CAPITOLO 5

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Dei continui bisbigli interrompono il mio sonno. Riduco gli occhi a due fessure per vedere l'ora. Sono le cinque del mattino! Ma chi è che parla a quest'ora.

Con grande fatica esco dal piumone e mi infilo le mie calde pantofole a forma di panda ed apro piano la porta della mia camera senza fare il minimo rumore. Mi affaccio sulla rampa di scale e vedo  al piano di sotto la luce accesa in cucina.

Scendo le scale in modo estremamente cauto e mi nascondo dietro la colonna nel momento in cui vedo mio padre e inizio ad origliare. Non è solo, davanti a lui c'è Lily che ha un'espressione stanca stampata sul volto.

"Lily io sono preoccupato per Jennifer." Appena sento pronunciare il mio nome il mio interesse aumenta di gran lunga e mi metto sull'attenti.

"È possibile secondo te che in diciassette anni a Boston non si sia fatta un amico?" dice con voce esasperata mettendosi le mani in faccia.

Tutto ad un tratto sento l'aria mancarmi e il respiro appesantirsi.

"Ti rendi conto che per farla giocare con qualcuno sua madre mi pregó di parlare con una mia collega per chiederle se sua figlia potesse fingere di essere amica di Jennifer?"

Inizialmente non capisco ma poi mi si accende una lampadina: Delia.

Delia fu la mia  prima e forse ultima amica a quei tempi, era indescrivibile il bene che le volevo davvero. Ero così fiera di essermi riuscita a fare un'amica. Ero così contenta che qualcuno avesse scelto ME come amica e ora scopro che era tutta una menzogna. Tutte le persone che in questi anni mi hanno circondato probabilmente erano state costrette.

Cerco di restare dietro la colonna anche se in questo momento l'unica cosa che vorrei fare è urlare, urlare più forte che posso e chiedermi perché, perché sono così, ma mantengo la mia copertura.

"Sua madre le ha impedito di vivere!" Dice mio padre con esasperazione e queste parole mi rimbombano nella testa. Mia madre...

"Robert Ora andiamo a dormire, andrà tutto bene." Sussurra Lily che poverina non sa come comportarsi.

Solo quando sono sicura di non poter essere vista risalgo in camera mia in modo cauto.

Sento il sangue  ribollirmi e penso che tra poco possa iniziarmi ad uscire il fumo dalle narici.
Anche se sono le 6.00 mancano ancora 3h all'inizio della giornata scolastica, non ce la faccio a passare altro tempo in questa casa.
Dopo essermi lavata con cura decido di indossare un pantalone di tuta nero a vita alta con una felpa sempre nera un po' più corta e delle Nike bianche. Anche se sembro una pazza decido di lasciare i capelli liberi.

Afferro lo zaino e lascio un bigliettino sul tavolo del salone "sono a scuola."

Non sopporterei di ricevere centomila telefonate.

Impiego due ore a chiudere la porta d'ingresso senza farmi sentire ma fortunatamente ci riesco.

Fuori si gela ed è pieno di nebbia. Mentre cammino a passo veloce verso la scuola mi girano cento pensieri per la testa.

Davvero per mio padre sono così ripugnante?
È tutta colpa mia, perché è così difficile per me legarmi a qualcuno.

È colpa di mia madre che non mi ha mai permesso di essere libera, è tutta colpa sua.
nessuno dovrebbe sopportare continue proibizioni nella vita.

Tra una sfuriata e l'altra mi ritrovo davanti al cortile della scuola, non è tanto lontana come pensavo, potrei anche fare a meno di utilizzare lo scuolabus.

Guardo il cellulare, sono le 6.35. La scuola è deserta, non c'è anima viva... o forse si.
Dietro ad una siepe proprio davanti a me ci sono due ragazzi ma visto che sono una talpa devo avvicinarmi per capire chi sono o che stanno facendo.

Ad un passo da te ||Àron PiperDove le storie prendono vita. Scoprilo ora