Capitolo 8 - Jimmy Railway

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Infilai il telefono in tasca e sospirai, mentre mi avvicinavo ad una stazione di servizio. Proprio in quel momento, il sole fece capolino fra le nuvole, e l'aria fresca delle 8 di mattina mi riempì i polmoni. Mi avvicinai all'entrata e intravidi, al di là della porta di vetro, una donna magra, con i capelli rossi in contrasto con la maglietta verde, preceduta da due bambine. La più grande fra le due, che avrà avuto sì e no una decina di anni, si apprestava a spingere la porta, mentre l'altra era intenta a mangiare di gusto una barretta di cioccolato. La scena mi fece sorridere, e quasi mi dimenticai perchè stavo entrando. La bambina intenta a tenere la porta, lasciò uscire quelle che sembravano rispettivamente la madre e la sorella, e subito mi osservò, in attesa che io oltrepassassi l'entrata. Le sorrisi e la ringrai con un gesto del capo, ma un attimo dopo la vidi correre dalla madre, come se l'avesse richiamata urgentemente a se. La porta mi si richiuse alle spalle, e le mie labbra tornarono a fomare una linea retta.

«Due pacchetti di Marlboro Rosse» Infilai la mano in tasca in cerca di una banconota da 20$.

«12$» una voce stridula e famigliare, di nuovo. «Jimmy!»

«Oh ciao, Chanel» mormorai a mezza bocca, porgendole la banconota. La figlia del proprietario della stazione di servizio, tornata dalla sua vacanza in Florida, come mi aveva raccontato più volte durante le lezioni di fisica. Chanel Bay, più che ascoltare la lezione, pensava solo a fare colpo sui ragazzi dell'ultimo anno, con particolare dedizione per quelli che giocano a football e che hanno la testa piena di segatura. Non a caso, era capitano delle cheerleaders solo per riuscire a scambiare due parole con i giocatori della squadra durante gli allenamenti.

«Come sta Zak?» mi chiese la bionda, mentre mi consegnava le sigarette e si apprestava a darmi il resto. I capelli biondo decolorato le scendevano sulle spalle, e nascondevano il suo solito choker di stoffa, nero, abbinato allo smalto.

«Meglio di me» troncai il discorso prima che continuasse a farmi domande inutili delle quali non le importava davvero la risposta. E come sta realmente Zak? Me lo chiedevo anche io. Quel ragazzo che era sempre stato al mio fianco: quando a 10 anni persi mio padre, quando mia madre conobbe Adolph, e tutti quelli dopo di lui, che l'hanno consumata, ridotta quello che era adesso: uno straccio di madre che non sapeva badare neanche a se stessa. La rabbia invase i miei pensieri, di nuovo. Le volevo bene, ma la maledivo per le scelte che aveva fatto nel corso degli anni, e per non essersi mai occupata di me, per non avermi dimostrato amore o anche solo una parvenza di affetto. E io? Dal mio canto, sono sempre stato uno straccio di figlio e maledivo anche me stesso per non essere stato abbastanza forte da proteggerla, per non esserle stato affianco nel modo giusto...come aveva sempre fatto Zak con me.

Dopo un respiro profondo, per cercare di sciogliermi la rabbia di dosso, raggiunsi la porta, mentre estraevo una sigaretta dal pacchetto

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Dopo un respiro profondo, per cercare di sciogliermi la rabbia di dosso, raggiunsi la porta, mentre estraevo una sigaretta dal pacchetto.

«Beh, ci vediamo a scuola, Jimmy!»

"A scuola?" pensai, e non le risposi. L'aria, tornata a sbattere contro la mia pelle, fece muovere liberamente i miei capelli nero pece. Concentrai la mia attenzione sulla ricerca dell'accendino. "Merda! Non di nuovo!" imprecai, un attimo prima di trovarlo nella tasca posteriore.

Un tiro. Non riuscii a non pensare a mia madre. Non volevo tornare a casa. Non volevo vedere Brad, nè mia madre, che mi ripeteva costantemente quanto fosse stata supida ad innamorarsi di un uomo come lui, mentre le lacrime le scendono a fiumi sulle guance. 

Chiusi gli occhi per cercare di liberare la mente, ma prima che potessi concentrarmi per eliminare la rabbia, un dolore interno al polso destro della mano mi distrassi. Aprii gli occhi di scatto. "Ma che diavolo...". Guardai il polso in cerca di qualche ferita, che avrei potuto essermi procurata la sera prima...ma niente. Solo una forte fitta, come se qualcuno mi stesse tirando e pungendo le vene dall'interno. D'istinto avvolsi l'altra mano sul polso dolorante, lasciando cadere a terra la sigaretta, e strinsi, come se ciò avesse potuto affievolire quella sensazione spinosa.

«Jimmy...» mormorò una voce, ma distratto dal dolore, non capii da dove provisse. Mi guardai intorno, con la speranza di vedere qualcuno, ma scorsi solamente un vecchio signore che faceva benzina al suo furgone, almeno 5 o 6 metri lontano da me. All'improvviso un brivido mi percorse la schiena, e mi accorsi che il dolore sul polso era sparito. "Ma che..."

Il rumore del furgone che ripartiva, interruppe i miei pensieri. Respiravo di nuovo, e mi accorsi che per tutto il tempo, ero rimasto quasi in apnea. Non so cosa mi fosse preso. Ebbi come la sensazione che quel dolore fosse esistito solo nella mia testa...

"Ma che diavolo di cocaina mi ha venduto Kab?"

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