Cap. XVIII - Solo. Di nuovo.

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Jiyong P.O.V.

Mi accompagnarono al mio vecchio appartamento. Appena entrato un leggero pulviscolo mi fece acuire ancora di più il mio senso di abbandono e sconforto. Che ci facevo io lì? Di nuovo. Solo. Mi ricordai il momento in cui ci misi piede per la prima volta. Ero scappato per l'ennesima volta di casa. Mia madre era morta da poco e mio padre, beh, lui non faceva altro che affogarsi nell'alcool e nella disperazione. Era sempre stato sin troppo dipendente da lei, come lo ero stato io d'altronde. Era una fredda notte d'autunno. Mi trovai all'angolo, senza via d'uscita, così decisi di riprendere in mano la mia vita. Ancora una volta solo. Per la prima volta in realtà. La prima di una lunga serie di notti passate a chiedermi se in realtà non fosse questa la mia vita, il mio destino.

Quel periodo lo ricordavo sempre con immenso dolore con qualche sprazzo di gioia. Grazie alla fortuita occasione di potermi sostentare, attraverso piccoli lavoretti, avevo avuto la possibilità di mandare qualche pezzo alla YG. Mi ero reso conto che, seppur nella totale solitudine, l'unica cosa che mi teneva compagnia era sempre stata la musica. Il canto. Il riverbero della mia voce. Quella stessa voce che mia madre adorava tanto. In quel frangente di tempo avevo conosciuto persone che avrebbero cambiato il resto della mia intera esistenza. Seunghyun per primo. Non facevo altro che pensare a lui. In ogni attimo della mia esistenza.

La porta si chiuse dietro le mie spalle. I due poliziotti mi avevano spiegato velocemente che la motivazione per la quale mi trovavo in quel delirio era a causa dell'assicurazione sulla mia vita. Era sempre stata la mia vita il problema. E mio padre se ne stava approfittando, ancora una volta.  Avevo promesso a me stesso di tagliarlo fuori da essa tanto tempo fa. Ma si era mostrato diverso, cambiato. Mi aveva fatto capire che per lui valevo qualcos'altro oltre ai soldi. Ero nuovamente suo figlio. Iniziai a camminare, a inoltrarmi nella stanza. I teli bianchi che coprivano i mobili mi davano un senso di tristezza. Ero tornato al punto di partenza. Inspirai forte e delle lacrime cominciarono a rigarmi il volto. Mi ero definitivamente rotto, incrinato. -Perché... Perché non posso essere felice?- mi chiedevo sussurrandomelo, con la paura che qualcun'altro potesse sentire i miei pensieri. Ma chi? Non c'era nessuno oltre me lì dentro. Ero stato chiuso dentro una gabbia che mi ero costruito io stesso tempo prima. Era il mio rifugio ma anche la mia cella. Le lacrime scendevano sempre più copiose, non riuscendo a fermarmi. Mi accasciai per terra appoggiando la testa e un braccio sulla seduta del divano. La gambe poste lateralmente. Mi addormentai dopo un po' sfinito.

Al mio risveglio era sera. Fuori un leggero venticello faceva muovere appena le tende del salotto. Fuori la vita proseguiva normalmente. La luna era alta nel cielo e la notte era buia e contornata di stelle. Mi feci coraggio e cercai di fare leva sulle braccia per alzarmi, con un po' di fatica ci riuscii. Era dalla sera prima che non mettevo niente nello stomaco. Mi diressi verso il balcone. Avevo ragione: il cielo era bellissimo e triste. Rifletteva perfettamente il mio stato d'animo. Presi una sigaretta rubata a Seunghyun e la accesi. Era l'unico contatto che potevo avere con qualcuno, con lui, in quel momento. Chissà come aveva reagito a quella notizia. Alla notizia che io, il grande ed indistruttibile leader, in realtà stavo nascondendo un segreto così basso e subdolo. Si sarebbero allontanati tutti da me. Sarei rimasto di nuovo solo.

Perso nei miei pensieri dimenticai di ciccare e una consistente dose di cenere cadde per terra. La fissai, inerme. Ero svuotato. Ero stato svuotato di tutto quello che avevo costruito a fatica. Della mia band, del mio gruppo, dei miei amici, del mio amore. Avevo soltanto un piccolo lato di me che continuava a cantare, da solo. Proprio come facevo quelle notti proprio in questo appartamento. Prima che lui mi trovasse.

Prima che Seunghyun cominciasse a venire spesso qui. Prima che si piazzasse a casa mia senza lasciarmi un secondo. In quel periodo iniziammo a costruire le basi del nostro lavoro, facendo cazzate, scherzando, raccontandoci tutto o quasi. Poi una sera ricordo che lui stava ritardando visto che doveva passare da un posto prima di venire qui. Era la notte del mio diciottesimo compleanno. Suonarono alla porta. La aprii e davanti a me non si parò la persona che stavo aspettando. Era mio padre. Era ubriaco. Gli diedi tutti i soldi che voleva, mi minacciò di dire tutto a Seunghyun se non lo avessi accontentato. Lo assecondai. Ogni mese gli davo dei soldi che sapevo fossero finiti il pomeriggio del giorno stesso. Ma era pur sempre mio padre. Con il passare del tempo cominciò a chiamarmi non solo per chiedere quando gli avrei fatto il bonifico ma per sapere se stavo bene, se stavo andando a lavoro. Così mi ammorbidii.

La notte del mio compleanno ricordo però che provai così tanta paura nel vederlo in quello stato, nel sentirgli dire quelle cose, che scappai via. Di nuovo. Stavo scappando dai miei problemi, cercando di lasciarli indietro. Seunghyun mi trovò qualche isolato più in là con una bottiglia di soju che brindavo da solo alla mia indipendenza. Ero maggiorenne finalmente. Avrei potuto mettere fine a tutto questo. Ma non ne ebbi mai il coraggio. Era mio padre. L'unica persona della mia famiglia che mi era rimasta.

Ricordo che Seunghyun aveva capito che c'era qualcosa che non andava. Che qualcosa mi turbava profondamente. Non mi chiese niente, non proferì parola nemmeno quando qualche lacrima iniziò a scivolare sul mio volto. Rimase lì come una statua a fissarmi.  Quello che sapeva di me era che ero scappato da casa per colpa di qualche fraintendimento con mio padre a causa della morte con mia madre. I litigi in famiglia alla fine erano una cosa più che normale. Seunghyun non sapeva tutta la verità perché non ero pronto a dirla ad alta voce.

Gli fui infinitamente grato per non avermi mai chiesto niente di quella sera. Perché proprio per quel nostro tacito accordo, capii che avevo bisogno di lui. Che non andava tutto bene come continuavo a ripetermi tutti i giorni e tutte le notti. Che stavo male ma che non avrei saputo come esternare il mio dolore. Soprattutto non avrei saputo come affrontarlo.

Poi, in un attimo, chiuse gli occhi. Iniziò a cantare una vecchia canzone che avevamo ascoltato qualche sera prima nella mia stanza, nel mio appartamento. La sua calda voce roca era ancora incerta e poco precisa ma in quel momento ne fui totalmente rapito. Stava cantando, per me. Stava esprimendo quello che io sentivo al posto suo. Quella canzone parlava di solitudine, di dolore, di tristezza, di voglia di andare avanti ma non saper come fare. Prese fiato, aprì gli occhi

-I sing your song, you sing along for once
You sing my song, we sing along at once we did...-

Dopo la sigaretta mi ero nuovamente assopito.

Ero debole e facevo fatica a camminare. Mi diressi in doccia e cercai di fare chiarezza su quello che dovevo fare. Quel sogno, quel ricordo aveva risvegliato qualcosa che tenevo assopito per troppo tempo. Un dolore lancinante al petto mi fece urlare. Poi ripresi a piangere.

-Seunghyun... dove sei... vienimi a prendere... ti prego...-singhiozzavo fortissimo. Sentii delle voci fuori dalla porta. Delle urla da cui però non riuscivo a distinguere le bene le parole. Ero steso nel pavimento freddo del bagno. Nudo e senza alcuna protezione. Avevo la vista appannata. Vidi solo un uomo alto prendermi. Riconobbi il suo odore.

Muschio, sigaretta, qualcosa di dolce che ricordava l'odore di estate, di gelati presi sotto al sole cocente. - Hyung...- dissi con voce fioca.

-Ji... Ji, sono qui...-

The Necklace ~ GTOPDove le storie prendono vita. Scoprilo ora