10. Mi hai intrappolato nella mia paura.

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Ho terminato il turno serale. Christian non si è minimamente accostato a me per tutta la serata; credo si sia rinchiuso nel suo ufficio. Sam ed io stiamo asciugando gli ultimi flûte e chiacchierando.
«Sì, l'ho portata a cena. Se non fosse stato per te, quel pomeriggio, davvero non so come avrei fatto. Sai, ha anche chiesto di te. Voleva ringraziarti, ma lo farò io.» spiega.
Sorrido, mentre mi rende partecipe del racconto della sua cena. È piacevole lavorare così: qualcuno con cui parlare e la consolle che ancora propone canzoni. L'atmosfera è adorabile.
«Hai portato il casco?» chiede.
Annuisco.
Rifornisco i vari cassetti con tovaglioli e frutta; poi, passo agli sportelli freddi, sistemo i vari bitter e alcolici, con qualche bicchiere da poter servire ghiacciato. Sistemo gli shaker e asciugo il bancone.
«Ho finito.» avviso Sam, mentre getta l'ultima busta.
«Anche io.» risponde.
Si dirige verso la consolle e io, invece, ne approfitto per sedermi sullo sgabello.
«Wo-ho! Conosci i 'Kool & The Gang'? Adoro questa canzone: 'Tonight'. Mi concedi questo ballo?» sorride, mentre preme play.
«Non credo possiamo, Sam. Andiamo, dai.» dico.

Come pensavo, ignora ciò che dico.
«Dai! Non c'è nessuno! Lasciati andare! Dopo tutto questo lavoro, ce lo meritiamo.» istiga.
Alzo le mani al cielo in segno di resa.
«Così.» dice, mentre prova a mostrarmi i suoi passi.
Faccio come dice, provando a non risultare un tacchino incapace di camminare.
«Sì, così! Dammi le mani!» ordina.
Stiamo ballando, non so esattamente che tipo di ballo, ma stiamo ballando. Aveva ragione Sam, ci voleva. Di colpo, tutto lo stress trattenuto viene buttato fuori.
Mi sento meglio.
«Oh, che magnifica canzone! Mi riporta indietro nel tempo, anni di cui vorrei averne fatto parte.» dice.
Rido.
Di colpo, però, tutti lo stress che avevo appena buttato fuori, si tramuta in ansia. Christian spegne la consolle.
Merda!

Scende le scale, venendo verso di noi, con in mano sempre il suo bicchiere con del whiskey.
«Chris, è colpa mia. Stavamo solo-» si scusa Sam. Viene interrotto da Christian e la sua mascella serrata. Ha l'aria corrucciata. Non si mette bene qui la cosa.
«Sam, vai a casa. Domani sera hai il turno.» ordina.
«Sì, Chris. Azzurra ti aspetto fuori.» dice.
«No, devo parlare con lei.» ordina.
Sam annuisce, salutandomi con una pacca sulla spalla.
Io lo sapevo, l'avevo detto di non farlo! Ma perché non riesco a stare lontana dai guai? Perché devo complicarmi la vita?
Si schiarisce la voce.
«Azzurra.» mi chiama.
Mi volto verso di lui che, nel frattempo, si dirige verso il bancone. Mi fa segno con la mano di raggiungerlo. Così faccio. Sono di fronte a lui, con lo sguardo verso il basso.

Sussulto a causa del forte impatto del bicchiere contro il bancone. Se non l'ha rotto ora, questo bicchiere, sono sicura sia fatto di ferro.
«Che cazzo vuoi fare? Me lo spieghi? Non ti basta Daniel? Vuoi anche Sam?» alza la voce.
Lo guardo fisso negli occhi. Inizio a riscaldarmi, mi ha dato della poco di buono?
«Christian, gli avevo detto di non farlo.» dico.
Sbatte di nuovo il bicchiere sul bancone.
«E tu che hai fatto? Non credo ti sia rifiutata, no?» ribatte.
«Ma perché te la prendi con me? Te l'ha detto anche Sam che è stata sua l'idea!» urlo.
«Perché conosco loro e so che non ti alzerebbero neanche un dito, a meno che non glielo imponga tu.» dice, irato.
Metabolizzo dopo alcuni secondi le sue parole. Un taglio netto al mio cuore.
«Se volevi farmi afferrare il concetto che tu hai di me, ci sei riuscito.» dico.
Credo io stia pronta per crollare in un pianto isterico.
«Azzurra, no.» dice.
«Me ne vado.» gesticolo.

Slaccio il grembiule che ho addosso sbattendolo sul bancone. Tolgo la spilla con su scritto il mio nome, aggiungendola al grembiule.
«Azzurra, non volevo fraintendessi.» dice, prendendomi il braccio.
Mi volto verso di lui.
«Vaffanculo, Christian.» alzo la voce, liberandomi dalla sua presa.
Accelero il passo, quindi sono di fronte agli armadietti. Apro il mio, prendendo tutte le mie cose.
Sono infuriata, delusa e triste. Qualche altro aggettivo negativo andrà bene per descrivere come mi stia sentendo ora.
«Azzurra, parliamone.» supplica Christian, che è di fronte al mio armadietto.
Resto in silenzio, non ho voglia di degnargli neanche una parola. Chiudo a chiave, girando la serratura due volte, per poi ritrovarmici contro. Christian è a pochi centimetri da me. Il mio cuore non regge.
Che vuole fare? Non può avere così il possesso di me, della mia dignità.
«Azzurra, parlami.» ordina.
«Christian, lasciami! Non puoi regolare tutto a piacimento tuo!» dico ad alta voce.

Sono stanca del mondo in cui lui tratta tutti, esige ogni cosa e io non sarò un altro trofeo da aver conquistato per la sua maleducazione. Sbatte un pugno sugli altri due armadietti vicino a me.
«Lasciami spiegare!» alza la voce.
Posso sentire l'odore di whiskey da qui, d'altronde siamo a centimetri di distanza. Questa situazione potrebbe essere la più bella accaduta finora, quanto la più ingestibile e orrenda. Mi sta letteralmente impedendo di andare, di scegliere cosa io voglia fare. Non glielo permetto questo, devo mantenere la mia dignità. Provo a spingerlo, non si muove. Le sue spalle enormi non mi aiutano di certo.
Respiro rumorosamente.
«Christian, se non mi lasci andare giuro non mi vedrai mai più!» dico.
Mi guarda negli occhi. Respira affannosamente.
«Christian.» lo richiamo.
Lascia scivolare il pugno con cui aveva colpito gli armadietti, concedendomi la possibilità di passare. Osservo per l'ultima volta il suo viso, molto contrariato ora. Ha la mascella serrata e le vene del collo che a momenti esplodono.

Mi dirigo verso la porta d'uscita e, stavolta, non sobbalzo al suo ennesimo scatto d'ira: il pugno contro il muro. L'aria è fresca, forse troppo per me che ho indosso solo un giubbotto di pelle e una t-shirt sotto. Cammino a passo svelto, sento di star sudando a momenti. Tutto ciò che ho trattenuto finora sta pian piano uscendo, posso percepirlo dalle lacrime che contornano il mio viso. Il vento leggero non aiuta, scostandomi molteplici volte i capelli che ho sciolto prima di uscire da quel locale degli orrori.

Perché mi hai fatto questo, Christian? Perché hai voluto trattami così? Non avevo fatto nulla, per una volta. Avevo insistito non ballassimo noi due, avevo insistito l'andarcene il prima possibile. Invece, ecco cosa accade a chi, per una volta, non vuole finire nei guai: ci finisce comunque. Sai, Christian, pensavo che noi due avessimo un modo diverso di conoscerci, pensavo potessimo instaurare un bel rapporto, pensavo potevi essere la svolta... invece mi ritrovo a dover fare i conti con i miei sentimenti ancora una volta, a dover lottare contro quella che era la mia paura, che poi, questa sera, hai confermato in me. Ho paura di affezionarmi, di amare ed essere poi tradita, delusa. Tu, Christian, che per me potevi essere la via d'uscita, mi hai intrappolato nella mia paura.

Arrivo fuori casa mia, mi volto verso il marciapiede, nella speranza di trovare la moto di Christian, ma, ovviamente, nessuna traccia. Salgo in fretta le scale, mi spoglio per la casa, lasciando che le cose cadano laddove vogliano. Arrivo in bagno, ho bisogno di una doccia. Apro l'acqua, gettandomici dentro dopo alcuni minuti. È calda, leggera sulla mia pelle. A farle compagnia c'è il mio pianto, poco dopo. Mi accascio all'interno della vasca. Mi sento a pezzi, una vera merda, come direi a Dylan. Oh, Dylan.
Quanto vorrei non avesse mai cercato questo posto, quanto vorrei io non aver mai lasciato il mio vecchio lavoro.

Forse alcune ore fa sarei stata a guardare Christian al bar, perché io e Dylan avevamo voglia di uscire e, perché no, ci saremo conosciuti adesso. Esco dalla vasca, avvolgo l'asciugamano attorno al mio corpo. Prendo lo struccante, ho dimenticato di passarlo prima e ora tutto il mascara è colato: ciliegina sulla torta. Mi meraviglia ancora il fatto di come la mia vita si prenda sempre gioco di me.
Asciugo i capelli, raccogliendoli in una coda di cavallo. Indosso il pigiama, andando verso il letto. Guardo l'ora, segna le 06:50. Ho gli occhi puntati sul soffitto. Non mancano di certo le mie amiche di sventura: ancora lacrime. La vedo dura questa volta, mi ritroverò con delle occhiaie mostruose, ma, d'altronde, quando me ne sono mai fatta un problema?


•︴ Spazio autrice ︴•
Ed eccoci al decimo capitolo, piccole lune.☾
È un po' triste, lo ammetto. Però siamo qui per provare emozioni, no? Spero di trasmettervene abbastanza da amare queste righe.
Detto ciò, vi ricordo di mettere una stellina nel caso vi piacesse e di scrivermi cosa ne pensiate, lo apprezzerei tanto.♡

Buona lettura♡

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