster, tanto da sembrare di volerlo bucare per guardarci attraverso. Prima ancora di rendermene conto, ero fuori dalla camera, di fronte all'uomo che mi squadrò senza esitare, con misera sufficienza. Si lasciò cadere sulla poltrona, di fronte a mia madre che nel frattempo era di nuovo in piedi, e le gambe le tremavano come bastoncini esposti ad una bufera.
«Non stare lì impalata, portami una birra!»
Lei annuì a testa bassa e si avvicinò al frigo, con l'ansia di fare qualcosa di anche solo minimamente sbagliato, e procurarsi altri lividi da dover coprire col trucco la mattina dopo. Mi avvicinai a mia madre afferrandole la lattina dalle mani.
«Ecco la tua birra» esclamai, lasciando scendere il liquido schiumoso su quell'energumeno che si stava godendo la partita di football in totale e troppa tranquillità.
«Jimmy!» mi riprese mia madre, immaginando l'imminente reazione del compagno, mentre l'altro era già in piedi sbraitando ed emettendo suoni indecifrabili, fra i quali potei distinguere un «Gran figlio di-...», interrotto solo da una lattina ancora mezza piena, tiratagli violentemente in faccia dal sottoscritto. Le sue mani fecero per afferrarmi, ma i suoi occhi erano pieni di schiuma di birra che gli offuscava la vista, e grazie alla quale riuscii, con un colpo ben assestato, a stenderlo a terra, evitandogli un impatto troppo violento per via della moquette. Prima ancora che l'uomo ai miei piedi riuscisse a rendersi conto del colpo preso, gli afferrai la camicia tirandogli un secondo pugno in faccia. «Il prossimo livido che vedo sul corpo di mia madre e giuro che-..»
«..."che" cosa, Jimmy? Che vuoi fare?» Quel sorrisetto sfacciato stampato in faccia e i capelli fuori posto lo facevano sembrare un pazzoide evaso di prigione, ed io continuavo ad immaginarlo contornato di sangue.
«Jimmy, ora basta!» ci fermò mia madre, che nel frattempo si era avvicinata per separarci. Nonostante l'adrenalina, riuscii a fermarmi anche sta volta. Non sapevo se lo stessi facendo per mia madre, o se lo facevo per me. So solo che ci riuscii ancora una volta, sotto lo sguardo compiaciuto di Brad e quello preoccupato di Madison. Le mie mani si fermarono, ma formicolavano ancora, impazienti di tirare altri schiaffi e pugni a quell'energumeno come fosse il mio punchball preferito. I miei polmoni sembrarono richiedere più aria del solito. No. Non erano i miei polmoni. Era il mio cervello: lo sentii venire compresso in una gabbia...troppo piccola, che mi bruciava le tempie. Mi ritrovai fuori al portone di casa e la mia schiena si appoggiò volotariamente al muro per riprendere fiato. All'improvviso una voce profonda, già sentita, e proveniente da una direzione non identificabile esclamò: «Ne voglio di più, Jimmy»
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Rage & Love
RomanceIl dolore e la rabbia si possono inibire con l'amore? Quanto e cosa si è disposti a rischiare? Los Angeles, California. Un 19enne di nome Jimmy Railway, deciso a lasciare la scuola e trovare un lavoro per uscire di casa e rendersi indipendente, deci...