Il sole caldo di fine Agosto che batteva sulle finestre della camera e il pensiero di dovermi infilare il camice bianco sopra la maglietta azzurro pastello da ospedale, mi faceva già sentire caldo. "Che ore sono?" mi chiesi, sollevando l'avambraccio, e subito lo schermo bianco dell'apple watch si illuminò, rispondendo alla mia domanda. Era ancora presto. Avevo tempo di aggiustare per l'ultima volta i miei capelli castani che, ribelli, mi cadevano sulla fronte. "Mi piacciono" mi dissi soddisfatto per l'ennesima volta, consapevole che, dopo pochi minuti, sarei andato di nuovo in cerca di uno specchio per casa.
Afferrai lo stetoscopio e lo riposi in borsa con cura. "Cosa manca?" mi domandai, guardandomi in giro e notando la TV ancora accesa. Guardai il divano in cerca del telecomando, alzai i cuscini, infilai le mani fra le fessure della seduta e dello schienale, e controllai persino sotto le poltrone...ma niente. Dov'era finito?
Guardai di nuovo l'orario: sarei dovuto assolutamente uscire di casa entro pochi minuti successivi per arrivare a lavoro in tempo. Imprecai, e ripercorsi con la mente i miei movimenti della sera precedente. "Non posso essere così svampito!" ripetei a me stesso "Avanti Zak, cerca di ricordare!". "Non posso lasciare la Tv accesa tutto il giorno!" continuai il mio monologo di domande dirigendomi verso il corridoio. Infilai il camice bianco, specchiandomi per aggiustare il bavero intorno al collo, e ne approfittai, come previsto poco prima, per sistemare ancora una volta i capelli. Mi guardai intorno un'ultima volta in cerca del telecomando, ormai senza alcuna speranza di ritrovarlo, e sospirai rassegnato dirigendomi alla porta.
Raggiunsi la mia decapottabile: un'audi bianca del 2017, con un ciondolo d'argento che pendeva sullo specchietto retrovisore interno, regalatomi da un'amica durante gli anni del liceo. Mi chiedevo spesso che fine abbia fatto. Tuttavia, la curiosità non era abbastanza da farmi digitare il suo numero, ancora in rubrica, per scambiarci due chiacchiere. Lanciai la borsa sul sedile, mentre con l'altra mano chiusi lo sportello dopo essermi seduto. Accesi la radio e la lasciai riprodurre una canzone qualsiasi, mentre giravo le chiavi per mettere in moto ed allontanarmi da casa. Nel frattempo, la mia mente continuava a pensare a quel dannato telecomando. "Ma come diavolo ho fatto a perderlo in casa mia?". Lo squillo del telefono interruppe le mie domande senza risposta, e d'istinto lo afferrai per rispondere, attivando lo speaker della macchina.
«Jimmy!» esclamai, dopo aver letto il suo nome sullo schermo.
«Hey Zak, hai da fare?» mi disse, e dalla voce, che ormai conoscevo come le mie tasche, captai della preoccupazione in quel tono falsamente calmo e controllato.
«Sto andando a lavoro come ogni giorno, perchè?»
«Oh...si..giusto» rispose, con una nota di amaro sulla voce.
«È successo qualcosa?» e ora ero io ad essere preoccupato.
«No...» replicò lui, come a voler porre fine alla conversazione.
«Dove sei?» lo interruppi, prima che potesse concludere la chiamata.
«Al Moline»
In un bar di prima mattina? mi chiesi.
«Jimmy, mi dici qual è il problema? Perchè mi hai chiamato?»
«Non importa. Non è niente di grave.» tagliò corto «Buon lavoro, Zak» concluse, per poi chiudere la chiamata. Imprecai d'istinto, mentre guardai l'orario sul monitor dell'auto: le 7:50. "Ho ancora qualche minuto" pensai, e dopo aver controllato la strada, feci inversione dirigendomi sulla 47esima. Quale sarebbe stato il problema? Cercavo risposte quella mattina, rassegnandomi al fatto che sarei arrivato tardi a lavoro ancora una volta.
***
Scesi velocemente dalla macchina, dopo averla parcheggiata davanti al bar, e mi fiondai nel locale. Mi guardai intorno alla ricerca del mio migliore amico, ma niente, ed ebbi un dejavu di qualche minuto prima nel salotto di casa mia.
«Carl, hai visto Jimmy?» chiesi al barista, non curante dei convenevoli saluti.
«Oh, buongiorno Zak, l'ho incrociato fuori poco fa»
«Fuori?» esclami, mentre l'occhio mi cadde sullo smart watch...non sarei mai arrivato in tempo a lavoro.
«Sono entrato in servizio ora e l'ho incrociato davanti al negozio qui accanto»
Ringraziai di sfuggita Carl, uscendo dal locale, mentre con una mano cercavo il contatto di Jimmy sul telefono, imprecando contro quel testardo che pensava di essere sempre un peso per tutti. Era sempre stato il suo più grande difetto: quello di non sentirsi mai abbastanza. Ma io gli volevo bene, come un fratello maggiore, e sapevo che lui ne voleva a me.
«Dove diavolo sei?» urlai al telefono, neanche fossi stato sua madre.
«Sto tornando a casa» mi rispose lui, con tutta la calma del mondo. «Non dovresti essere a lavoro?» mi disse, confuso, e cercai di trattenermi dall'insultarlo in tutte le lingue del mondo. «Qual è il problema?»
«Questo lo chiedo io a te?!» sbottai, facendo sobbalzare un passante, che ora mi guardava incuriosito. «Cosa hai combinato ieri sera?» continuai, ignorando chiunque mi circondasse in quel momento. Sentii Jimmy sospirare, e non ottenni nessuna risposta.
«Ti conosco troppo bene, e so che vieni al Moline di prima mattina per due motivi soltanto: o dopo una serata con Mary Jane, o dopo una nottataccia da solo. E so anche...che non mi chiami mai dopo esserti divertito con MJ.»
Pur non vedendolo, riuscii a immaginare i suoi occhi ruotare verso il cielo. Odiava quando provavo ad aiutarlo, perchè nel profondo sapeva che avevo ragione e riuscivo a capirlo come nessun altro. Questo gli faceva paura, gli aveva sempre fatto paura: la perdita di controllo, la consapevolezza che un'altra persona potesse gestire o analizzare le sue emozioni per aiutarlo...lo faceva sentire impotente.
«Sto. Bene.» furono le uniche due parole che riuscì a scandire. Le stesse che sentivo ogni volta, prima di vederlo cadere. Prima di vederlo nel suo stato peggiore, nell'unico momento nel quale accettava la perdita di controllo: sotto effetto di droghe. Odiavo vederlo così. Odiavo sapere che era l'unica cosa che lo faceva stare bene...ma che lo avrebbe ucciso allo stesso tempo.
«Buon lavoro, Zak.» concluse di nuovo, lasciandomi assorto fra i miei pensieri. Capì che l'avevo compreso, ancora una volta, e questo lo mandava fuori di testa. Si era tradito da solo, con quel tono, con quelle parole, e voleva essere lasciato in pace, ma allo stesso tempo odiava sentirsi solo. Che avrei potuto fare? Raggiunsi la macchina, e guardai l'orario: le 8:10. Come previsto, ero in ritardo.

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Rage & Love
RomanceIl dolore e la rabbia si possono inibire con l'amore? Quanto e cosa si è disposti a rischiare? Los Angeles, California. Un 19enne di nome Jimmy Railway, deciso a lasciare la scuola e trovare un lavoro per uscire di casa e rendersi indipendente, deci...